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    Intervista: Nadia Centoni, la maglia del Cannes, tre Olimpiadi, l’esperienza del campo nel nuovo ruolo di preparatore

    MODENA – Grinta da vendere e sorriso sempre stampato sul volto era ciò che saltava subito all’occhio quando la si vedeva giocare. Oggi, quella grinta e quel sorriso, Nadia Centoni li mette a disposizione delle attuali e future leve della pallavolo nostrana. Dedizione, passione e voglia di mettersi sempre in gioco, la 7 volte campionessa di Francia con RC Cannes è anche stata recentemente nominata per il Working Group Athletes della CEV al fianco di nomi come Gamova, Ognjenovic, Sokovol e Zagumny.Il 5 maggio 2018 hai giocato la tua ultima partita ed è stata anche l’ultima volta che RC Cannes schierava in campo una giocatrice con la maglia n.13. Cosa ha significato per te il gesto da parte della società francese di ritirare la maglia? “Quel giorno io ero sicura al 100% che sarebbe stata l’ultima partita e sapevo che avrei smesso ma non ero al corrente della decisione presa dalla società. Quando ne sono venuta a conoscenza, qualche giorno dopo, sono rimasta prima di tutto sorpresa e poi mi ha fatto enormemente piacere specialmente da un punto di vista morale il gesto è stato per me importantissimo, non me lo aspettavo e mi ha veramente riempito di gioia. Adesso, quando entro al palazzetto di Cannes, da tifosa e spettatrice, e all’ingresso vedo la mia maglia incorniciata e appesa al Palais des Victoires, un po’ di brividi mi vengono”.
    Qual è la difficoltà maggiore da affrontare una volta appese le ginocchiere al chiodo? “I primi mesi può sembrare tutto facile, perché lo si vive come un periodo di riposo, ma il passaggio non è affatto facile. Io ho avuto la fortuna di terminare la mia ultima stagione ed iniziare subito con il nuovo ruolo. Faccio un lavoro che mi consente di rimanere nel nostro mondo, e questo sicuramente aiuta tantissimo. Il nodo sta nel fare per molti anni un qualcosa, nel nostro caso giocare a pallavolo, che ci riesce benissimo in un mondo a sé, lontano dalla vita di tutti i giorni. Quando smetti ti ritrovi catapultato nella vita reale da un giorno all’altro. Tanti mentre giocano non pensano alla vita post pallavolo o non riescono a prepararsi per il futuro. Spesso si pensa che ci sarà qualcuno all’interno del tuo mondo che ti aiuterà una volta terminata la carriera ma alla fine non è così. Bisogna reinventarsi e sicuramente si ha un momento di down da affrontare. È meglio provare comunque ad andare avanti a studiare, a provare a costruirsi un futuro anche se questo non è per nulla automatico perché specialmente ad alto livello sei focalizzato prettamente sul gioco. Ciò di cui dobbiamo fare tesoro è la consapevolezza che la partita non è mai finita finché l’arbitro non fischia o non cade l’ultima palla”.Quanto ti ha aiutata e ti sta aiutando essere stata un’atleta professionista di alto livello nel lavoro che stai svolgendo ora (ndr preparatore atletico Il Bisonte Firenze)? “Io credo che sia stato fondamentale. Quando ho scelto di fare questa professione non sapevo a cosa sarei andata incontro. Finché ho giocato, avevo una carriera ed è come se io stessi scrivendo un libro. Ora è come se quel libro si fosse completamente chiuso e ne avessi aperto un altro pieno di pagine bianche da scrivere. La cornice però di questo nuovo libro è tutto il mio passato, la mia esperienza e tutto il mio vissuto pratico. Al di là delle conoscenze specifiche che giorno dopo giorno farò, penso che il poter portare a mio supporto quello che è il mio bagaglio di giocatrice professionista che ha vissuto tantissime esperienze italiane ed estere, che ha avuto modo di interagire con moltissime culture e vivere il mondo attraverso le diverse nazionalità delle giocatrici con le quali ho condiviso le squadre, possa essere un qualcosa in più. Per me è stata un’opportunità per crescere, imparare e vedere che tipo di mentalità e metodo di lavoro loro avessero non solo in campo ma anche a livello di preparazione fisica. Ogni squadra pallavolistica ha una cultura fisica ben precisa e a questo io ero molto interessata e ho sempre fatto molta attenzione. Mi sono sempre informata sul tipo di lavoro che i preparatori atletici svolgevano e chiedevo informazioni anche alle altre atlete. La domanda che mi ripetevo spesso era: io, da atleta, cosa voglio dal preparatore?. Ora sto cercando di incarnare quella figura che io volevo quando giocavo anche a livello di approccio”.
    Cosa ti piace di più del tuo lavoro? “Mi piace preparare l’allenamento ed individualizzarlo per la persona che ho davanti. Mi piace molto condividere il mio pensiero con la persona perché voglio che sia consapevole di quello che sta facendo. Il mio obiettivo è che l’atleta raggiunga un equilibrio psico-fisico tale che, quando è in campo, non debba pensare all’aspetto fisico perché su quello abbiamo già lavorato e possa così concentrarsi su tutto ciò che è tecnico”.

