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Barbolini: “Ci vuole sempre l’umiltà giusta per apprendere”

Di Redazione

Massimo Barbolini è un totem della pallavolo femminile. Il tecnico, modenese classe 1964, è intervenuto lunedì nel workshop della FIPAV Lazio per tenere una lezione sulla fase ricezione-attacco nella volley femminile di alto livello. Quasi tre ore di confronto e riflessioni tra l’attuale allenatore di Scandicci – con un passato alla guida della Nazionale che ha portato a due ori europei (2007 e 2009) e ad altri trionfi internazionali – e gli allenatori laziali, nell’ambito del corso che ha già visto la partecipazione di Andrea Gardini e Roberto Santilli. Lunedì prossimo la palla passerà a Luca Cristofani per l’ultimo modulo (QUI TUTTE LE INFO PER ISCRIVERSI).

Barbolini, un bilancio di questa esperienza?

La definirei assolutamente positiva. Sono state ore intense, ricche di spunti per far crescere ancor di più il movimento regionale. Ho trovato dall’altra parte dello schermo allenatori molto attenti e vogliosi di capire, di approfondire. Certo, manca il contatto che si può avere in una lezione in presenza. Ma la qualità di questi corsi resta sempre molto alta”

Quali aspetti ha evidenziato maggiormente nella sua lezione?

L’incidenza della ricezione nel costruire il primo attacco, intesa proprio nel senso della qualità dei palloni che si giocano dopo il servizio avversario. Un aspetto che nella pallavolo femminile, a differenza di quella maschile, risalta sempre meno. Nel volley delle donne si fa punto soprattutto col contrattacco, dopo la difesa. E invece i dati dimostrano che la prima palla incide parecchio. Poi ognuno chiaramente ha i suoi metodi, ho portato la mia esperienza spiegando l’importanza di lavorare sulle situazioni di gioco e sulla qualità della ricezione”.

Da allenatore, lei ha vissuto una scintilla? Quando ha capito che questo poteva diventare il suo lavoro?

Ci ho messo sempre tanto tanto entusiasmo. Ho creduto fin dall’inizio che questa potesse essere la mia strada. La scintilla c’è stata forse quando Julio Velasco mi ha scelto come suo vice a Modena. Ho avuto la fortuna di essere stato scelto da uno dei migliori allenatori nella storia di questo sport. Poi spero di essermi meritato negli anni tutte le soddisfazioni che mi sono tolto in panchina”

Cosa ha imparato, nel corso della carriera, dalle sue giocatrici?

Ci vuole sempre l’umiltà giusta per apprendere. Le giocatrici o i giocatori devi osservarli, studiarli e seguirli per capire cosa possono darti. Questo lavoro è una continua scoperta. Penso alla mia generazione di allenatori: molti lavorano all’estero con ottimi risultati e sono tutti accumunati da una grande curiosità nel capire come evolve il gioco. Personalmente all’inizio degli anni 2000 ho capito tante cose allenando le giocatrici più forti del mondo nel campionato più bello del mondo”.

Quanto è importante la formazione teorica per la crescita di un allenatore?

È importante, ma non è tutto ovviamente. Bisogna vivere sul campo le situazioni che si studiano. Ricordo che da ragazzo andavo a vedere tantissime partite, seguivo le finali giovanili, i ritiri delle nazionali. Oggi vedo sempre meno allenatori che chiedono di poter partecipare agli allenamenti, questo succedeva anche quando allenavo la nazionale. Andare a vedere la grande pallavolo, rubare con gli occhi da allenamenti e finali, ti rende un tecnico migliore. La teoria è alla base. Ma vedere, provare, toccare con mano come lavorano le grandi squadre ti fa crescere”

La soddisfazione più bella della sua carriera?

Me ne sono tolte tante e non sarebbe giusto scegliere. Il periodo più bello però è quello vissuto con la Nazionale. Per il gruppo di lavoro, per lo staff, per il rapporto con la federazione che non ci fece mai mancare nulla. Siamo sempre stati tra le prime tre nazionali del mondo. Questo lavoro, al di là delle vittorie, resta nel tempo”

Un consiglio che darebbe a un giovane tecnico?

Mettici passione e abbi una tua idea di lavoro. Questo riguarda le dinamiche generali, ma c’è un aspetto che vorrei sottolineare: ai giovani dico sempre che bisogna saper insegnare la tecnica individuale. È fondamentale. Se sai lavorare bene con i singoli puoi fare tutto. Forse allenare i sistemi e i concetti globali è più semplice, ma la base è la tecnica individuale. Quella viene prima di tutto. Ci vuole pazienza, è vero, ma se non metti le fondamenta come puoi costruire una casa?”

Progetti per il futuro?

L’obiettivo è arrivare fino in fondo in tutte le competizioni. La mia Scandicci è forte, la società da 6-7 anni fa grandissimi sacrifici sia sotto il profilo dell’impegno profuso, sia dal punto di vista economico. Dopo il primo anno in cui abbiamo vissuto un po’ una fase di studio, e dobbiamo essere grati per aver svolto il nostro lavoro fino in fondo nonostante la pandemia, mi piacerebbe dare il mio contributo affinché Scandicci sia competitiva in tutti i tornei che giocherà”

(Fonte: comunicato stampa)


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