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    Dentro la “Sinner Spa”: come Jannik ha costruito (e continua a espandere) il suo piccolo impero. Investimenti a Milano

    Jannik Sinner nella foto (foto Brigitte Grassotti)

    Dal Corriere della Sera apprendiamo che Mentre a Torino si disputano le ATP Finals 2025, con i migliori otto del mondo a caccia del titolo di “Maestro”, Jannik Sinner si conferma non solo un campione in campo, ma anche un imprenditore dal fiuto acuto fuori dal circuito. La rete di società e investimenti che ruota attorno al tennista altoatesino — la cosiddetta “Sinner Spa”, come ormai viene soprannominata — si sta ampliando di anno in anno, tra immobili di pregio, holding e operazioni finanziarie di respiro internazionale.
    Il mutuo da 6,5 milioni per gli immobili in Corso VeneziaDagli atti notarili e contabili (notaio Alessandra Radaelli di Milano) emerge che Sinner ha acceso un mutuo quindicennale per acquistare due appartamenti nel cuore di Milano, in Corso Venezia, per un totale di oltre 6,5 milioni di euro — circa 10 mila euro al metro quadro.Gli immobili, rispettivamente di 403 e 289 metri quadrati, sono collocati all’interno di Casa Barelli, un elegante edificio a due passi da Piazza San Babila. A venderli, nel 2023, è stata la famiglia Buziol-Dametto, ex proprietaria del marchio di moda Replay.I fondi per l’operazione sono arrivati in parte da Monte Carlo (2,9 milioni) come finanziamento soci infruttifero, mentre 4 milioni sono stati ottenuti con un mutuo al tasso del 5% — non agevolato, ma in linea con le condizioni di mercato. Il prestito è stato concesso da CheBanca!, poi divenuta Mediobanca Premier, oggi parte del gruppo Monte dei Paschi.
    La “Foxera” cresce e si trasformaLa società Foxera Re Com sas, con sede in Italia e amministrata dal manager e amico storico di Jannik, Alex Vittur, ha curato l’operazione immobiliare.Da settembre la società ha cambiato pelle, trasformandosi da semplice accomandita immobiliare a srl, ampliando l’oggetto sociale verso attività più complesse — anche da holding di partecipazioni e coordinamento.Contestualmente, la sede è stata trasferita da Milano a Brunico, presso gli uffici della Baumgartner Partner, dove è cliente anche Vittur.
    I consulenti e il nodo HagerNelle operazioni finanziarie di Sinner ha assunto un ruolo importante lo studio Hager & Partners di Bolzano, fondato da Heinz Peter Hager, figura di spicco nel mondo immobiliare altoatesino e oggi indagato dalla Procura di Trento nell’inchiesta sui presunti intrecci tra affari e politica attorno al tycoon austriaco René Benko.Due consulenti dello studio, Josepha Iervolino e Dietmar Huber, sono stati nominati procuratori speciali sia per la Foxera Re Monaco (che controlla il 99% della società italiana), sia per la Avima, di Vittur (1%).La perizia patrimoniale firmata da Huber mostra che al 31 maggio 2025 la società possedeva gli immobili milanesi con un valore netto di 6,6 milioni, ma registrava una perdita d’esercizio di 147 mila euro e una perdita cumulata di 454 mila.
    Dalla “Foxera” alla “Wooly Lemon”: l’universo societario del campioneLo schema societario costruito attorno a Sinner ruota oggi attorno a diverse entità:Foxera Re Monaco, che gestisce il patrimonio;Foxera srl, il braccio operativo italiano;e la più recente Wooly Lemon, fondata nel 2024, che cura i diritti d’immagine e la promozione pubblicitaria del giocatore.Alla guida di quest’ultima figurava fino a pochi mesi fa Giuseppe Gianni, consulente societario e fiduciario di lungo corso, che però si è dimesso a luglio, con l’uscita formalizzata a fine settembre. Da allora, Sinner risulta l’unico “gérant” (amministratore) della struttura.
    Tra sport e business: un patrimonio da 80 milioniSecondo le stime, Sinner ha superato i 50 milioni di dollari in premi in carriera, al lordo delle tasse versate nei Paesi ospitanti, e guadagna oltre 30 milioni di euro l’anno dagli sponsor.Una parte consistente di questi proventi viene reinvestita attraverso le sue società di Monte Carlo, che — come accade spesso nel Principato — non pubblicano bilanci ufficiali.
    Dopo aver lasciato l’Italia nel 2020 per motivi fiscali, il campione sembra ora intenzionato a reinvestire nel suo Paese parte delle ricchezze accumulate.Un ritorno simbolico, forse, ma che racconta molto della crescita di Jannik Sinner: da ragazzo timido di San Candido a protagonista mondiale, capace di vincere sul campo e costruire fuori da esso un vero impero sportivo e finanziario.
    Marco Rossi LEGGI TUTTO

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    Gaudenzi parla a Torino: “Masters 1000 lunghi? Non esiste un formato perfetto. Abbiamo avviato un progetto e serve tempo per valutarne gli effetti. Poi faremo una revisione: se funziona, continuiamo; se no, si torna indietro”

    Andrea Gaudenzi, Presidente ATP, a Torino (foro Brigitte Grassotti)

    Il Presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi ha tenuto una lunga ed interessante press conference alle ATP Finals di Torino. Sono stati affrontati molti temi, in particolare quelli più “spinosi”: calendario, Masters 1000 allungati, futuro dei tornei 250, il difficile equilibrio tra impegni dei giocatori, compensi e riposo. Ha parlato davvero molto… dando risposte dettagliate che non sono novità per chi è addentro alle questioni e segue il tennis tutti i giorni, ma assai risolutive per coloro che invece sono poco avvezzi alla politica sportiva e ai suoi risvolti economici. Per questo riportiamo quasi integramente le risposte di Gaudenzi, in modo che gli appassionati possano farsi una idea dello status quo e anche delle richieste e lamentele dei giocatori. È indubbio che Andrea parli da ex giocatore ma soprattutto da manager; il suo è stato un intervento puntuale, equilibrato, con dettagli, e nel quale ha ribadito il suo concetto di fondo: per migliorare la situazione attuale sarebbe necessaria una governance più unitaria, ma riuscire ad accontentare tutti è quasi impossibile perché le esigenze sono molto diverse. Gaudenzi ha anche sottolineato come prima di cambiare qualcosa è indispensabile tastare il polso del pubblico: alla fine lo scopo del tutto è avere seguito e appassionare la gente, “fare un cambiamento perché piace a me o a qualcuno non funziona…” ha detto a fine press conference, a microfoni spenti. Per venire incontro alle richieste dei top players, che non amano i M1000 su 12 giorni, si sta anche valutando i dare due “bye” alle primissime teste di serie, in modo da consentire loro di giocare di fatto una sola settimana. È una delle tante cose di cui si parla, ma ancora si è lontani da qualsiasi decisione in merito. Queste le risposte di Gaudenzi.

