More stories

  • in

    Verso la Del Monte Coppa Italia. History Remix, a cavallo del millennio, tra cambiopalla e RPS

    Si avvicina la Del Monte Final Four di Coppa Italia, in programma nel weekend del 5-6 marzo alla Unipol Arena di Bologna. Andiamo a ricordare le edizioni precedenti più significative, le finali più combattute, le curiosità che hanno caratterizzato la storia di questa manifestazione. Seconda Puntata – 1999 e 2000, due Coppe così vicine ma […] LEGGI TUTTO

  • in

    Verso la Del Monte Coppa Italia: History Remix, la storica finale del 1991, Ravenna-Milano

    Si avvicina la Del Monte Final Four di Coppa Italia, in programma nel weekend del 5-6 marzo alla Unipol Arena di Bologna. Andiamo a ricordare le edizioni precedenti più significative, le finali più combattute, le curiosità che hanno caratterizzato la storia di questa manifestazione. Prima Puntata – 1991, il primo trofeo del Messaggero RavennaIl 3 […] LEGGI TUTTO

  • in

    Europei M.: 1990, Italia-Germania, quella lontana prima “prima” volta… con Giani e De Giorgi in campo

    L’Italia campione del Mondo 1990… giocò contro la prima Germania unita poche settimane prima del titolo iridato

    OSTRAVA – La sfida di oggi tra Italia e Germania ha radici profonde che risalgono al primo periodo della Generazione di Fenomeni.In totale ad oggi sono 41 i precedenti, 31 successi italiani, 10 tedeschi ma ancora nell’Europeo del 1989, nel Girone A di Stoccolma, gli azzurri di Velasco, prima di arrivare al primo storico oro continentale, superarono tra il 24 e il 25 settembre prima la Germania Ovest 3-1 (15-2, 15-9, 13-15, 15-2) poi la Germania Est sempre per 3-1 (11-15, 15-5, 15-1, 15-13). Le due nazionali tedesche si classificarono al 9° posto (Est) e 11° posto (Ovest), ultima volta dei due team divisi in una classifica di volley considerato che poco più di un mese dopo, il 9 novembre, il Muro di Berlino venne abbattuto e con esso cancellata la divisione della Germania.Nel 1990 arrivò quindi la prima uscita dei tedeschi sotto una sola bandiera anche sottorete e accadde proprio contro l’Italia di Velasco che andò a Berlino per giocare il 6 ottobre un Germania-Italia storico e subito intenso. I campioni d’Europa a dare il benvenuto alla nuova realtà frutto della riunificazione tedesca. Finì 2-3 per gli azzurri di Velasco (15-10, 10-15, 15-9, 12-15, 10-15) con Anastasi, Bernardi, Bracci, Cantagalli, De Giorgi, Gardini, Giani, Lucchetta, Masciarelli, Martinelli, Tofoli.Sei giorni dopo gli azzurri sfidarono a Milano una formazione di All Star del campionato e persero 0-3 (13-15, 12-15, 16-17)… Ultimo test prima della partenza per il Mondiale del 1990. I dubbi azzurri della vigilia iridata furono addolciti da Karch Kiraly allora martello USA già due volte oro olimpico (1984, 1988) e una volta campione del Mondo (1986): “Anche a noi statunitensi capitò di perdere l’ultima amichevole prima di vincere Olimpiadi e Mondiale.  L’Italia può fare a stessa cosa”. Infatti, poche settimane dopo vinse l’oro iridato di Rio. LEGGI TUTTO

  • in

    Le grandi sfide del passato: Quella sera che Parma fece piccola Mosca in Supercoppa