    È più semplice lavorare con la prima squadra o con le giovanili?“Sulla risposta a questa domanda ci sto riflettendo tanto perché la Serie A e l’alto livello è l’ambiente che conosco meglio e mi è più familiare. È dove mi riesce più ‘facile’ lavorare, perché l’ho fatto per una vita e nonostante pensassi che potesse essere più complicato, in realtà è un qualcosa di molto fluido; con altrettanta fluidità mi viene da lavorare con le giovani. Non avrei mai pensato di poter riuscire a gestire giocatrici under 17 perché non è una fascia della quale avevo molta conoscenza. Ho scoperto che mi affascina tantissimo il mondo giovanile, delle ‘piccole’, tanto che ho dato anche la mia disponibilità per lavorare con la Nazionale U16. Mi piace poter loro insegnare quelle basi che un domani, quando saranno grandi e adulte, si ritroveranno e dar loro un’impostazione di lavoro. È estremamente gratificante vederle crescere giorno dopo giorno. Quella è un’età in cui i cambiamenti e i miglioramenti sono visibili, forti e tangibili. Mi sto rendendo conto che c’è tanto bisogno di un’impostazione di questo genere per le giovani, più figure hanno intorno e meglio è, necessitano continuamente di feedback”. Come preparatore atletico, quale è stata la sfida più grande che hai dovuto affrontare durante il lockdown?“Mi sono dovuta inventare di tutto e di più perché si è usciti completamente dagli schemi, ovvero lavoro con i pesi, gestione di un carico dato da una macchina ed esercizi a corpo libero. Ho dovuto cercare di far mantenere una forma fisica utilizzando pressoché il nulla a casa. Complessivamente ho visto che non è andata così male, le ragazze hanno lavorato anche se in maniera totalmente diversa. È stato sfidante il fatto di dover tirare fuori sempre quel qualcosa in più, di non fermarsi. Alla fine il fatto di mettersi continuamente in gioco, innovare e rinnovare gli esercizi è stato molto costruttivo, divertente e stimolante”.
    Come è proseguito il rientro in palestra? “Sono ripartita molto dolcemente e lentamente, facendo un riadattamento all’attività. Questo perché da un punto di vista muscolare la ripresa di tono e di forza sarebbe stata anche abbastanza rapida, ma a livello articolare, tutti i mesi di inattività, le giocatrici li hanno sofferti. Nei mesi di giugno e luglio mi sono anche confrontata con altri preparatori i quali ribadivano di ripartire progressivamente, da zero, per scongiurare il rischio di infortuni articolari”.
    Chiudendo la parentesi club, parliamo ora di quanto è avvenuto durante il BoA della CEV il 26 febbraio 2021, durante il quale sei stata nominata Segretario del Working Group Atleti.  “Sono estremamente contenta e orgogliosa di questa nomina. Per me significa partecipare attivamente allo sviluppo della pallavolo europea, potendo condividere quella che è l’esperienza di una fresca ex atleta in contatto quotidiano con atleti di Serie A/B e con le Nazionali. Cercherò di portare nuove idee e promuovere sempre di più la pallavolo a livello europeo. Non vedo l’ora di cominciare e di incontrare i miei “colleghi”. È un gruppo numeroso composto da nomi molto importanti, da atleti ancora in attività e da chi ha smesso da poco, come me”.
    Concludiamo con un ricordo legato alla Nazionale. Contiamo tre partecipazioni olimpiche (Atene 2004, Pechino 2008 e Rio 2016)…“Ho avuto la fortuna di vivere tre Olimpiadi in tre momenti diversi della mia carriera con tre stati d’animo completamente diversi: Atene l’ho vissuta con tantissima energia, Pechino con più consapevolezza mentre a Rio ero un’atleta matura, già sul viale del tramonto sportivo. Giocare tre Olimpiadi a distanza di così tanti anni vuol dire che sono stata ad alto livello per tanti anni e questa è, per tornare al discorso iniziale, un’esperienza che posso trasmettere a tutte le ragazze con le quali lavoro. Sono ricordi bellissimi che mi porto dentro e che si sommano ad altre tante altre belle esperienze come il Mondiale in Italia nel 2014. Una competizione del genere, giocata in Italia, con la maglia della Nazionale io l’ho sognata dal primo giorno in cui ho indossato la maglia azzurra”. LEGGI TUTTO

