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10 piloti di Formula 1 diventati poi grandi fuori dal Circus!


Il 2019 sarà il primo campionato di Formula 1 senza la presenza di Fernando Alonso sulla griglia di partenza. Lo spagnolo, ritiratosi al termine della scorsa stagione dopo una lunga carriera nella massima serie automobilistica (nella quale aveva debuttato nel 2001), sarà infatti impegnato oltreoceano, in Indycar, per andare a prendere un sogno chiamato “Tripla Corona”.

Con due campionati del mondo vinti in F1 nel 2005 e nel 2006, Alonso si ripresenterà negli Stati Uniti con un curriculum invidiabile, ma soprattutto con la consapevolezza di poter dare ancora molto all’universo delle quattro ruote. Il pilota di Oviedo, considerato uno dei migliori dell’intera storia della F1, è pronto alla grande sfida in un’altra categoria, per certi aspetti molto diversa da quella a cui era abituato fino ad un mese fa.

Se l’avventura di Alonso dovesse rivelarsi positiva, egli entrerebbe nella ristrettissima élite di piloti che hanno avuto successo sia in F1 che in altri campionati. Ma, come la storia del motorsport insegna, l’impresa sarà tutt’altro che scontata.

In tanti anni di corse abbiamo assistito a tanti trionfi ed altrettanti fallimenti: piloti diventati campioni in F1 ed improvvisamente divenuti “normali” in altri contesti, o viceversa. E proprio su quest’ultima considerazione, diversi uomini hanno conosciuto il proprio momento di gloria personale in campionati differenti dalla Formula 1, prima o dopo una parentesi non certo sensazionale nella categoria più ambita da tutti coloro che hanno la velocità nel sangue.

Storie di semplici comparse (più o meno fugaci) in F1 tramutate in successi memorabili altrove.
Un fenomeno che ha colpito tanti assi del volante, e che tocca da vicino anche alcune delle più grandi firme dell’automobilismo italiano.

Ecco dunque le avventure dei piloti che hanno trovato la fortuna altrove dopo la delusione da Formula 1.

GLI ESEMPI PIU’ RECENTI

Negli ultimi anni quindici anni di Formula 1, ben tre piloti hanno lasciato il circus senza grandi ricordi per poi rifarsi completamente in altre categorie. Due di questi hanno avuto in comune anche la stessa scuderia, ossia la Toro Rosso. Stiamo parlando di Scott Speed e di Sebastien Bourdais.

Il primo, che contribuì al ritorno di un pilota americano dopo quasi quindici anni di assenza, debuttò con il team di Faenza nel 2006, salvo poi chiudere prematuramente la sua esperienza nel Circus a metà della stagione successiva, venendo sostituito da un pilota destinato ad una carriera decisamente più brillante: Sebastian Vettel. Dopo la batosta della risoluzione del contratto, Speed ha tentato di rilanciarsi in Formula E, trovando invece la sua fortuna nel Rallycross, dove si è affermato campione del mondo per ben tre volte.

Per Sebastien Bourdais, il cammino fatto di glorie e cadute fu invece inverso. Quando arrivò alla corte della Toro Rosso nel 2008 (dove rimase fino a metà del 2009), il francese si presentò in F1 con in tasca il titolo di campione di Formula 3000 vinto nel 2002, ma soprattutto con quattro campionati Champ Car nel proprio curriculum, vinti consecutivamente dal 2004 al 2007.
Nonostante tutte le carte in regola, l’esperienza di Bourdais in F1 fu a dir poco disastrosa, con il magrissimo bottino di soli 6 punti guadagnati.

Merita un capitolo a parte, invece, la storia di Nelson Piquet Jr. Figlio del tre volte campione del mondo di F1, il brasiliano dovette portarsi un cognome ingombrante sulle spalle nel 2008, quando accettò l’offerta della Renault. Nonostante l’unico podio conquistato in Germania proprio in quell’anno, l’avventura di Nelsinho Piquet in F1 verrà ricordata per il triste episodio del “Crashgate”, quando il brasiliano andò a sbattere deliberatamente contro le barriere di Singapore per favorire il proprio compagno di squadra Alonso, su indicazioni dell’allora team principal Flavio Briatore.