    MODENA – Dopo la sconfitta rimediata nella prima edizione (1987/88) ad opera di un grande CSKA Mosca, la finale di Supercoppa europea 1988/89 offre alla Maxicono di Gian Paolo Montali l’opportunità di prendersi la rivincita dopo l’amara sconfitta rimediata nell’edizione precedente.Soltanto qualche anno prima sarebbe stato impensabile parlare di rivincita, considerando il divario esistente tra la nostra pallavolo e quella sovietica. Nessun appassionato di pallavolo avrebbe potuto, anche soltanto immaginare, di poter sfidare l’orso sovietico ad armi pari, avendo trascorso decenni ad ammirare le prodezze di fuoriclasse assoluti quali Zaitsev e Savin, certi che a quei livelli noi non saremmo mai arrivati.
    Alla fine degli anni ’80 però la pallavolo italiana sta vivendo un momento di grande crescita e non vi è nulla di meglio che mettersi alla prova sfidando il Club Sportivo Centrale dell’Esercito, il cui acronimo risponde a CSKA, un nome che, solo a sentirlo pronunciare, fa tremare le ginocchia.Un match che promette di regalare il meglio che il volley continentale può proporre a livello di club. Lo scontro tra la grande tradizione sovietica, che da oltre un decennio la fa da padrona in Europa e nel mondo, e l’emergente scuola italiana che da qualche anno ha incominciato a dire la sua in Europa.
    Una Maxicono, quella guidata in panchina da Gian Paolo Montali, tecnico in grande ascesa della nostra pallavolo, che arriva a questa finale di Supercoppa Europea reduce dalla recente vittoria della Coppa delle Coppe a Varkaus, in Finlandia.Il “Monti” rispetto alla stagione precedente ha sostituito lo svedese volante Bengt Gustafsson con il fuoriclasse brasiliano Renan Dal Zotto, giocatore di classe sopraffina, e sta alternando il professore del muro Claudio Galli con l’autoctono ex Veico e Santal Gilberto “Pacio” Passani.
    Dall’altra parte della rete il CSKA Mosca è a sua volta fresco vincitore della sua dodicesima Coppa dei Campioni, avendo sconfitto al palazzetto della Pace dell’Amicizia del Pireo con un netto 3-1 la Panini Modena di Julio Velasco. La squadra dell’esercito, la temutissima Armata Rossa. La più grande squadra di club di tutti i tempi, formata da atleti di straordinario valore quali Yuri Pantchenko, Andrej Kouznetsov, Yuri Sapega, Igor Runov, Alexander Sorokolet, Jaroslav Antonov, Dimitri Fomin e Valery Losev. A guidarli dalla panchina, un’icona della pallavolo sovietica del decennio precedente, quel Vladimir Kondra vero antesignano dei liberi della pallavolo che verrà.
    Una squadra con un potenziale d’attacco infinito che ha nella potenza, nel muro granitico e nell’estrema regolarità le principali armi con cui cannibalizza regolarmente l’avversario di turno.In Palaraschi di Parma, esaurito in ogni ordine di posto con oltre seimila persone sugli spalti a tifare Maxicono, è il miglior palcoscenico per questa grande sfida, attraverso la quale Parma cerca di entrare nella storia della pallavolo mondiale.
    Gian Paolo Montali schiera un sestetto composto dal californiano di San Diego Dusty Dvorak al palleggio e Andrea Zorzi opposto. Marco Bracci e Renan Dal Zotto sono i due posti quattro deputati ad attaccare e ricevere, Passani – Giani rappresentano la coppia di attacco e muro al centro della rete.I Sovietici rispondono con il mancino Losev al palleggio, un vero e proprio “giocatore di scacchi” per l’abilità con cui muove i suoi attaccanti sulla sua scacchiera nove per nove. Opposto a quest’ultimo, a randellare da zona due il terribile mancino Antonov, attaccante dotato di un’incredibile varietà di colpi. Il fuoriclasse Sorokolet e l’esperto Pantchenko sono i due schiacciatori – ricettori e la coppia di centrali Kouznetsov e Sapega, veri e propri universali d’attacco, chiude il sestetto.