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    Storia: I tecnici scudettati degli anni ‘80

    Da sx, senso orario: Prandi, Zanetti, Piazza, Montali e Velasco

    MODENA – Il decennio degli anni ’80 della pallavolo italiana, quello compreso fra le stagioni 1980/81 e 1989/90, ha visto grandi allenatori sedersi sulle panchine della nostra serie A1. Italiani, stranieri, innovatori, gestori, vecchie volpi e giovani emergenti. Ma solo cinque di essi, in quel decennio, sono riusciti a vincere almeno uno scudetto.
    Fu Silvano Prandi, per tuti il “Prof.”, ad inaugurare il primo scudetto degli anni ’80 conquistando il titolo iridato nella stagione 1980/81 con la Robedikappa Torino. Quella del 1980 fu un’estate in agrodolce per i piemontesi. Da un lato la gioia per l’arrivo di un nuovo e ricco sponsor, Robedikappa, dall’altro la dolorosa cessione del “golden boy” della pallavolo italiana, Gianni Lanfranco, che si trasferisce a Parma per fare grande la Santal. Nella città della Mole non si danno per vinti e sostituiscono il Gianni nazionale con un altro “guru” della pallavolo mondiale, il bulgaro Dimitar Zlatanov, centrale medaglia d’argento ai giochi olimpici di Mosca. Prandi disegna una squadra con il modulo del palleggiatore unico posizionando l’universale Pilotti in diagonale al regista Pietro Rebaudengo. La copia dei centrali è formata da Zlatanov e Dametto, mentre Franco Bertoli e Diego Borgna sono i martelli di posto quattro. Con questo sestetto i piemontesi si laureano Campioni d’Italia con quattro giornate di anticipo vincendo tutte le ventidue gare in programma e dimostrandosi una vera e propria macchina schiaccia sassi. Replica che il Prof. Prandi metterà in scena nella stagione 1983/84 pur dovendo fare a meno del martello italiano più forte dell’epoca, Franco Bertoli, trasferitosi nel frattempo nella ricca Modena a schiacciare per il Commendator Giuseppe Panini. Prandi lo rimpiazza con Bengt Gustafsson, svedese di 195 centimetri di rara potenza, che va ad affiancare in posto quattro il californiano Tim Hovland. In cabina di regia non uno ma due palleggiatori: il talentuoso Fabio Vullo e l’esperto Pietro Rebaudengo con un rispolverato modulo 4-2. A murare e ad attaccare dal centro l’esperto Giancarlo Dametto fa da chioccia al giovane Fabio De Luigi, centrale poco appariscente ma di grande sostanza nei fondamentali di muro e attacco di primo tempo. Torino, con la denominazione Kappa Torino, si aggiudica la stagione regolare con venti vittorie su ventidue gare. Marcia che prosegue nei playoff scudetto con i piemontesi che eliminano prima il Kutiba Falconara, poi i bolognesi della Bartolini, terminando la loro straordinaria stagione “stracciando” la Santal Parma in una finale scudetto che avrà bisogno di solo due partite per determinare la squadra campione d’Italia.
    Nella stagione 1981/82, sarà il tecnico parmigiano Claudio Piazza a ricevere il testimone da Silvano Prandi, riportando il tricolore nella città di Maria Luigia, per poi bissarlo nella stagione successiva. A Parma, dopo gli scudetti 1950 e 1951 targati Ferrovieri Parma del Professor Del Chicca e quello della stagione 1968/69 a firma Salvarani, i fratelli Magri hanno rilevato la società con il progetto di riportare la città emiliana ai vertici della pallavolo italiana. Affidano la squadra denominata Veico a Claudio Piazza, allenatore autoctono ed ex palleggiatore del club stesso. Nella stagione 1980/81, a dar man forte alle ambizioni del club, scende in campo il Cavalier Callisto Tanzi che con il marchio Santal porta a Parma grandi giocatori, tra cui il coreano Kim Ho Chul, Gianni Lanfranco (il più noto pallavolista italiano di quegli anni) Marco Negri, Gianni Errichiello, Paolo Vecchi e Maurizio Ninfa, solo per citarne alcuni, con il dichiarato intento di infrangere l’egemonia Kappa che dura dal 1978. Coach Piazza, sergente di ferro dal volto umano e dalla grande leadership, affida con grande sagacia le chiavi della squadra nelle mani del regista coreano che, proponendo un gioco velocissimo e ricco di schemi d’attacco porrà le basi per rendere quella Santal una perfetta macchina da volley. Squadra, quella diretta dal “baffone” parmigiano, che non solo trionferà in Italia ed in Europa ma lo farà giocando una pallavolo tanto spettacolare quanto efficacie ed efficiente, avviando la pallavolo italiana e internazionale verso una vera e propria rivoluzione copernicana.
