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Federer, l'incantesimo spezzato

La direzione delle prime di servizio nel match. Federer da destra è equilibrato perché inizialmente predilige il servizio centrale e nelle fasi finali invece lo slice. Anderson invece non va molto per il sottile e si rifugia sulle botte al centro, anche da sinistra evitando il rovescio di Federer.

Forse l’unico vero errore imputabile a Federer in tutto l’incontro sta nella terza palla break svanita per lo svizzero nel game successivo, che avrebbe portato i due giocatori ad un altro tie-break. In quello scambio Federer sbaglia un dritto piuttosto facile https://youtu.be/nnoRDEY-Q84?t=108, ma si vede tutta la sua difficoltà nell’effettuare i rapidi aggiustamenti con i piedi nel cercare la palla all’indietro, la fatica e di conseguenza l’insicurezza. È soprattutto in questo momento che si prende consapevolezza del destino umano di Federer e sorge quasi un sentimento compassionevole, non tanto per le sue sopravvalutate debolezze caratteriali ma perché anche lo sportivo dalla figura forse più inscalfibile di tutti gli altri, sotto tanti punti di vista, sta definitivamente realizzando la necessità di scendere a patti con le leggi della natura e prendendo consapevolezza che alla lunga, come tutti, ne uscirà sconfitto.

Accettare il declino?

Kevin Anderson è riuscito nell’intento di far giocare a Federer una partita veloce, senza cambi di ritmo e nella quale è stato il suo avversario ad adattarsi tatticamente. Anderson è arrivato al quinto set con impressionante continuità sia al servizio che alla risposta, precisi e costanti attacchi con il dritto lungolinea che impediscono a Federer di giocare tutti i dritti che vorrebbe (ne ha colpiti il 6% in meno rispetto alle precedenti partite a Wimbledon) e tengono sempre elevatissima la velocità di palla, al punto da costringere lo svizzero più a “remare” che non a variare il proprio ritmo a piacimento, soprattutto senza poter utilizzare la palla corta che avrebbe fatto comodo per stanare Anderson nella corsa in avanti.

Il sudafricano ha vinto per 6-4 il quarto parziale, quasi senza storia. Nel quinto set l’immagine di Federer non è più quella di un artista che pennella colpi con il suo completo (con il nuovo sponsor) perfettamente lindo e pulito, ma piuttosto quella di un giocatore costretto a sporcarsi le mani nel fango. Geme nei recuperi in back come mai fatto prima, arriva sempre più in ritardo in allungo con il rovescio in top e non completa più il finale del movimento come invece nei bellissimi lungolinea vincenti del primo set. Sul 4-3 in suo favore ha una palla break sulla quale Anderson serve benissimo, poi nel successivo punto Federer si aggrappa a tutte le sue forze e gioca da vero terraiolo, forse spendendo in quel punto tutte le sue residue energie.

In vantaggio per 7-6 (non c’è il tie-break al quinto set, per chi non lo ricordasse), Federer vede un’opportunità avanti 15-30 nel punteggio. Si getta a rete con un buon attacco in back lungolinea quasi come se vedesse in quel gesto la sua unica e ultima speranza di vincere questa partita e forse Wimbledon per l’ultima volta, ma il passante di Anderson è di grandissima qualità e gli impedisce di ottenere altri due match point. Il game che concede il break decisivo ad Anderson è un calvario biblico: nel primo punto sbaglia il rovescio in top su una palla comodissima, mentre sul 30-30 commette il primo doppio fallo della partita, senza spingere la seconda. In un attimo Anderson terrà il turno successivo di battuta per aggiudicarsi il quinto set per 13-11.

«A volte non ti senti bene nonostante tu ci prova. Oggi era uno di quei giorni», ha detto Federer in conferenza stampa, che non ammette pubblicamente il suo declino se non implicitamente quando gli chiedono se aver giocato sul Campo 1 anziché sul Centrale per la prima volta dal 2015 possa averlo condizionato: «Onestamente penso di no. L’anno scorso non credo sarebbe cambiato qualcosa se avessi giocato sul Campo 1. Non è che non sapevo giocare su questo campo, è che ho avuto le mie chance e le ho sprecate».

Il fatto che Federer abbia posto l’accento sull’anno scorso è un segnale evidente della differenza di rendimento complessivo rispetto al 2017, non solo a Wimbledon. Come un eroe moderno e non classico, Federer ha lottato con la sua parte più umana di sé, infrangendosi però sul muro inflessibile della realtà. Negli ultimissimi punti e soprattutto nella rassegnazione con cui va a rispondere per l’ultima volta c’è un’accettazione naturale e non rabbiosa, senza ribellione, dello stato attuale delle cose.

La sconfitta di misura di Federer contro un avversario comunque eccezionale sull’erba non chiude completamente le porte allo svizzero per una nuova impresa. Anche qualora ieri si sia definitivamente consumata l’ultima possibilità di vedere Federer vincitore in uno Slam, il solo fatto che alle soglie dei 37 anni avverta una tale delusione lo conferma uno sportivo fuori dall’ordinario. Federer non è stato protagonista dell’ennesima favola a lieto fine, ma forse dovevamo accontentarci di quelle che aveva già compiuto: arrivare a quota 20 Slam ad esempio. Prima o poi dovremo rassegnarci che una fine assolutamente naturale e terrena arriverà a sancire la conclusione di una delle più intense esperienze sportive di sempre.


Fonte: https://sport.sky.it/rss/sport_tennis.xml


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