    Il primo parziale si apre con un attacco vincente del diciottenne Andrea Giani, per nulla intimorito dalla caratura dell’avversario, su una ricezione inviata direttamente nel campo Maxicono da parte di Kouznetsov, a testimonianza dell’aggressività a partire dal servizio con cui Gian Paolo Montali ha preparato la partita. I ducali, giocano senza alcun timore reverenziale contro i titolati avversari, e il muro fa buona guardia su Pantchenko e Antonov. Bracci e Zorzi non sbagliano un colpo in attacco e il funambolico Renan con micidiali secondi tempi in combinazione manda letteralmente in tilt il temutissimo e proverbiale muro sovietico. La prima frazione termina con un 15-9 per i ducali con un attacco da zona due di Zorzi non trattenuto dal muro sovietico.
    Si va al secondo set con capitan Sorokolet che suona la carica con un attacco vincente, a testimonianza della voglia degli uomini di Kondra di riprendersi in mano la partita. CSKA che, per aumentare forza in attacco e muro, ha gettato nella mischia anche il gigante Igor Runov 203 centimetri di potenza, al posto di uno spento Yuri Pantchenko.Il parziale si rivela combattutissimo con i sovietici che non mollano un pallone. Si gioca punto a punto fino al dodici pari quando un’invasione di Zorzi manda i sovietici sul 13-12. In un finale drammatico di set, sarà prima un ace di Bracci a riportare il set in parità, poi un grande attacco da quattro di Renan e regalare ai parmensi la prima palla set. Parziale che verrà chiuso sul 15-13 per gli uomini di Montali da un Andrea Zorzi in serata di grazia con un attacco da due, esattamente come nel set ball del primo set.
    Due set a zero. La Maxicono con una prestazione fino a qui perfetta è vicina alla vittoria. Il traguardo sembra essere prossimo ma guai a rilassarsi contro una squadra sorniona e zeppa di fuoriclasse come quella di Sorokolet e compagni. Ma anche il terzo set parte sulla falsariga dei primi due, mettendo a tacere ogni dubbio sulla tenuta mentale dei parmensi.
    La Maxicono è una macchina da guerra, con Andrea Giani in versione saracinesca a muro, Dusty Dvorak che orchestra i suoi attaccanti come nemmeno Riccardo Muti saprebbe fare e un Andrea Zorzi che bombarda a più non posso da prima e seconda linea.
    I sovietici provano a rimescolare le carte facendo rientrare prima l’esperto Pantchenko, poi gettando nella mischia il giovane bombardiere Dimitri Fomin e infine cambiando regia, inserendo il secondo palleggiatore Alexander Gordienko al posto dell’intoccabile Valeri Losev.Ma nemmeno questi cambi riescono ad invertire l’inerzia del match, con l’Armata Rossa che si innervosisce sempre più, intuendo che l’incontro gli sta sfuggendo di mano. Pacio Passani è implacabile negli attacchi in primo tempo sia davanti che dietro le spalle di Dvorak e un “Monster block” su Sorokolet regala la prima palla match a Parma, che chiude set e incontro con un primo tempo in rigiocata di un Gilberto Passani grande protagonista di questa straordinaria vittoria.La Maxicono vince la sua prima Supercoppa europea infliggendo una storica sconfitta al CSKA Mosca con un 3-0 meritatissimo. 15-9 15-13 15-4 i parziali che non lasciano dubbi riguardo l’andamento della partita.
    Una vera e propria impresa per la squadra allenata da Gian Paolo Montali, portata in trionfo da diverse migliaia di tifosi festanti, scesi sul parquet del Palaraschi a festeggiare una vittoria che entra di diritto nella storia della pallavolo mondiale. LEGGI TUTTO