    “Finals 2026? Direi che è un’edizione davvero straordinaria. Abbiamo iniziato in pieno periodo COVID, e non è stato facile, ma di anno in anno l’evento è cresciuto e migliorato costantemente. Complimenti alla FITP, che ha fatto un lavoro eccezionale. Dopo Londra c’era un po’ di apprensione, perché Londra era stata un’edizione fantastica. Credo che siamo riusciti a mantenere quel livello e persino a superare le aspettative iniziali. Quest’anno, poi, è particolarmente emozionante perché c’è in palio anche il numero 1 del mondo. Potrebbe decidersi oggi, oppure no, ma è davvero entusiasmante vedere i migliori giocatori del pianeta lottare per chiudere la stagione al vertice. È la situazione ideale: uno spettacolo eccezionale per il pubblico e per tutti gli appassionati che seguono il gran finale”.
    Si è parlato molto del calendario ATP e del contenuto della stagione, in particolare del futuro dei tornei di livello inferiore, come i Challenger o gli ATP 250. Qual è, secondo te, il futuro della categoria 250, considerando anche la cancellazione delle settimane di Metz e Atene?“Questa risposta potrebbe durare un’ora, ma cercherò di essere sintetico (sorride). Parto da una considerazione ovvia, anche se spesso la dimentichiamo: il tennis è uno sport estremamente difficile da pianificare, probabilmente il più difficile, per una ragione semplice — è a eliminazione diretta. Pensate a un torneo dello Slam o a un evento da 12 giorni: un giocatore può giocare una sola partita o arrivare a sette in meno di due settimane. In altri sport, come il golf, i primi 60 giocatori disputano sempre 72 buche in quattro giorni. Nel tennis, invece, hai un insieme di giocatori — diciamo i primi 100 — in cui si va dai top come Carlos e Jannik, che giocano circa 80 partite in 18-20 tornei, fino a quelli più indietro in classifica, che disputano 30-35 tornei ma molte meno partite. In teoria esiste un solo calendario, ma in realtà ne abbiamo quattro o cinque diversi dentro lo stesso anno. Io ero uno di quei giocatori che per lo più perdevano al primo o al secondo turno (sorride), e bisogna ricordare che metà dei giocatori escono al primo turno e il 75% entro il secondo. Per la maggior parte, un torneo dura due o quattro giorni; per altri, invece, molto di più. Questo rende bene l’idea della complessità.
    Ci sono giocatori che si lamentano perché si gioca troppo, altri che vorrebbero più tornei perché hanno bisogno di partite. Ed è proprio per questo che esistono i diversi livelli: Slam, Masters 1000, 500 e 250. Cerchiamo di trovare un equilibrio che funzioni per tutte le fasce di giocatori, inclusi i Challenger, che restano fondamentali per la crescita dei futuri campioni. Venendo alla tua domanda sui 250, negli ultimi anni la nostra strategia è stata quella di ridurne il numero: siamo passati da 38 a circa 29 (non ricordo esattamente la cifra). L’obiettivo, guardando al 2028, quando entrerà nel calendario il nuovo Masters in Arabia Saudita, è continuare a ridurre ulteriormente il numero di 250. I tornei 250 restano molto importanti, così come i Challenger e i 500 — ogni categoria ha il suo ruolo — ma ne avevamo semplicemente troppi, e il calendario diventava ingestibile. Ci sono due problemi: l’anno ha 52 settimane, e questo non lo cambiamo; inoltre i giocatori hanno bisogno di una vera off-season, di un periodo di pausa più lungo. Ora è troppo breve: serve tempo per staccare, rigenerarsi, allenarsi e poi ripartire con la stagione australiana. A complicare le cose c’è il fatto che nel tennis abbiamo sette entità coinvolte: i quattro Slam, ciascuno con la propria autonomia e date, l’ITF con la Coppa Davis (che negli ultimi anni ha cambiato spesso formato), e poi ATP e WTA.
    Dal punto di vista dei giocatori capisco bene le difficoltà: devono convivere con decisioni prese da sette “board” diversi. Ed è proprio per questo che nel mio piano One Vision propongo di unificare la governance del tennis: avere un’unica direzione, un unico tavolo decisionale, per costruire un calendario più armonico e sostenibile. La nostra strategia principale rimane quella di valorizzare il prodotto “premium”, cioè i Masters 1000. Il motivo è semplice: dobbiamo offrire ai fan il miglior spettacolo possibile, e questo avviene quando i migliori giocatori si affrontano nei migliori tornei. Quei momenti — gli Slam, i Masters e le Finals — sono il cuore della stagione. I tornei 500 e 250 restano cruciali per i giocatori che escono presto dagli eventi maggiori e hanno bisogno di giocare, di mantenere ritmo e forma. È una situazione complessa. Capisco, ad esempio, che per giocatori come Carlos o Jannik, che arrivano in fondo praticamente a ogni Slam e Masters, sia difficile completare un calendario pieno. Un’altra complicazione è che il nostro sistema è aperto: i giocatori sono professionisti indipendenti. Noi possiamo definire il calendario, ma sono loro a scegliere dove giocare. Possono preferire un 250 a un 500, o un 500 a un Masters. Abbiamo regole e incentivi legati al ranking per orientare le scelte, ma alla fine la decisione spetta a loro. E spesso — attratti da ingaggi — giocano anche tornei di categoria inferiore o esibizioni fuori dal circuito. È un problema complesso, senza una soluzione unica valida per tutti. Ma sono convinto che, se tutti — Slam, ATP, WTA, ITF — si sedessero allo stesso tavolo, con un’unica governance e un’unica visione, potremmo davvero fare un lavoro migliore di quello che stiamo facendo oggi. Mi fermo qui, perché so di aver già parlato tanto (sorride).
    Quando eri un giocatore, dicevi che ti fermavi spesso al primo, secondo, magari terzo turno. Se fossi ancora un giocatore oggi, come vedresti la riduzione del numero dei tornei 250, che renderebbe un po’ più difficile per te scalare i livelli e arrivare ai 500 o ai 1000? La seconda parte riguarda i tornei stessi: da quanto capisco, non sono entusiasti di dover disputare le finali a metà settimana, preferendo invece concludere al sabato o alla domenica. E infine, i giocatori continuano a lamentarsi dei Masters 1000 estesi a dodici giorni. Jack Draper ha contattato tutti i top 20, e non mi pare che la risposta sia stata molto positiva su questo formato.
    “Ci sono molti spunti nella tua domanda. Cercherò di rispondere punto per punto. Il primo riguarda i tornei 250, che ovviamente sono in contraddizione con l’espansione dei Masters. Se allarghi i Masters, non puoi contemporaneamente aumentare i 250. Devi fare una scelta. Durante la mia carriera mi sono sempre considerato un giocatore medio. Non ero tra quelli che arrivavano in fondo ai Masters o agli Slam. Sono stato per la maggior parte del tempo tra il numero 20 e il 50 del mondo, talvolta più in basso. Devo dire che ero piuttosto frustrato dal fatto che, anche quando ero intorno al numero 50 o 55 del ranking, potevo entrare nel tabellone principale solo di due Masters. Negli Slam sì, ma nei Masters dell’epoca solo Indian Wells e Miami avevano il formato attuale. Di fatto, da numero 50 del mondo, non potevi accedere a Monte Carlo, Roma, Madrid e agli altri tornei “premium”. Mi chiedevo: “Se posso entrare nel main draw di uno Slam, perché non posso farlo anche in un Masters?” Il campo di partecipazione era troppo ristretto. Ecco perché ritengo fondamentale l’ampliamento del tabellone a 96 giocatori. In questo modo i top 100 hanno la possibilità di giocare il main draw non solo negli Slam, ma anche in gran parte dei Masters — almeno sette su nove (le eccezioni restano Parigi, Monte Carlo e il futuro Masters in Arabia Saudita). Per quanto riguarda i 250, ammetto che ho commesso molti errori nella mia carriera. Spesso ho giocato tornei 250 sulla terra in Europa la settimana prima dello US Open — come Umago, San Marino e altri — semplicemente perché erano lì nel calendario. Ma col senno di poi, era una scelta sbagliata: se vuoi rendere sul cemento a New York, devi giocare sul cemento in America prima. Con il tempo ho capito che la programmazione è responsabilità del giocatore. Serve disciplina. Alcuni colleghi gestivano il proprio calendario in modo intelligente, senza farsi attirare troppo da “garanzie” (ossia degli ingaggi a parte per giocare, ndr). All’epoca, nei tornei minori, le “garanzie” erano frequenti. Io giocavo spesso in doppio con Thomas Muster, che le aveva sempre, e quindi finivo per seguirlo, anche senza avere un mio compenso (sorride). Ma non credo che un giocatore debba scegliere i tornei in base al denaro garantito. Bisogna giocare per i punti e per i titoli, soprattutto se sei tra i primi 50 o 100 del mondo. Il tennis, però, è un sistema aperto, con mille tentazioni. Ci vuole autocontrollo e consapevolezza delle proprie priorità.
    Tornando al numero dei 250: non sarà un problema, perché il nostro piano prevede settimane dedicate per ciascuna categoria. Avremo quattro Slam, dieci Masters, sedici 500 (quindi otto settimane con due tornei in parallelo) e dieci settimane di 250. In totale, 32 settimane di tornei di primo livello. Questo schema copre tutte le fasce della top 100. I migliori giocheranno principalmente Slam, Masters e pochi 500. Quelli di medio ranking parteciperanno a più 500 e 250. E i giocatori più indietro avranno spazio tra 250 e Challenger. È una piramide naturale. Se sei in alto, non dovresti “scendere di categoria”. Un giocatore come Sinner o Alcaraz non ha motivo di giocare i 250: il loro livello è superiore, e il focus dev’essere su Slam e Masters. In nessun altro sport un pilota di Formula 1 può partecipare a una gara di Formula 2: si protegge il valore del top level.