L’episodio, divenuto uno dei più controversi e scandalosi dell’intera storia della F1, contribuì a portare Piquet lontano dalla F1. La rivincita sportiva del brasiliano arrivò però nel 2015, quando divenne il primo campione del mondo della storia della Formula E.

A SPASSO NEL TEMPO

I casi più famosi di piloti diventati grandi lontani dalle luci della Formula 1 si videro per la prima volta con l’avvento degli anni ’80.

Il primo esempio fu quello del tedesco Hans-Joachim Stuck. Approdato in F1 nel 1974 dopo aver già vinto il titolo di Formula 2 ed essersi aggiudicato due prestigiose gare di durata come la 24 Ore del Nurburgring e la 24 Ore di Le Mans, l’avventura di Stuck in F1 fu impreziosita dalla conquista di due podi, ottenuti per giunta consecutivamente nel 1977. Nonostante le buone impressioni, il tedesco smise di correre in F1 nel 1979, togliendosi anche la soddisfazione di una vittoria nella 12 Ore di Sebring ottenuta nel 1975. Tornato stabilmente alle vetture Sport a partire dal 1980, il teutonico si confermò uno dei più grandi talenti del panorama automobilistico internazionale: dal 1981 al 2004, Stuck vinse la 1000 km del Nurburgring, due campionati mondiali Vetture Sport, altre due 24 Ore di Le Mans e due 12 Ore di Sebring, un campionato DTM (1990) ed infine la 24 Ore del Nurburgring del 2004, vittoria ottenuta a 35 anni di distanza dal successo del 1970.

Un altro grande campione che in F1 non raggiunse i risultati sperati fu il francese Yannick Dalmas. Indicato come uno dei talenti più brillanti del panorama automobilistico transalpino (tanto da essere accostato ad Alain Prost nelle categorie minori), Dalmas approdò in F1 al termine del 1987, rimanendoci fino al 1990 con una brevissima parentesi nel 1994. Pur conquistando un punto proprio nel 1987, al suo terzo GP, quello fu il punto più alto raggiunto da Dalmas in F1 in 49 GP disputati. Viceversa, il talento del francese esplose del tutto con la 24 Ore di Le Mans. Nella gara di resistenza più celebre a livello internazionale, Dalmas ottenne quattro successi nel 1992, 1994, 1995 e 1999.

Sebbene abbia partecipato da un solo GP di Formula 1, la sua unica presenza è ancora oggi ricordata ad un episodio che ha dell’incredibile. Stiamo parlando di un altro francese, che questa volta risponde al nome di Jean-Louis Schlesser. Nipote di Jo Schlesser, dopo varie esperienze travagliate nelle categorie minori, il francese riuscì a prendere al volo il classico treno che passa una volta nella vita: la chiamata della Williams. Nel 1988, alla vigilia del GP d’Italia, la Williams sceglie Schlesser per sostituire l’indisponibile Nigel Mansell, debuttando così in F1 a Monza.

A causa dell’inesperienza in F1, il francese lotta nelle retrovie, ma soprattutto si rende protagonista di un episodio pazzesco: alla staccata della prima variante deve farsi doppiare dal leader della corsa Ayrton Senna ma, invece di lasciargli strada, Schlesser tocca la ruota posteriore del brasiliano, buttandolo fuori pista e costringendolo al ritiro. Il ko di Senna apre la strada ai due piloti della Ferrari Berger ed Alboreto, che andranno a vincere in parata di fronte al proprio pubblico. Quella di Monza sarà l’unica vittoria di una vettura extra-McLaren in quel 1988, oltre ad essere la prima della storia ferrarista dopo la morte di Enzo Ferrari.

In seguito a quell’episodio, per Schlesser le porte della F1 si chiusero definitivamente. Eppure, il palmarès personale del francese è uno dei più ricchi in circolazione. Nella sua lunga carriera, Schlesser ha vinto due mondiali Sport Prototipi (1989 e 1990), due Parigi-Dakar (1999 e 2000) e ben cinque mondiali di Rally Raid (dal 1998 al 2002).