  • in

    A spasso nel tempo… La grande Maxicono di Bebeto

    In Brasile lo sport è pressoché una religione e la pallavolo è la principale disciplina sportiva ad essere giocata in quel paese a livello professionistico sia dalle donne che dagli uomini, con un seguito di poco inferiore a quello del calcio.E da Rio de Janeiro, la seconda città del Brasile dopo San Paolo, proviene il protagonista di questa straordinaria storia di pallavolo: Paulo Roberto de Freitas, più noto come Bebeto, con la sua Maxicono Parma dei primi anni ’90 del secolo scorso.
    Bebeto, un uomo che oggi non è più tra noi a causa di un maledetto infarto che se lo è portato via nel 2018 a soli 68 anni, oltre che ad essere un allenatore di pallavolo è stato anche un grande appassionato di calcio, sport che ha influenzato considerevolmente la sua filosofia sportiva.
    Bebeto, che nasce il 16 gennaio del 1950 a Rio de Janeiro, nel 1970 all’età di vent’anni rimane folgorato da una delle più grandi squadre della storia del calcio, la nazionale brasiliana del mondiale di Messico ’70.Una squadra unica nel suo genere, capace di schierare contemporaneamente in campo cinque numeri dieci, facendoli straordinariamente coesistere. Gerson, Pelé, Rivelino, Tostao e Jairzinho, calciatori che in quel Brasile hanno rappresentato l’archetipo del football,
    Possesso palla, giocate funamboliche, verticalizzazioni improvvise, movimento continuo. Persino i terzini, giocatori notoriamente con i piedi montati al contrario, danno del tu al pallone come solo le mezzali sanno fare. Una perfetta macchina da football. Bebeto, ottimo giocatore di pallavolo con un palmares di 11 titoli brasiliani e la partecipazione con la nazionale verdeoro ai Giochi Olimpici di Montreal 1976, di ruolo era palleggiatore e quindi un po’ già allenatore.Una volta terminata la carriera da atleta diventa allenatore a tutti gli effetti con l’obiettivo di trapiantare i principi di quella straordinaria nazionale brasiliana di calcio negli ottantun metri quadrati di un campo di pallavolo.
    Dopo aver svolto il ruolo di CT della nazionale brasiliana (conquistando la medaglia d’Argento alle Olimpiadi di Los Angeles 1984) nel 1991 inizia la sua avventura nella pallavolo italiana approdando alla Maxicono Parma per sostituire Gian Paolo Montali, esonerato a sorpresa dal Presidentissimo Carlo Magri dopo la conquista del grande Slam.
    Estate, quella del 1990, nella quale i ducali per ragioni di bilancio devono dare addio ad Andrea Zorzi, il loro martello di punta. Lo sostituiscono con il nazionale brasiliano Carlao, universale d’attacco dotato di uno spaventoso potenziale offensivo.L’avventura nella nostra serie A1 non inizia però nel migliore dei modi, né per Bebeto né tanto meno per Carlao. L’attaccante di Rio Branco, anche a causa di qualche infortunio, fatica a rivelare per intero le sue enormi potenzialità, esattamente come l’intera squadra che Bebeto riesce a far esprimere soltanto a corrente alternata.Ciononostante, gli emiliani riescono a conquistare la finale scudetto dalla quale escono però con le ossa rotte contro il grande Messaggero di Kiraly e Timmons al quale devono inchinarsi in sole tre partite.Bebeto analizzando i motivi della sconfitta intuisce che per sviluppare