    Per quanto riguarda l’espansione dei Masters a 12 giorni, non ho inventato nulla. Indian Wells e Miami esistono in quel formato da 35 anni. Analizzando i dati, era evidente che questi tornei sovraperformavano tutti gli altri. E anche gli Slam, perché sono così forti? Per due motivi: infrastrutture eccezionali e una storia e un brand consolidati. Hanno stadi enormi e durano, di fatto, tre settimane (qualificazioni incluse).Il tennis è uno sport fortemente dipendente dal ticketing: gli incassi dai biglietti rappresentano oltre il 50-60% dei ricavi, mentre in altri sport il grosso arriva dai diritti media (60-70%). Per varie ragioni — tra cui la frammentazione che citavo prima — i biglietti sono la nostra principale fonte di reddito. Aumentare i giorni di torneo significa più pubblico e più ricavi. Già nel 2025, terzo anno del piano ma primo con i Masters estesi (inclusi Canada e Cincinnati), i risultati economici sono evidenti. I ricavi stanno crescendo sensibilmente. Nel 2024, grazie al nuovo modello, abbiamo distribuito quasi 20 milioni di dollari in profit sharing ai giocatori — contro i 6 milioni dell’anno precedente. È un aumento del 25% rispetto al montepremi base. In totale, i profitti dei Masters si aggirano sui 110 milioni. In pratica: il sistema funziona. È sostenibile e redistribuisce valore non solo ai top player, ma a tutto l’ecosistema, inclusi i giocatori tra il numero 100 e 150 del mondo. So bene che il formato dei 12 giorni non piace a tutti, soprattutto ai top player. Sono loro a restare più a lungo nel torneo e quindi a sentire il peso maggiore. Per gli altri, che escono prima, cambia poco. Forse serve qualche anno in più per stabilizzarsi o, in alternativa, una migliore redistribuzione economica per compensare chi genera più valore. È un tema di equilibrio economico: alcuni giocatori confrontano i guadagni di un’esibizione di un giorno con quelli di un Masters su 12 giorni. Capisco il ragionamento. Detto questo, non credo che esista un formato perfetto. Abbiamo avviato un progetto e serve tempo per valutarne gli effetti. Poi faremo una revisione: se funziona, continuiamo; se no, si torna indietro. Va ricordato che i 12 giorni sono stati possibili solo grazie a un accordo che finalmente ha reso trasparenti i conti dei tornei ai giocatori. Per 35 anni i tennisti non avevano accesso ai dati economici dei tornei. Ora sì: i libri contabili sono aperti e i giocatori sono veri partner economici.Inoltre, con la nuova aggregazione dei diritti media, tutto il sistema ne beneficerà nel medio-lungo periodo. Chiedo solo un po’ di pazienza: i risultati arriveranno. E anche una gestione più equilibrata del proprio calendario: se un giocatore toglie qualche settimana di esibizioni o tornei minori, il nuovo sistema non diventa un peso, ma un vantaggio.
    Le finali infrasettimanali? È una questione complessa. Penso tu ti riferisca soprattutto a Cincinnati e al Canada, giusto? Anche alla Cina, sì, non Shanghai, ma sì, Pechino e Tokyo. Per Cincinnati abbiamo deciso di tornare nel 2026 alla finale di domenica. In Canada, invece, lo spazio tra Wimbledon e lo US Open è così stretto che non c’era alternativa: comprimendo il calendario in tre settimane, la finale finisce inevitabilmente di mercoledì. Non è ideale, lo riconosco. Detto questo, anche in altri sport il “sacro Graal” della finale domenicale non è più una regola assoluta. Il calcio gioca spesso al lunedì sera, la NFL al giovedì, la Champions League al mercoledì. Viviamo in un mondo più flessibile, anche dal punto di vista lavorativo e delle abitudini del pubblico. Credo che in futuro ci sarà più libertà anche nel modo di programmare gli eventi sportivi. Quando pianifichiamo il calendario, dobbiamo pensare anche ai tifosi e alla concorrenza: se la nostra finale coincide con un Gran Premio di Formula 1, forse non è la scelta migliore. È una questione di strategia, di pubblico globale e di fusi orari: quello che funziona negli Stati Uniti può non funzionare in Europa. La programmazione è un puzzle complicatissimo. Ma il principio deve essere uno: mente aperta e capacità di adattarsi. Ad esempio, ora che Cincinnati passerà alla finale domenicale, vedremo la differenza in termini di pubblico, ascolti e coinvolgimento. E poi decideremo di conseguenza.
    C’è qualche indicazione sul fatto che il torneo resterà a Torino fino al 2030?“Non ancora. Non abbiamo ancora deciso nulla oltre al prossimo anno. È una conversazione che dovremo avere con la FITP, probabilmente all’inizio del prossimo anno. Sì, per ora non c’è nessuna decisione definitiva. Siamo davvero felici qui, questo è ovviamente un elemento importante da considerare. Ma non abbiamo ancora preso una decisione finale. Ci siamo accordati per sederci e discutere la questione dopo questo evento, e affrontarla seriamente a inizio del prossimo anno. Il 2026 è già stato annunciato: sarà ancora a Torino. Stiamo parlando del 2027, 2028, 2029 e 2030.
    Ha in mente un numero ideale di settimane per la off-season? Se ne parla da tanto. Qual è, secondo lei, la durata giusta perché un giocatore possa staccare la racchetta, stare con la famiglia, gli amici, prendersi una pausa? Sei settimane? Un mese?
    È una bella domanda. Mentre rispondo, cercherò anche di spiegare un po’ la complessità del calendario. Non credo ci sia un numero esatto. Alcuni giocatori dicono sei, altri sette, altri otto settimane. Sicuramente un giocatore ha bisogno di una o due settimane di completo riposo, poi una o due settimane per lavorare sul fisico — atletica, palestra — e solo dopo ricominciare a toccare la racchetta. Di certo deve essere più lunga di quanto non sia oggi. Poi la domanda è: per chi? Ai miei tempi, ad esempio, io finivo sostanzialmente a Parigi. Perdevo al primo turno indoor, era tutto molto rapido (sorride). Ho giocato la finale di Coppa Davis una sola volta in carriera: quella è stata l’unica volta in cui ho dovuto aspettare. Altrimenti, giocatori come me erano già in vacanza. Ovviamente ci sono i top player, gli otto qualificati alle Finals, che devono restare in attività più a lungo. Ora con il nuovo formato di Coppa Davis, anche chi perde a Parigi deve aspettare per le Finals e poi ancora per quell’evento. Ho introdotto un concetto di cui ho già parlato: amo profondamente la Coppa Davis. È un evento straordinario. Probabilmente lì ho giocato le migliori partite della mia carriera. È un asset incredibile per il tennis e dovremmo tutti lavorare insieme per farne la vera Coppa del Mondo del tennis. Secondo me, il formato ideale è quello con le sfide in casa e in trasferta. L’atmosfera è unica. Ho giocato una finale a Milano — probabilmente il ricordo più bello della mia carriera — e tante altre in diverse sedi. Vai in paesi dove il circuito non arriva mai. Ho giocato i quarti contro gli Stati Uniti, Agassi e Sampras, a Palermo. Abbiamo giocato a Firenze contro lo Zimbabwe. Le federazioni hanno la possibilità di portare il tennis in città che non l’hanno mai visto. Anche senza i top player, riempi comunque lo stadio e crei un’atmosfera incredibile. Quella, per me, è l’essenza del nostro sport. Il problema, allora, era che si giocava ogni anno e su superfici diverse. Ricordo una Davis contro la Repubblica Ceca a Napoli, su terra: vincemmo, e il martedì successivo ero a Dubai sul cemento. Passare da terra a cemento in due giorni, volare, e poi giocare: non so come, ma quell’anno arrivai in finale a Dubai. È molto impegnativo. Nel mondo ideale, la Davis dovrebbe mantenere il formato casa/trasferta ma disputarsi ogni due anni. Non esiste, che io sappia, una Coppa del Mondo che si giochi ogni anno. Sarebbe meglio per il prodotto, e alleggerirebbe il calendario.
    Infine, c’è il tema del gap tra Parigi e le Finals. Ed è lì che entra in gioco l’inizio di stagione. Correggetemi se sbaglio, ma credo che Novak abbia vinto sette volte l’Australian Open senza giocare tornei di preparazione. Jannik lo ha vinto senza giocare nulla prima. Per quei giocatori, a quel livello, si possono “guadagnare” un paio di settimane in più a gennaio. Torno al concetto di flessibilità: il giocatore può costruirsi il proprio equilibrio nel calendario. Non sei obbligato a giocare le prime settimane se non vuoi. Se vai troppo in fondo ai tornei, devi fermarti. Per questo stiamo pensando al 2028 tenendo tutto ciò in considerazione. Credo che i giocatori abbiano bisogno di almeno sette settimane di off-season.
    Chiedono a Gaudenzi che ne pensa delle rivendicazioni firmate dai migliori giocatori agli Slam, per condizioni migliori. Se influenza il rapporto tra ATP e il resto dell’ecosistema tennistico.In generale, torno a parlare di One Vision, il piano che ho presentato nel 2020, quando ho iniziato. Ci sono inevitabilmente delle criticità nel nostro sistema, dovute alla storia e al fatto che abbiamo quattro Slam indipendenti, oltre ad ATP, WTA e ITF. Gli Slam, e voglio sottolinearlo con forza, sono i migliori tornei del nostro sport. Sono un patrimonio straordinario. Rappresentano la vetrina perfetta per il tennis. Li ringrazio enormemente per quello che hanno fatto e continuano a fare. Da giocatore, cresci sognando di partecipare a uno Slam. I due grandi obiettivi sono diventare n.1 e vincere uno Slam — tutto il resto viene dopo. Sono fondamentali. Tuttavia, dal punto di vista dei giocatori, agli Slam manca rappresentanza diretta. Nell’ATP, il 50% della governance è composta da giocatori. Ogni decisione passa attraverso il board dei giocatori, che viene eletto dal Players Council, formato da 10 giocatori che rappresentano il gruppo più ampio. È un sistema molto democratico.Con gli Slam, invece, parliamo di entità indipendenti. Da un lato è un vantaggio, perché possono muoversi più liberamente; dall’altro, dal punto di vista dei giocatori, manca una voce diretta. Si chiedono: “E la nostra rappresentanza? E la compensazione economica?”. Noi, in ATP, abbiamo una formula trasparente: più valore generi, più valore ottieni. Gli Slam pagano premi altissimi e generano enormi ricavi, e i giocatori chiedono solo una rappresentanza equa e una remunerazione equa. Magari i livelli attuali sono già corretti, ma vogliono sentirsi ascoltati. È una richiesta legittima. L’obiettivo di One Vision è proprio questo: riunire tutti allo stesso tavolo — giocatori, uomini e donne, Slam, Masters, 500 e 250 — perché parliamo allo stesso pubblico, gli appassionati, che seguono l’intera stagione. L’ho detto più volte: oggi è come scrivere un libro in cui ogni capitolo è scritto da un autore diverso e venduto in una libreria diversa. Non è il modo ottimale per raccontare il nostro sport”.
    Una domanda anche sulla nuova legge dello sport (del Governo Meloni) potenzialmente può creare problemi per quando riguarda l’organizzazione delle Finals, visto che prevede l’intervento diretto dello Stato, mentre ATP ha firmato un contratto con FITP. Così Gaudenzi: “Abbiamo un contratto con la FITP, c’è un ottimo rapporto e vogliamo continuare con loro. Se dal governo emergono novità e non sono più in condizioni di rispettare il contratto, allora ci potrebbero essere problemi. Ritengo questo, relativamente all’ingresso del governo: bene se volete essere coinvolti nello sport per aiutare a livello di strutture. Il tennis richiede un investimento enorme a livello di impianti che vengono usati poche settimane all’anno. In Arabia Saudita ci sarà un investimento di 2 miliardi per la creazione del nuovo Masters, quindi se non c’è un intervento del governo questo non è sostenibile. In Australia è stato decisivo l’intervento del governo di Victoria per creare tre stadi coperti e oggi l’impianto di Melbourne è eccezionale. Non vogliamo portare l’evento all’estero, siamo felicissimi qua, ma se FITP non riesce a rispettare le clausole allora dovremo sederci al tavolo”.
    Da Torino, Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    ATP Finals: De Minaur entra in modalità “Demon”, batte Fritz e resta in corsa per la semifinale