    La stagione 1984/85 sarà invece ricordata come quella dell’ultimo titolo italiano conquistato dalla città di Bologna dopo le vittorie ottenute dall’allora Virtus Pallavolo Bologna nelle stagioni 1965/66 e 1966/67 con Odone Federzoni in panchina. La squadra è affidata a Nerio Zanetti che coadiuvato dal vice Maurizio Menarini allestisce un sestetto di qualità insperata, riciclando una schiera di pallavolisti stagionati e fatti fuori dalle loro ex società. Il pezzo da novanta della truppa è il campione italo – canadese Stelio De Rocco a cui Zanetti affianca Gianmarco Venturi, talentuoso palleggiatore romagnolo, i centrali Squeo (ripudiato da Modena) e Carretti, a sua volta “scartato” da Sassuolo, e il posto quattro Antonio Babini. Schiacciatore quest’ultimo dotato di pochi centimetri ma ampiamente compensati da straordinarie doti di salto e da un’energia pazzesca. I felsinei partono in sordina ma cammin facendo acquisiscono sicurezze sempre maggiori arrivando ad eliminare nientepopodimeno che i campioni uscenti di Torino in una drammatica semifinale risoltasi in tre partite. Bolognesi che, volando sulle ali dell’entusiasmo si trasformano in Davide, sconfiggendo il gigante Golia impersonificato dalla Panini Modena in una finale scudetto che vedeva quest’ultimo club accreditato di tutti i favori del pronostico. La sera del 21 maggio 1985 è quella in cui si celebrerà questa favola a lieto fine, conclusasi con la grande vittoria della Mapier che incoronerà i bolognesi di Nerio Zanetti campioni d’Italia per la terza volta nel corso della propria storia.
    Nella stagione successiva, 1985/86, fu un semisconosciuto argentino, Julio Velasco, a spostare il titolo italiano a trenta chilometri verso Nord sempre sull’asse della Via Emilia, e precisamente a Modena. Il tecnico argentino, proveniente dalla piccola realtà di Jesi in serie A2, arriva sotto una Ghirlandina piena di scetticismo, portando un’energia paragonabile a quella di un terremoto di magnitudo forza 9,5, il più alto della storia registrato in Cile nel 1960. Imposta una strategia di totale rottura con il passato sia riguardo la gestione del gruppo che i sistemi di allenamento, novità che una volta metabolizzate dalla squadra conferiscono alla stessa una marcia in più. Un gruppo, quello condotto dal divin Julio, composto da straordinarie individualità quali Fabio Vullo, Raul Quiroga, Esteban Martinez, Franco Bertoli, Luca Cantagalli, Lorenza Bernardi, Andrea Lucchetta, Andrea Ghiretti e altri ancora, che torna ad essere campione d’Italia dopo dieci lunghi anni. Velasco diventa il re della città e lo rimarrà per ben quattro anni, pari al numero degli scudetti da esso conquistati sulla panchina gialloblu, quelli compresi tra il 1986 e il 1989.
    In fine ma non ultimo, fu un altro parmigiano, Gian Paolo Montali, a conquistare l’ultimo scudetto in ordine cronologico degli anni ’80, andandosi a prendersi il titolo italiano nella stagione 1989/90, quella del grande slam per gli uomini in maglia Maxicono. Gian Paolo, già da alcuni anni sulla panchina dei ducali avendo sostituito il Prof. Alexander Skiba a metà stagione 1985/86, nell’estate 1989 suggerisce alla propria dirigenza un cambio in cabina di regia tra Dusty Dvorak e Jeff Stork. Una volta accontentato, affida al mancino statunitense la regia di un sestetto che prevede Andrea Zorzi nel ruolo di opposto, Andrea Giani e Claudio Galli centrali, Renan Dal Zotto e il toscano Bracci schiacciatori, con “Pacio” Passani primo cambio sia per i centrali che in posto due. Dopo una vera e propria marcia trionfale, contrassegnata da altri straordinari successi italiani ed internazionali, sarà proprio la Maxicono del tecnico di Traversetolo a conquistare lo scudetto della stagione 1989/90. Il primo, per questo carismatico allenatore fenomenale sia riguardo al lavoro in palestra che nella capacità di far breccia nella testa dei suoi atleti, così come l’ultimo di questi straordinari anni ’80 della nostra pallavolo. LEGGI TUTTO

