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Ciclismo, Bettiol: “Il Fiandre mi ha fatto alzare l'asticella, ma devo ritrovare spensieratezza”

MILANO – Ritrovare “la spensieratezza”. E’ questo l’obiettivo di Alberto Bettiol: tornare a sentirsi libero mentalmente come succedeva prima della storica vittoria al Giro delle Fiandre, la pagina più bella del ciclismo italiano nel 2019. Il 26enne corridore toscano – a margine della consegna dei Beat Yesterday Award organizzati dalla Garmin – racconta come quel successo inaspettato abbia cambiato il suo modo di correre. Sono stati mesi di allenamenti sui pedali, ma anche di lunghe chiacchierate con i direttori sportivi della sua squadra, la EF Education First, alla ricerca di un nuovo equilibrio.  

Bettiol, a sette mesi e mezzo da quel trionfo, che ha esaltato l’Italia, cosa le rimane?
“Sono aumentati gli impegni all’esterno: inviti, premi, manifestazioni, cene. Ma soprattutto è cambiato qualcosa in me. Adesso sono io che mi pongo obiettivi e alzo l’asticella. Provo a migliorarmi o anche solo a mantenermi su questi livelli. Prima vivevo in una bolla e non sapevo dove potevo arrivare. Adesso lo so. So che posso tenere con i migliori e anche batterli. A volte mi sono sovraccaricato di pressione come è successo nella seconda parte di stagione, quando ho cominciato a pretendere troppo da me stesso. Pretendevo di riprovare le stesse sensazioni vissute quel giorno al Fiandre. Ma certe cose arrivano una volta ogni tanto”.

Come se dovesse sempre stravincere staccando tutti e arrivando solo sul traguardo?
“Sì, come se per vincere bisognasse sempre sentirsi come quel giorno. Ma non è così. Si può vincere anche non essendo al 100% come dimostra il Mondiale nello Yorkshire. Si può vincere anche quando non sei superfavorito. Quello che mi auguro è ritrovare la spensieratezza che mi ha fatto vincere il Giro delle Fiandre. Se non fossi stato libero mentalmente, non avrei vinto perché avrei iniziato a pensare: “Dove vado, sto partendo troppo presto”. Ecco, forse nella seconda parte di stagione ho pensato troppo”.
Quindi anche lei si aspettava qualcosa in più dalla seconda metà del 2019?
“Dal punto di vista atletico ho fatto tutto il necessario e forse anche qualcosa di più. Ma in corsa mi perdevo e ascoltavo troppo me stesso. E questo mi logorava. Se avessi avuto la stessa testa della Tirreno o del Fiandre, avrei fatto molto di più. Questo mi ha bloccato. Devo imparare a ricordarmi come ero prima. Ci sto lavorando con la mia squadra che mi sta supportando come una famiglia”.
In che modo?
“Parlando a lungo al telefono con i miei direttori sportivi: Wegelius, Garate e Guidi. Hanno corso con campioni che hanno vinto tanto. Conoscono certe dinamiche. Devo imparare a vincere in modo più umano. Lottando con gli avversari. Invece quel giorno al Fiandre ho lottato soprattutto con me stesso. Parlare con i miei ds mi aiuta. Nel 2020 non è facile avere questa possibilità di confronto molto aperto in un mondo fatto di mail e social network. La mia squadra è molto umana. Sembra una bischerata, ma nel 2020 parlare al telefono tutte le sere è difficile”.
Vista dall’esterno, la vostra squadra trasmette un’idea di amicizia e unione.
“Sì, ne vado molto fiero. L’esempio migliore è in questo episodio. Tutti erano colpiti durante il Tour de France quando ci vedevano la sera giocare a carte dopo cena prima di andare a letto. Giocavamo a “Uno”, il gioco più semplice del mondo. Era un modo bello di digerire stando insieme. Questa è la chiave della nostra squadra. Non siamo fenomeni, ma ci vogliamo bene e diamo il massimo”.
E siete la fotografia perfetta del nuovo ciclismo internazionale senza confini.
“Sì, questa componente nella EF è osannata all’ennesima potenza. Basta dire che il nostro motto è “Explore the world”. La squadra è nata proprio dalla volontà dell’azienda di dare un segnale di espansione. Ormai se non ti piace viaggiare non puoi fare il ciclista. In Australia facciamo una programmazione di sonno e alimentazione in base al jet-lag. Si corre anche in Arabia Saudita. Siamo come la F1 o la MotoGp”.
Quali sono gli obiettivi per la prossima stagione?
“Per me sarebbe un’impresa vincere una delle grandi gare. Se ho vinto la più difficile, posso farcela anche con le altre. Per ora le ho corse tutti, tranne la Parigi-Roubaix. Posso provare a vincere la Milano-Sanremo. Oppure la Liegi-Bastogne-Liegi. L’ha vinta Gilbert col quale posso avere caratteristiche in comune. Ci posso provare in futuro. Ma devo crescere e migliorare. Sono giovane. Devo trovare continuità”.
Sul traguardo del Fiandre ha esultato con quel gesto per dire che fino a quel momento si era parlato troppo poco di lei. Dopo, è stata data la giusta attenzione alla sua impresa?
“Sì, anche troppo. I commentatori mi vedevano ovunque in corsa appena spuntava un casco rosa. Scherzi a parte, è stata data la giusta importanza. Mi ricordo che sono tornato in Italia il lunedì sera. E il martedì mattina volevo andare in bici perché non ce la facevo più. Ma non ci sono riuscito. Mi fermavano tutti dalle macchine. Non potevo pedalare. Tutti si rivedevano in me. E per certi versi questo mi ha fatto ingelosire. Perché quella è stata la mia vittoria, della mia famiglia, dei miei compagni, della mia squadra. Dopo l’arrivo ho pianto, ma non volevo fare show.  Era la prima volta. Queste sono le sensazioni più belle, quando vedi che una tua vittoria arriva alle persone e diventa di tutti”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml


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