    Alex De Minuar (foto Brigitte Grassotti)

    Dalla più cupa disperazione all’incredibile e concreta possibilità di volare in semifinale alle ATP Finals. Questo il frullatore impazzito in cui si ritrova Alex De Minaur, passato in poco più 24 ore dalle lacrime per la delusione mortale sofferta con la rimonta subita da Musetti alla speranza di staccare il pass per le semifinali a Torino grazie a una prestazione splendida e meritata vittoria su Taylor Fritz nel suo terzo incontro del girone Connors. L’australiano entra in modalità “Demon”, letteralmente indiavolato, fa tutto bene dal punto di vista tattico e con una rapidità clamorosa, prendendo in velocità l’americano e vincendo l’incontro per 7-6(3) 6-3. Un successo assolutamente meritato per De Minaur, assai più attivo e offensivo fin dalle prime palle, mentre Fritz è apparso meno reattivo con i piedi e falloso con quel rovescio che invece aveva incantato nella partita giocata benissimo contro Alcaraz, seppur persa. Nemmeno il servizio ha assistito a dovere il californiano, costretto a rincorrere per quasi tutta la partita sotto i colpi intensi, profondi e “cattivi” del rivale, prontissimo ad aggredire ogni palla e correre a rete o chiudere con un colpo in avanzamento quasi sempre ben calibrato. È davvero il tennista più rapido del tour l’australiano, impressionante come sia riuscito a rimettere – e con qualità – tante accelerazioni potenti del rivale, forzandolo a prendersi un altro rischio e provocandone molti errori. A questo punto i giochi sono del tutto aperti nel girone Connors: se Alcaraz stasera riuscisse a battere Musetti in due o tre set, De Minaur si qualificherebbe per secondo nel girone, estromettendo così Fritz. Due giorni fa questo scenario sembrava molto difficile per non dire impossibile.
    “Amo giocare in Italia, a Torino, qua è incredibile! Un paio di giorni fa ho perso un match che mi ha fatto molto male, ora tutto questo, sono davvero grato al pubblico” afferma a caldo Alex dopo il successo. “Stasera? Quel che succede succede, cercherò di passare una serata fantastica in città”. Parole cariche di emozione quelle di De Minaur, finalmente sereno, libero dai fantasmi accumulati con la troppa fiele in corpo per una sconfitta che gli ha fatto male, quando era a un passo dalla vittoria martedì sera. E nella vittoria odierna vs. Fritz proprio la sua veemente reazione, la voglia di riscatto è stata certamente decisiva, gli ha fornito quelle energie e carica agonistica a prendere l’incontro di petto e non far mai respirare Fritz. L’americano ha molta più potenza nei suoi colpi ma è stato come investito da un vento di tempesta e ha vacillato, probabilmente con ancora nel corpo le fatiche dei primi due match, soprattutto quello duro contro il n.1 del mondo. Nemmeno con il servizio Taylor ha fatto davvero la differenza, tutto usciva più lento e meno deciso dalle sue corde, anche perché Alex non gli ha mai lasciato il tempo di giocare con potenza e di tenere l’iniziativa.
    Un fulmine De Minaur, bellissimo vederlo correre con una frequenza di passi micidiale, scaricare forza a terra e nella palla entrando davvero con tutto quello che aveva, inclusa una rabbia agonistica furibonda che l’ha portato ad attaccare anche più dei suoi standard. Un rischio alto, ma anche tatticamente corretto per non lasciare all’avversario il tempo di sbracciare a tutta. De Minaur ha controllato il centro del campo e il ritmo di gioco, davvero bravo a colpire come un pugile agilissimo che ti punzecchia di continuo e ti gira attorno leggiadro e beffardo, facendoti girare pure la testa. Bravo Alex, un successo meritato che lo avvicina di molto alla semifinale, dove magari potrebbe trovare – da secondo del girone – un “certo” Sinner, uno che conosce discretamente bene…
    Da Torino, Marco Mazzoni