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    Ravenna: Figlia d’arte, Rebecchi Piva è la bomber dell’Olimpia Teodora che sogna

    di Marco Ortolani
    RAVENNA – La stagione deve ancora concludersi, ma la “copertina” se l’è presa già lei: Rebecca Piva, miglior marcatrice della squadra Olimpia Teodora Ravenna, quinta fra le giocatrici dei due gironi di A2, lavoro importante in ricezione, battuta in salto devastante. Il tutto con il traguardo dei vent’anni ancora da tagliare (accadrà in maggio), atteggiamenti sereni in campo e idee chiare fuori.Dopo l’infortunio di Grigolo sei stata spostata nel ruolo di “S1”, la schiacciatrice più vicina al palleggiatore, che ha più responsabilità in attacco. Come ti sei adeguata? “L’infortunio di Laura è stato molto traumatico, perché avevo trovato una grande intesa con lei durante le settimane di preparazione. Il disagio non è venuto tanto dal cambio di ruolo, quando dall’aver perso il suo riferimento in campo”.
    Quest’anno hai segnato oltre 300 punti, quasi 19 a partita… “Ah sì? Non lo sapevo e non mi interessa. Sono focalizzata soltanto sui risultati della squadra”.
    Dove può ancora arrivare la Conad, quest’anno? “In spogliatoio abbiamo fissato chiaramente l’obiettivo del primo posto nella poule. Partiamo davanti, possiamo farcela e rientrare nei playoff; obiettivi personali non ne ho, se non quello di contribuire a questo risultato”.
    Qual è il consiglio più frequente di papà e mamma (Alberto, schiacciatore a Bologna e Brunella Filippini, indomabile avversaria della grande Teodora)? “La mamma dice che ci sono poche schiacciatrici forti in ricezione e mi spinge a curare quel fondamentale; papà si concentra sugli aspetti mentali del contributo alla squadra”.
    Cosa non ti piace del volley? “Beh, la parte fisica è la più noiosa. Per il resto il mio ruolo è completo e mi piace in ogni suo aspetto. Ho provato anche con il beach volley: il mio secondo tocco in palleggio non è così disastroso”.
    Hai un idolo sportivo? “Nel volley Paola Egonu, perché è una giocatrice mostruosa nel fisico e nella tecnica. Ma sono appassionata di NBA e dico Kobe Bryant”.
    Cosa ti è pesato di più durante questa lunga crisi sanitaria? “Quello che è pesato a tutti: non poter incontrare liberamente le persone, anche per la responsabilità che ognuna di noi porta anche verso le compagne di squadra”.
    Studi ingegneria energetica, è una scelta impegnativa. “Studio quando posso; nel semestre ho dato tre esami. Forse non finirò nei tempi più brevi, ma non ho fretta”.
    Preferisci Bologna o Ravenna? “Bologna è la mia città di nascita e del cuore, favolosa, spettacolare! A Ravenna sto bene, ma è presto per sapere se rimarrò. Deciderò più avanti con genitori e procuratore”.
    L’ultima domanda è “Come ti definiresti in una sola parola?”, ma l’allenamento incombe e la N.4 è sbrigativa: “Scrivi solo: Rebecca”.  LEGGI TUTTO