la pallavolo che ha in mente ha bisogno di un palleggiatore con caratteristiche diverse da quelle di Jeff Stork, californiano in uscita da Parma con direzione Milano, allettato dal progetto tecnico e dai dollari della Mediolanum di Silvio Berlusconi.Una Maxicono che avendo in organico una batteria di grandissimi attaccanti quali Andrea Giani, Pasquale Gravina, Marco Bracci, Gouveia Carlao e Renan Dal Zotto può essere valorizzata appieno soltanto da un alzatore capace di sviluppare un gioco “brasiliano”, basato su schemi d’attacco rapidissimi e capaci di coinvolgere più attaccanti contemporaneamente.Tra quelli disponibili sul mercato Bebeto ne individua uno a cui nessun grande club fino ad allora aveva pensato: Peter Blangè, nella stagione precedente alla Terme Acireale Catania, che dall’alto dei suoi 205 centimetri è l’alzatore più alto della pallavolo mondiale.Il lungagnone orange, grazie alla possibilità di toccare il pallone ad altezze siderali riesce a disegnare traiettorie con la sola azione dei soli polsi, rendendole di difficile lettura per il muro avversario. A ciò aggiunge una ragguardevole velocità di uscita della palla dalle mani, provocando all’attrezzo straordinarie accelerazioni, capaci di mandare in tilt i più sofisticati sistemi di muro delle squadre avversarie.
    Dough Beal e Bebeto
    Sarà proprio questa innovativa organizzazione di gioco, magistralmente orchestrata da Peter Blangè, la base dei successi della Maxicono 1991/92 (Scudetto, Coppa Italia e Coppa CEV).Una squadra che verrà ricordata come una delle più spettacolari di tutti i tempi grazie alle svariate ed innovative soluzioni tecnico – tattiche, soprattutto in fase di ricezione – attacco. Renan Dal Zotto che dopo aver ricevuto in zona cinque attacca secondi tempi a velocità supersonica da posto due, Carlao che pur giocando da opposto attacca in più rotazioni in primo tempo, per finire con i centrali che, oltre che a schiacciare dal centro, attaccano anche dalla seconda linea.Una pallavolo mai vista fino ad allora e mai più rivista negli anni a venire. Un volley non solo bello e divertente ma pure straordinariamente efficace, con una Maxicono capace di vincere anche il campionato 1992/93 pur orfana di un altro dei suoi fuoriclasse, quel Renan Dal Zotto ceduto nell’estate 1992 a Ravenna. Bebeto riuscirà a sopperire anche a quell’assenza alternando in campo i giovanissimi Riccardo Michieletto, Giacomo Giretto e Mirko Corsano a chiusura del settetto base composto da Blangè, Carlao, Bracci, Giani e Gravina.E lo farà mettendosi alle spalle vere e proprie corazzate quali Treviso, Milano e Ravenna, capaci di schierare campioni del calibro di Kiraly, Timmons, Vullo, Cantagalli, Bernardi, Zorzi e Lucchetta, solo per citarne alcuni.
    Un grande allenatore il brasiliano. Uno straordinario innovatore, probabilmente il più grande del secolo scorso da questo punto di vista, alla pari di altri guru della storia del volley quali Julio Velasco e Doug Beal. Fenomenale sia riguardo al lavoro in palestra (fu un antesignano della preparazione fisica applicata alla pallavolo) che in panchina, dove metterà in mostra una straordinaria capacità di lettura delle partite che tatticamente sapeva giocare meglio di chiunque altro. LEGGI TUTTO