    La cronaca
    De Minaur inizia bene l’incontro, è intenso e sbaglia poco, mentre Fritz si fa prendere in velocità dal rivale nel terzo game e va sotto. Con un errore di diritto e poi un rovescio sul 30-40 concede il primo break dell’incontro, per il 2-1 De Minaur. Poche prime per Taylor, che poi in risposta indovina un gran passante in corsa di rovescio, non il suo colpo più sicuro (15-30). Alex resta molto attivo, dal centro del campo comanda e con un bel rovescio cross d’attacco si prende punto del 3-1. Enorme la differenza di velocità in campo tra i due, anche a livello di reattività De Minaur è superiore in quest’avvio, entrato in campo deciso a cancellare la dura sconfitta vs. Musetti. Fritz è costretto a prendersi non pochi rischi per sbaragliare la difesa dell’australiano. Sul 3-2, l’americano cambia marcia col diritto: tira alcune accelerazioni davvero potenti e ora la difesa dell’aussie ad andare in crisi. 15-40. Con una risposta di diritto a tutto braccio Fritz strappa il contro break, 3 pari e poi 4-3 con un turno di battuta impeccabile, chiuso con un rovescio vincente splendido. Il set avanza sui turni di servizio, anche se entrambi giocatori sono soltanto intorno al 50% di prime palle in gioco. Più nervoso Fritz, affretta un po’ i tempi dell’affondo e sbaglia qualcosa di troppo, sembrando a tratti anche un po’ stanco, come lo smash colpito malamente, molto pesante con le gambe, che porta l’undicesimo game ai vantaggi). De Minaur si fa sentire in risposta, strappa una palla break ma Taylor tira il suo terzo Ace del match per annullarla. Molti più gli errori dei vincenti, la qualità non è altissima. Col quarto Ace, Fritz si porta avanti 6-5, poi De Minaur lo raggiunge al tiebreak. Come parte De Minaur… tira fortissimo, si prende di prepotenza il mini-break in apertura e vola avanti 3-0, super offensivo. L’aussie entra in modalità “Demon”: è ovunque, spinge con grande anticipo si gira 5-1. Con un diritto vincente nell’angolino ecco il 6 punti a 1 per Alex. Con un servizio precisissimo al T, è 7 punti a 3 De Minuar. Tiebreak impeccabile, Fritz non al livello del match vs. Alcaraz.
    De Minaur riparte con lo stesso vigore e intensità nel primo game del secondo parziale, serve bene e chiude il gioco sul net, può fare corsa di testa. Fritz cerca di accelerare col diritto ma oggi i piedi non accompagnano la velocità del braccio e con poco equilibrio gli errori sono troppi. Con due unforced si ritrova sotto 0-30. Favolosa la difesa del net di Alex, pure su di lob tutt’altro che malvagio di Taylor, 0-40, tre palle break. Si prende il break subito con un bel rovescio lungo linea. 2-0. Mani sul volto per Fritz dopo l’ennesimo errore, stavolta un rovescio di scambio, ma la rapidità micidiale di Alex da mal di testa, è letteralmente da tutte le parti e sbaglia poco. Una risposta in rete di Fritz fissa lo score sul 3-0 ADM. Aggrappandosi al servizio l’americano torna a vincere un game (3-1), il problema è trovare qualità in risposta per riaprire il match, e non è affatto facile visto il piglio dell’australiano, prontissimo ad entrare a tutto braccio dopo una battuta incisiva (la sua prima palla veleggia sopra i 200 km/h di media e finora a concesso solo 4 punti con la prima in campo). 4-1 De Minaur. Fritz spreca una piccola occasione sul 4-2 15-30, con un colpo di scambio che gli esce di poco, classico errore gratuito, e sottolinea vistosamente la propria delusione. Alex “ringrazia”, serve bene e vola 5-2. Ormai De Minaur è padrone del campo, non cede neanche un millimetro, difende e contrattacca. Sul 30 pari è maestoso come rincorre, riguadagna il centro del campo e vola dentro a prendersi il match point! Altro scambio mozzafiato, stavolta la corsa folle del “canguro” non basta, Fritz lo infila col passante. Succede di tutto, proprio all’ultimo ecco gli scambi più spettacolari del match, con il pubblico finalmente partecipe. Taylor regge, si porta 5-3, ora Alex serve per la vittoria. L’adrenalina degli ultimi punti ha riacceso l’americano, più vigore nei colpi e col diritto torna a “spaccare” la palla. 0-30! Ace di De Minaur, 15-30 e poi 30 pari con più di un patema sotto rete. Altro gran servizio esterno, Match Point #2, stavolta col servizio. Finisce con una bella prima palla e il tripudio del pubblico. Assai affranto l’americano, che rischia seriamente l’eliminazione nonostante una vittoria e una prestazione super contro Alcaraz. Deciderà tutto la partita tra Musetti e lo spagnolo.