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    Intervista: Gabriele Nelli dalla Russia a caccia dell’azzurro per Tokyo. “Non sono ancora al 100%, si può sempre crescere”

    Gabriele Nelli alla World Cup 2019

    BELGOROD – Venera la maglia della Nazionale e sogna Tokyo 2021, come biasimarlo. Proprio nel (nuovo) anno olimpico, Gabriele Nelli, classe 1993, è “volato” al fresco della Russia, al Belogorie Belgorod, per mettersi in gioco in terra straniera. Siamo tutti invitati per un pranzo leggero a casa Nelli: grigliata, pizza e tiramisu. Nell’attesa godiamoci la sua intervista.

    Partiamo da qualche anno fa. Era il 13 maggio 2015 quando Trento, contro Modena al PalaPanini, si aggiudica gara 4 di Finale Scudetto e alza il trofeo del campionato italiano.“Purtroppo in quella partita ero in tribuna perché per i playoff era arrivato Mitar Djuric. È  stata comunque un’emozione bellissima e fantastica da vivere. Alzare lo scudetto al Palapanini credo sia una grande soddisfazione per chiunque, visto che é stato ed  é tutt’ora il tempio del volley. Quella è stata un’annata speciale, non avrei mai pronosticato la vittoria dello scudetto ad inizio anno. Tutti i giorni lavoravamo forte, con grande intensità e continuità per poter arrivare più in alto possibile. E così é stato, siamo saliti sul tetto d’Italia”.

    Sono passati 6 anni da quella finale e in squadra c’eravate tu e Simone Giannelli. Che effetto ti fa pensare a quella stagione e, oggi, ritrovarvi in Nazionale insieme? “É stata la nostra prima stagione effettiva in serie A (non contando qualche comparsa gli anni precedenti). É stata un’annata fantastica e molto dura sotto il punto di vista lavorativo perché Radostin Stoytchev é un allenatore che non lascia riposare e pretende sempre il  110%. Credo che questo sia stato anche il “segreto” che ci ha portato a vincere il campionato. Una stagione di crescita molto importante e, se sono arrivato così in alto, é grazie anche a Rado. Ritrovarmi in Nazionale insieme a Simone è un piccolo sogno che si é avverato, ma sicuramente non sarà il mio punto di arrivo”.

    Nel 2019 sei stato il Best Scorer della World Cup totalizzando 185 punti e mettendoti alle spalle giocatori come Anderson, Ishikawa, Russell e Leal. Cosa rappresenta per te l’esperienza in maglia azzurra? “La World Cup é stata un’esperienza bellissima ma anche difficile e tosta perché abbiamo giocato 12 partite in 15/16 giorni. La ricorderò sempre visto che sono stato il miglior realizzatore, è sempre un  piacere arrivare nei primi posti nelle classifiche e ripagare i sacrifici fatti per arrivare sin lì. Da non tralasciare il fatto che sono stato il Best Scorer con la maglia della Nazionale. Per me è un sogno poterla indossare e penso che poter rappresentare la propria nazione nei tornei o competizioni mondiali sia un grande obbiettivo per tutti gli sportivi”.