  • in

    Storia: I tecnici scudettati degli anni ‘80

    Da sx, senso orario: Prandi, Zanetti, Piazza, Montali e Velasco

    MODENA – Il decennio degli anni ’80 della pallavolo italiana, quello compreso fra le stagioni 1980/81 e 1989/90, ha visto grandi allenatori sedersi sulle panchine della nostra serie A1. Italiani, stranieri, innovatori, gestori, vecchie volpi e giovani emergenti. Ma solo cinque di essi, in quel decennio, sono riusciti a vincere almeno uno scudetto.
    Fu Silvano Prandi, per tuti il “Prof.”, ad inaugurare il primo scudetto degli anni ’80 conquistando il titolo iridato nella stagione 1980/81 con la Robedikappa Torino. Quella del 1980 fu un’estate in agrodolce per i piemontesi. Da un lato la gioia per l’arrivo di un nuovo e ricco sponsor, Robedikappa, dall’altro la dolorosa cessione del “golden boy” della pallavolo italiana, Gianni Lanfranco, che si trasferisce a Parma per fare grande la Santal. Nella città della Mole non si danno per vinti e sostituiscono il Gianni nazionale con un altro “guru” della pallavolo mondiale, il bulgaro Dimitar Zlatanov, centrale medaglia d’argento ai giochi olimpici di Mosca. Prandi disegna una squadra con il modulo del palleggiatore unico posizionando l’universale Pilotti in diagonale al regista Pietro Rebaudengo. La copia dei centrali è formata da Zlatanov e Dametto, mentre Franco Bertoli e Diego Borgna sono i martelli di posto quattro. Con questo sestetto i piemontesi si laureano Campioni d’Italia con quattro giornate di anticipo vincendo tutte le ventidue gare in programma e dimostrandosi una vera e propria macchina schiaccia sassi. Replica che il Prof. Prandi metterà in scena nella stagione 1983/84 pur dovendo fare a meno del martello italiano più forte dell’epoca, Franco Bertoli, trasferitosi nel frattempo nella ricca Modena a schiacciare per il Commendator Giuseppe Panini. Prandi lo rimpiazza con Bengt Gustafsson, svedese di 195 centimetri di rara potenza, che va ad affiancare in posto quattro il californiano Tim Hovland. In cabina di regia non uno ma due palleggiatori: il talentuoso Fabio Vullo e l’esperto Pietro Rebaudengo con un rispolverato modulo 4-2. A murare e ad attaccare dal centro l’esperto Giancarlo Dametto fa da chioccia al giovane Fabio De Luigi, centrale poco appariscente ma di grande sostanza nei fondamentali di muro e attacco di primo tempo. Torino, con la denominazione Kappa Torino, si aggiudica la stagione regolare con venti vittorie su ventidue gare. Marcia che prosegue nei playoff scudetto con i piemontesi che eliminano prima il Kutiba Falconara, poi i bolognesi della Bartolini, terminando la loro straordinaria stagione “stracciando” la Santal Parma in una finale scudetto che avrà bisogno di solo due partite per determinare la squadra campione d’Italia.
    Nella stagione 1981/82, sarà il tecnico parmigiano Claudio Piazza a ricevere il testimone da Silvano Prandi, riportando il tricolore nella città di Maria Luigia, per poi bissarlo nella stagione successiva. A Parma, dopo gli scudetti 1950 e 1951 targati Ferrovieri Parma del Professor Del Chicca e quello della stagione 1968/69 a firma Salvarani, i fratelli Magri hanno rilevato la società con il progetto di riportare la città emiliana ai vertici della pallavolo italiana. Affidano la squadra denominata Veico a Claudio Piazza, allenatore autoctono ed ex palleggiatore del club stesso. Nella stagione 1980/81, a dar man forte alle ambizioni del club, scende in campo il Cavalier Callisto Tanzi che con il marchio Santal porta a Parma grandi giocatori, tra cui il coreano Kim Ho Chul, Gianni Lanfranco (il più noto pallavolista italiano di quegli anni) Marco Negri, Gianni Errichiello, Paolo Vecchi e Maurizio Ninfa, solo per citarne alcuni, con il dichiarato intento di infrangere l’egemonia Kappa che dura dal 1978. Coach Piazza, sergente di ferro dal volto umano e dalla grande leadership, affida con grande sagacia le chiavi della squadra nelle mani del regista coreano che, proponendo un gioco velocissimo e ricco di schemi d’attacco porrà le basi per rendere quella Santal una perfetta macchina da volley. Squadra, quella diretta dal “baffone” parmigiano, che non solo trionferà in Italia ed in Europa ma lo farà giocando una pallavolo tanto spettacolare quanto efficacie ed efficiente, avviando la pallavolo italiana e internazionale verso una vera e propria rivoluzione copernicana.