    Taylor Fritz vs Alex de Minaur ATP Turin Taylor Fritz [6]63 Alex de Minaur [7]76 Vincitore: de Minaur ServizioSvolgimentoSet 2A. de Minaur 0-15 0-30 15-30 ace 30-30 40-303-5 → 3-6T. Fritz 15-0 30-0 30-15 30-30 30-40 40-40 A-402-5 → 3-5A. de Minaur 0-15 15-15 15-30 30-302-4 → 2-5T. Fritz 15-0 30-0 ace 40-15 ace ace1-4 → 2-4A. de Minaur 15-0 15-15 df 30-15 40-151-3 → 1-4T. Fritz 15-15 ace 15-30 30-30 40-300-3 → 1-3A. de Minaur 30-0 30-15 40-150-2 → 0-3T. Fritz0-1 → 0-2A. de Minaur 0-15 15-15 ace 30-15 40-30 df0-0 → 0-1ServizioSvolgimentoSet 1Tiebreak0*-0 0-2* 1*-3 1-5* 1*-6 3-6*6-6 → 6-7A. de Minaur 30-0 30-15 40-156-5 → 6-6T. Fritz 0-15 15-15 30-30 40-30 40-A 40-40 A-40 40-40 A-40 ace5-5 → 6-5A. de Minaur 0-15 30-15 40-15 ace5-4 → 5-5T. Fritz 0-15 0-30 15-30 30-30 40-304-4 → 5-4A. de Minaur 0-15 15-30 30-30 ace4-3 → 4-4T. Fritz3-3 → 4-3A. de Minaur2-3 → 3-3T. Fritz 15-0 30-0 40-0 40-15 40-30 40-40 A-401-3 → 2-3A. de Minaur 15-0 15-30 30-30 40-301-2 → 1-3T. Fritz 15-0 15-30 30-301-1 → 1-2A. de Minaur 15-15 30-15 40-15 40-30 df1-0 → 1-1T. Fritz 15-0 30-0 40-00-0 → 1-0 LEGGI TUTTO

