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Protocollo Fipav, il coro degli allenatori: “Così non si può ricominciare”

Di Eugenio Peralta

Non è impresa facile mettere d’accordo le molteplici anime del mondo della pallavolo, ma sembra proprio che il protocollo emanato dalla Fipav per la ripresa degli allenamenti ce l’abbia fatta. A prima vista è infatti unanime il dissenso di allenatori e addetti ai lavori di ogni categoria nei confronti di regole giudicate troppo restrittive e limitanti per tornare finalmente sui campi.

Capisco che sia solo un primo tentativo di riavvicinarsi alla normalità – ci dice Stefano Lavarini, ex tecnico di Busto Arsizio prossimo alla firma con Novara – ma così il gioco mi sembra davvero snaturato. Io in genere sono un ‘postista’, nel senso che sto al mio posto e mi attengo a quello che mi dicono: qui però mi pare che siamo molto distanti da quello che è il nostro lavoro. Diciamo che la sensazione è che per adesso nessuno ripartirà: tutti sperano che, quando toccherà a loro, le cose saranno migliorate“. Ragionamento che, però, non è applicabile alle piccole società del territorio e al settore giovanile: “Loro saranno i più colpiti, purtroppo. Come sempre accade in questi casi, a rimetterci sono i lavoratori di base“.

Inutile girarci intorno – continua Lavarini – il principio del nostro gioco è passarsi la palla l’un l’altro, o te la passi o non è pallavolo. Questa cosa è abbastanza determinante. Possiamo anche allenarci con le limitazioni previste dal protocollo, ma per cosa, se poi quando andremo in campo il contesto sarà totalmente diverso? E poi sinceramente non credo sia possibile ricreare una situazione così asettica. In un gruppo di 12-15 persone che si vedono tutti i giorni e passano così tanto tempo insieme, in qualche modo l’eventuale contagio sarebbe inevitabile“. Il CT della Corea del Sud formula però anche una proposta alternativa: “Perché non usare i guanti? Sono più facili da mettere e togliere, garantiscono di poter toccare la palla e non comportano le difficoltà delle mascherine“.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Luciano Pedullà, che ha sempre vissuto molto da vicino sia il volley di vertice sia quello giovanile: “Ho letto le dichiarazioni di Andrea Giani e le condivido in pieno. Non mi piace criticare a priori, ma già parlare di mascherine non ha senso… posso garantire che è impossibile utilizzarle durante un esercizio a coppie, come sarebbe necessario. Sono regole un po’ macchinose, che limitano la possibilità di attività a tutti i livelli e non danno grandi margini a noi allenatori. Non so chi le abbia stilate, ma la sensazione è che sia una soluzione un po’ arrangiata per la pallavolo: i principi di base vanno bene per il calcio e per il basket, in cui molti esercizi si possono eseguire individualmente“.

Le ragazze del settore giovanile – spiega Pedullà, di recente nominato supervisore tecnico della Polisportiva San Giacomo di Novara – in questo momento saranno molto motivate e disposte ad adattarsi qualunque esercizio, ma in un periodo così lungo almeno un 1 contro 1 glielo devi far fare. Il protocollo è troppo riduttivo e oltretutto va nella direzione opposta alla metodologia di allenamento che da qualche anno propone la stessa Federazione, cioè il ‘metodo globale’: ci dicono che bisogna allenare i ragazzi in situazioni di gioco e poi distinguono di nuovo tra esercizi analitici e sintetici?“.

Pedullà pone l’accento anche su altri due problemi logistici: “Le norme prevedono la presenza di due allenatori e un fisioterapista durante le sedute, ma le società piccole spesso non dispongono di queste figure. Se una giocatrice si fa male, toccando ferro, chi deve intervenire per soccorrerla? In quasi tutte le palestre italiane ci vanno i dirigenti, questo deve essere previsto. E poi c’è la questione scuola: si è parlato di utilizzare le palestre come aule per gli esami di maturità e addirittura per le lezioni, questo per molti significherebbe non potersi allenare fino a ottobre, o addirittura oltre“.

Molto negativo anche il giudizio di Massimo Eccheli, pluridecorato coach del settore giovanile del Vero Volley Monza: “Sinceramente sono davvero preoccupato, dal punto di vista economico prima che da quello tecnico. Il protocollo implica infatti un grande dispendio di energie e risorse a carico delle società, dalla sanificazione alla figura del Covid Manager. Sembra che non si abbia presente la situazione di partenza delle palestre italiane… arrivare al livello di pulizia previsto dalle norme mi sembra utopistico, un obiettivo irraggiungibile“.

Non che le cose vadano meglio dal punto di vista del lavoro in palestra: “Queste regole – prosegue Eccheli – generano l’impossibilità di allenare una squadra di pallavolo come andrebbe allenata. Forse io sarò un po’ troppo tradizionalista, ma non mi pare che abbiano un gran senso e percepisco la stessa sensazione nell’ambiente. Nel breve periodo non speravo e non credevo che si potesse riprendere, così però rischiano di affossarci per molto tempo. A questo punto, meglio montare un impianto rete nel parco e cercare di fare un po’ di attività individuale all’aperto, potrebbe essere l’unica strada“.

Capisco che si sia voluta adottare la massima prudenza nell’approccio – è l’amara conclusione – ma il protocollo così com’è non è compatibile con la ripresa del nostro sport“.


Fonte: http://www.volleynews.it/feed/


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