Dopo la parentesi degli ultimi due piloti d’oltralpe, un capitolo lo merita un altro tedesco che, come Stuck, ha fatto parlare di sè più in altre realtà che in F1: stiamo parlando di Bernd Schneider, che nel 1988 riuscì ad esordire in Formula 1 dopo la classica gavetta nelle categorie minori. L’approdo nel Circus non fu particolarmente felice per Schneider, con sole 9 partecipazioni dall’88 al 1990 e tutte prive di acuti.

La svolta arrivò però a partire dagli anni ’90: con l’inizio del nuovo decennio, Schneider trionfò subito nel campionato europeo Interserie, trovando però la gloria personale nel campionato DTM. Nella categoria turismo tedesca, Schneider chiuse al comando del campionato in ben cinque occasioni nel 1995, 2000, 2001, 2003 e 2006. Nel 1995, inoltre, il tedesco si aggiudicò l’International Touring Car, e nel 1997 chiuse da campione anche nella FIA GT. Ritiratosi dalle competizioni nel 2008, Schneider tornò occasionalmente a disputare alcune gare, togliendosi la soddisfazione di vincere la 24 Ore di Nurburgring nel 2013.

I PILOTI DI CASA ITALIA

I casi di campioni divenuti tali lontano dalle luci della Formula 1 si sono verificati anche nelle storie di tre piloti, tutti accomunati dalla nazionalità italiana. Uno di questi è sicuramente Gabriele Tarquini, che oltre ad aver avuto il merito di trionfare altrove è recentemente diventato l’esempio più concreto che non esiste un limite d’età per vincere nell’automobilismo.

Dopo l’esordio in Formula 1 nel 1987, il pilota di Giulianova non riuscì mai a sfondare nel circus, cogliendo un solo punto nella sua carriera in F1, chiusa senza grandi soddisfazioni nel 1992 (con una sola partenza nel 1995).
Il periodo più brillante di Tarquini nelle corse ebbe però inizio nella metà degli anni ’90. Nel 1994 trionfò nel campionato Britannico Turismo, agguantando la vittoria nella stessa categoria nel 2003, questa volta a livello Europeo.

Il salto di qualità con le vetture Turismo avvenne definitivamente nel 2009, quando salì per la prima volta sul tetto del mondo. Un successo replicato proprio quest’anno, con un titolo mondiale conquistato all’età di 56 anni.

Da Giulianova a Roma. Uno dei piloti italiani più talentuosi di sempre risponde al nome di Emanuele Pirro. Pur essendo stato collaudatore della McLaren di Senna e Prost alla fine degli anni ’80, la carriera di Pirro non esplose mai in F1 tra il 1989 ed il 1991.

In compenso, il suo nome è legato all’albo d’oro dei grandi campionati internazionali di endurance. A partire dagli anni ’90, il romano ha trionfato per ben 5 volte nella 24 Ore di Le Mans (2000, 2001, 2002, 2006, 2007), oltre ad un successo in DTM (1996), due American-Le Mans Series, due 12 Ore di Sebring ed una 24 Ore di Nurburgring.
Insomma, non certo un pilota qualsiasi.

Un capitolo a parte, infine, lo merita pilota, un uomo ed uno sportivo che tutto il mondo ammira: Alessandro Zanardi. Prima di perdere gli arti inferiori nello spaventoso incidente del Lausitzring nel 2001, il bolognese aveva trascorso diverse stagioni in Formula 1, senza però lasciare il segno nonostante avesse corso per team blasonati come la Williams. I successi di Zanardi fioccarono però Oltreoceano, con la vittoria di ben due titoli di Champ Car colti consecutivamente nel 1997 e 1998.

Dopo il bruttissimo incidente che gli cambiò la vita, Zanardi è diventato il simbolo dell’uomo che non si arrende di fronte alle sfide più insidiose della vita come la disabilità motoria. Oltre ad esser tornato in pista, vincendo il Campionato Italiano Superturismo nel 2005, il bolognese si è dedicato alla disciplina paraolimpica dell’handbike, cogliendo enormi soddisfazioni.

Le due medaglie d’oro a Londra 2012 e Rio 2016, oltre ad 8 titolo mondiali su strada, sono la dimostrazione delle eccellenti qualità d’atleta di Zanardi, oltre ad esser stato un pilota automobilistico di grande spessore.


Fonte: http://www.circusf1.com/2018/feed


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