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    Nicole Fossa Huergo cambia bandiera: da oggi rappresenterà l’Argentina

    Nicole Fossa Huergo ITA, 26.05.1995

    Cambio di colori per Nicole Fossa Huergo, tennista classe 1995 nata a Isernia da genitori argentini. Dopo anni trascorsi a difendere i colori italiani, la giocatrice ha scelto di rappresentare ufficialmente l’Argentina, la terra d’origine della sua famiglia.
    Cresciuta in Romagna, Nicole si è sempre definita una “cittadina del mondo”: nel 2015 ha infatti intrapreso un percorso universitario negli Stati Uniti, studiando a Phoenix e alternando lo studio con il tennis competitivo. La sua decisione di cambiare nazionalità sportiva arriva in un momento di grande maturità personale e professionale, e segue un trend recente che ha visto altri tennisti italiani optare per nuove bandiere. All’inizio dell’anno, ad esempio, Peter Buldorini ha scelto di rappresentare l’Irlanda, con cui ha anche debuttato in Coppa Davis.
    Con il passaggio alla federazione argentina, Nicole Fossa Huergo si prepara a una nuova fase della sua carriera, che potrebbe aprirle le porte della nazionale di Billie Jean King Cup e di ulteriori tornei internazionali sotto la bandiera albiceleste.
    Marco Rossi LEGGI TUTTO

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    Il dolore di De Minaur a Torino apre un dibattito: è giusto che i tennisti sconfitti siano obbligati ad esporsi pubblicamente subito dopo la partita?

    Alex De Minaur dopo la dura sconfitta vs. Musetti (foto Brigitte Grassotti)

    Lo sguardo e parole di Alex De Minaur dopo la dura sconfitta subita contro Lorenzo Musetti hanno toccato i presenti all’Inalpi Arena e tutto il mondo del tennis. Una disperazione sincera quella dell’australiano, dirompente, esternata a caldo con ancora in testa quella rimonta che l’ha condannato all’ennesima battuta d’arresto contro un top 10. Dalla Gran Bretagna un noto cronista lancia una proposta: è giusto che un tennista sconfitto e toccato così nel profondo debba andare obbligatoriamente in press conference poco dopo la partita?
    “Se voglio davvero fare sul serio e compiere il prossimo passo nella mia carriera, queste partite non posso perderle. Semplicemente, non posso”, ha detto De Minaur, quasi piangente, dopo la partita contro Musetti. “Ho la sensazione di averne perse tante quest’anno. Più di ogni altra cosa, sto arrivando a un punto in cui mentalmente mi sta distruggendo”. Parole dure, sembrava un pugile appena messo al tappeto.
    “I regolamenti dei tornei del Grande Slam e degli eventi maggiori obbligano i giocatori a parlare con i media qualora venga presentata una richiesta, e in un appuntamento prestigioso come le ATP Finals questo significa affrontare la stampa sia dopo le vittorie sia dopo le sconfitte” commenta Kevin Palmer, noto cronista inglese. “Il tennis è uno dei pochi sport in cui i giocatori battuti devono presentarsi ai giornalisti immediatamente dopo una sconfitta. Un aspetto che, negli ultimi anni, anche atlete come Naomi Osaka hanno messo in discussione, suggerendo che forse le regole sull’obbligo di parlare con i media andrebbero riviste. Il golf, per esempio, segue regole diverse: i giocatori non sono tenuti a parlare con la stampa, e persino un campione come Rory McIlroy, vincitore del Masters, ha talvolta scelto di saltare i suoi impegni con i media negli ultimi anni”.
    Il sincero dolore esternato da De Minaur a Torino potrebbe riaprire il dibattito su quanto sia giusto costringere un giocatore appena reduce da una sconfitta dolorosa a rivivere quella ferita parlando pubblicamente pochi minuti dopo. È assolutamente da tutelare l’importanza dei media e sulla promozione del tennis che deriva dal riportare i commenti dei tennisti, ancor più in eventi basilari nella stagione come le Finals, ma Palmer lancia una proposta: “Sarebbe forse stato più opportuno diffondere un comunicato piuttosto che sottoporre il giocatore a un confronto tanto difficile davanti alle telecamere. De Minaur appariva confuso, come se faticasse ancora a elaborare quanto accaduto. E in un momento storico in cui l’attenzione al benessere mentale degli atleti è sempre più centrale, questa conferenza stampa è sembrata qualcosa che, forse, non avrebbe dovuto avere luogo”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    ATP Finals: Bolelli-Vavassori sconfitti da Krawietz-Puez al match tiebreak nel terzo incontro del girone (con semifinale già conquistata)

    Simone Bolelli e Andrea Vavassori (foto Brigitte Grassotti)