    La stagione 1984/85 sarà invece ricordata come quella dell’ultimo titolo italiano conquistato dalla città di Bologna dopo le vittorie ottenute dall’allora Virtus Pallavolo Bologna nelle stagioni 1965/66 e 1966/67 con Odone Federzoni in panchina. La squadra è affidata a Nerio Zanetti che coadiuvato dal vice Maurizio Menarini allestisce un sestetto di qualità insperata, riciclando una schiera di pallavolisti stagionati e fatti fuori dalle loro ex società. Il pezzo da novanta della truppa è il campione italo – canadese Stelio De Rocco a cui Zanetti affianca Gianmarco Venturi, talentuoso palleggiatore romagnolo, i centrali Squeo (ripudiato da Modena) e Carretti, a sua volta “scartato” da Sassuolo, e il posto quattro Antonio Babini. Schiacciatore quest’ultimo dotato di pochi centimetri ma ampiamente compensati da straordinarie doti di salto e da un’energia pazzesca. I felsinei partono in sordina ma cammin facendo acquisiscono sicurezze sempre maggiori arrivando ad eliminare nientepopodimeno che i campioni uscenti di Torino in una drammatica semifinale risoltasi in tre partite. Bolognesi che, volando sulle ali dell’entusiasmo si trasformano in Davide, sconfiggendo il gigante Golia impersonificato dalla Panini Modena in una finale scudetto che vedeva quest’ultimo club accreditato di tutti i favori del pronostico. La sera del 21 maggio 1985 è quella in cui si celebrerà questa favola a lieto fine, conclusasi con la grande vittoria della Mapier che incoronerà i bolognesi di Nerio Zanetti campioni d’Italia per la terza volta nel corso della propria storia.
    Nella stagione successiva, 1985/86, fu un semisconosciuto argentino, Julio Velasco, a spostare il titolo italiano a trenta chilometri verso Nord sempre sull’asse della Via Emilia, e precisamente a Modena. Il tecnico argentino, proveniente dalla piccola realtà di Jesi in serie A2, arriva sotto una Ghirlandina piena di scetticismo, portando un’energia paragonabile a quella di un terremoto di magnitudo forza 9,5, il più alto della storia registrato in Cile nel 1960. Imposta una strategia di totale rottura con il passato sia riguardo la gestione del gruppo che i sistemi di allenamento, novità che una volta metabolizzate dalla squadra conferiscono alla stessa una marcia in più. Un gruppo, quello condotto dal divin Julio, composto da straordinarie individualità quali Fabio Vullo, Raul Quiroga, Esteban Martinez, Franco Bertoli, Luca Cantagalli, Lorenza Bernardi, Andrea Lucchetta, Andrea Ghiretti e altri ancora, che torna ad essere campione d’Italia dopo dieci lunghi anni. Velasco diventa il re della città e lo rimarrà per ben quattro anni, pari al numero degli scudetti da esso conquistati sulla panchina gialloblu, quelli compresi tra il 1986 e il 1989.
    In fine ma non ultimo, fu un altro parmigiano, Gian Paolo Montali, a conquistare l’ultimo scudetto in ordine cronologico degli anni ’80, andandosi a prendersi il titolo italiano nella stagione 1989/90, quella del grande slam per gli uomini in maglia Maxicono. Gian Paolo, già da alcuni anni sulla panchina dei ducali avendo sostituito il Prof. Alexander Skiba a metà stagione 1985/86, nell’estate 1989 suggerisce alla propria dirigenza un cambio in cabina di regia tra Dusty Dvorak e Jeff Stork. Una volta accontentato, affida al mancino statunitense la regia di un sestetto che prevede Andrea Zorzi nel ruolo di opposto, Andrea Giani e Claudio Galli centrali, Renan Dal Zotto e il toscano Bracci schiacciatori, con “Pacio” Passani primo cambio sia per i centrali che in posto due. Dopo una vera e propria marcia trionfale, contrassegnata da altri straordinari successi italiani ed internazionali, sarà proprio la Maxicono del tecnico di Traversetolo a conquistare lo scudetto della stagione 1989/90. Il primo, per questo carismatico allenatore fenomenale sia riguardo al lavoro in palestra che nella capacità di far breccia nella testa dei suoi atleti, così come l’ultimo di questi straordinari anni ’80 della nostra pallavolo. LEGGI TUTTO

  • in

    La stagione 1989/90: il dopo Velasco e il “Grande Slam” di Parma

    Estate 1989: Modena e Parma, due capitali della pallavolo italiana distanti solo quaranta chilometri tra loro, sono entrambe divorate da struggenti dilemmi pallavolistici. Modena sta riflettendo su come sostituire Julio Velasco, il condottiero degli ultimi quattro scudetti, che proprio in quell’estate ha deciso di accettare la corte della Federazione Italiana di pallavolo, diventando il CT […] LEGGI TUTTO