    Una sconfitta al foto finish per la coppia Bolelli – Vavassori nel terzo match del girone alle ATP Finals, con la delusione per un match point non sfruttato, ma tutto sommato indolore visto che i due alfieri azzurri erano sicuri di un posto in semifinale grazie alle prime due vittorie già conquistate. Simone e Andrea hanno rimontato un set al collaudato due tedesco Krawietz – Puez (sesti nel seeding delle Finals di doppio e campioni in carica nel torneo), ma non sono riusciti a spuntarla, sconfitti per 7-6(5) 4-6 13-11 al match tiebreak decisivo. Quasi due ore di battaglia con momenti davvero spettacolari, con l’elettricità al massimo nel game decisivo, dove gli italiani sono arrivati sul 10 punti a 9 e quindi match point a favore, ma senza riuscire a chiudere l’incontro, poi sconfitti per 13 punti a 11. Sabato Bolelli – Vavassori saranno la prima coppia tutta italiana a giocarsi l’accesso alla finale delle Finals.
    Nel primo set non c’è nemmeno una palla break, scontato l’approdo al tiebreak. Bolelli con un errore di diritto concede il primo mini-break al duo tedesco, per il 3 punti a 1, quindi i campioni in carica si portano avanti 5-2.  Vavassori serve bene e porta gli azzurri sul 5-4, quindi sempre Andrea trova una bella risposta di rovescio che impatta lo score sul 5 pari. Puetz porta i tedeschi al set point sul 6-5 e qua Krawietz tira una gran risposta di diritto che sorprende gli azzurri, per il 7-5 che vale loro il primo set.
    Ottima la reazione degli italiani, che servono benissimo e vanno a prendersi il primo break del match nel terzo game sul servizio di Krawietz. Bolelli servendo sul 4-3 è bravo ad annullare due delicate palle break e tirare un gran rovescio vincente sul punto decisivo, per il 5-3. Il set si conclude per 6 giochi a 4, si va al match tiebreak.
    Partono forte gli italiani, mini-break immediato ed Ace di Vavassori, per il 2-0. Puetz non molla e i tedeschi rimontano e sorpassano gli italiani, 3-2. Si gioca punto su punto, con grande tensione agonistica, e la coppia tedesca arriva a match point sul 9-8, dove è bravo Bolelli sul net a prendersi un punto importantissimo. Con un ace di Vavassori c’è un match point per gli italiani sul 10-9, ma Krawietz serve alla perfezione e lo score passa a 11-10 per i tedeschi. Puetz è il protagonista del finale di partita: prima tira fuori una volè ma al punto successivo con una perfetta risposta porta lo score sul 12-11. Stavolta Krawietz si fa trovare pronto sul net e chiude l’incontro per 13 punti a 11. LEGGI TUTTO

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    Da Rovereto – Luca Stoppini: “In quattro mesi abbiamo compiuto un miracolo, ma un torneo così richiede respiro lungo”

    Luca Stoppini: “Un torneo così non lo sognavamo”


    Sono passate tre settimane dall’ultimo colpo vibrato al Rovereto Open WTA 125, e tuttavia la brezza di quei giorni continua a volteggiare come una pallina dispettosa sopra il PalaBaldresca. Torneo giovane d’anagrafe, quasi fanciullesco, eppure già adulto nei modi: nato in fretta e furia, cresciuto a ritmi da sprint, ma capace di lasciare un solco, come i passi di un fondista sulla neve buona.Registi dell’opera, veri timonieri della nave in piena burrasca, sono stati Luca Stoppini, quarantun anni, ex giocatore ATP dall’anima guerriera, oggi direttore dell’agonistica, insieme al presidente del CT Rovereto Francesco Liace e all’intero Consiglio Direttivo, squadra silenziosa ma indispensabile, che ha lavorato come una brigata di artigiani votata alla causa comune.
    Ora, a giochi conclusi, li si sorprende finalmente distesi, quasi increduli d’aver domato la tempesta organizzativa. “Sto tornando a respirare” sospira sorridendo. “Il torneo ha superato ogni fantasia. Non ce lo sognavamo così bello. Tyra Grant come stella nascente, un’italiana in finale, una coppia azzurra a contendersi il doppio… e soprattutto un livello tecnico da grande tennis. Il pubblico ha sentito il profumo della qualità e le giocatrici hanno ringraziato. Le nostre strutture — PalaBaldresca e campi d’allenamento che paiono suoi fratelli siamesi — sono state un’arma segreta.”E Rovereto, piccola fortezza trentina, ha richiamato anche nomi pesanti del tennis italico: Renzo Furlan, Tathiana Garbin, Paolo Lorenzi. “Non me l’aspettavo” confessa Stoppini, come uno che vede spuntare un cervo dalle nebbie d’autunno. “Entro l’anno siederemo con WTA e FITP per capire come procedere. In quattro mesi abbiamo compiuto un miracolo, ma un torneo così richiede respiro lungo. Gli sponsor, le strutture, le necessità… Non si può correre ogni anno con il fiato in gola.”
    Le nuove leve, più ardenti di un’albaAccanto ai nomi già noti, la gioventù si è messa in mostra come grano verde sotto il sole primaverile. “Tyra Grant mi ha colpito” dice Stoppini. “Ha gli occhi del mondo addosso ma resta umile, tranquilla, contenta del suo mestiere.”
Eppure, sul piano tennistico, una sola ha giganteggiato: Oksana Selekhmeteva. “Di un’altra categoria. Se non entra presto tra le prime cinquanta, mi stupirei. Gioca un tennis che non mente.”
    La festa, il rito, la tribùGli ultimi due giorni hanno avuto l’aria del sabato di campanile: luci, musica, folla calda. “Volevamo creare qualcosa di speciale. Credo ci siamo riusciti. Per il futuro potremmo concentrare tutto su un unico campo dal venerdì, così da far vibrare meglio l’atmosfera.”Però, ammonisce Stoppini con tono da maestro di campo, il cuore dell’evento resta uno solo: “Questo torneo deve essere una festa anche per i nostri ragazzi. Un richiamo, una fiammata. Vedere da vicino il tennis vero può accendere sogni e ambizioni.”Così Rovereto, alla sua prima uscita nella grande giostra internazionale, ha vissuto giorni di sudore e passione, di apprendistato e audacia. E ciò che resta oggi, come nelle storie più belle dello sport, è una promessa: non un traguardo, ma una partenza. LEGGI TUTTO