    Dopo Trento, Padova e Piacenza, questa stagione sei volato in Russia al Belogorie Belgorod. Come sta andando? “Ho deciso di fare un’esperienza all’estero per diversi motivi. Questa è un’annata particolare data la pandemia mondiale che stiamo attraversando. In squadra abbiamo un po’ di alti e bassi, ma andiamo avanti senza arrenderci lavorando forte e cercando di migliorarsi sempre. Con la lingua ho qualche difficoltà ma fortunatamente alcuni parlano inglese e quindi riesco a farmi capire. La fortuna però mi ha assistito perché il nostro secondo allenatore parla italiano quindi se qualcosa non va parlo direttamente con lui (ride). Per quanto riguarda il clima è freddino. Oserei dire anche molto freddo in alcune città (siamo stati a Surgut e c’erano -32, una cosa mai vista prima). È un freddo diverso da quello italiano, ma sopportabile perché é molto secco. Ciò che ti frega qua é il vento”.
    C’è un aneddoto particolare che vuoi raccontarci riguardante l’esperienza russa? “In realtà aneddoti particolari non ci sono. Quello che mi é sembrato strano ma divertente é stato camminare sopra un lago ghiacciato. Quando sono arrivato quest’estate era bello, pulito e le persone facevano il bagno e pescavano. Adesso invece ci pattinano, continuando però a pescare ugualmente. Un giorno sono andato anche io a fare un giro ed é stato particolare, ho avuto una sensazione di paura, come se si stesse rompendo il ghiaccio sotto. È stato divertente perché mai nella vita avrei pensato di camminare sopra un lago ghiacciato”.

    In una intervista hai confidato che durante il lockdown ti sei sbizzarrito in cucina. “Esatto, nel periodo di lockdown mi sono divertito in cucina con mia moglie, abbiamo sperimentato e provato tante ricette diverse, dai primi ai dolci. Insomma,  un pò di tutto. Mi diverto molto a grigliare e a preparare l’impasto per pizza, pane e dolci. Ho sviluppato una certa maestria per il tiramisù, anche se devo ammettere che l’aiuto di mia moglie è fondamentale. Ho raggiunto livelli impensabili (ride), ho addirittura fatto il lievito madre da solo: stavo impazzendo”.
    Riesci a continuare questa avventura culinaria anche in Russia? “Purtroppo qua in Russia non riesco a divertirmi molto in cucina ma ho già le idee ben chiare per quanto tornerò. Mi sono già prenotato per fare una super pizza, una super grigliata e un super tiramisù”.
    Cosa ti piace fare nel tempo libero? “La mia passione principale é andare a pescare, sono proprio super appassionato. Mi piace e mi rilassa tantissimo e appena ho del tempo libero mi ci dedico. Alcune volte mi accompagna mia moglie e li é il massimo relax. Con lei e il nostro cane Pongo adoro anche  fare passeggiate in mezzo alla natura.” 
    Cosa ti auguri per questo 2021? “Prima di tutto mi auguro che finisca presto questa situazione e che tutto torni alla normalità. Spero poter realizzare un altro sogno rappresentando la mia Nazione ai Giochi Olimpici di Tokyo”.
    Terminiamo l’intervista riprendendo il filo della prima domanda. Ti senti cambiato dal 2015 ad oggi? “Dal 2015 ad oggi mi sento maturato sotto tutti i punti di vista sia lavorativi legati alla pallavolo, sia personali. Ancora non sono al 100% perché sono consapevole che si può sempre crescere e migliorare”. LEGGI TUTTO

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    Twitter: A Bargiggia (Mediaset/Sportitalia) la pallavolo fa “abbastanza ridere”. La polemica con Berruto

    MODENA – Scambio polemico su Twitter tra Paolo Bargiggia (Mediaset/Sportitalia) e l’ex Ct della nazionale azzurra Mauro Berruto.Tutto nasce da un commento di Berruto  su un Tweet del mezzobusto Bargiggia in cui questo criticava la giornalista Karima Moual, giornalista italo-marocchina esperta di immigrazione.La replica de Bargiggia è stata immediata ma è poi culminata, dopo le adeguate risposte di Berruto e d diversi appassionati della pallavolo, con il blocco sul social dei cinguettii del Ct azzurro…  

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    Stati Uniti: Carli Lloyd scrive una lettera… “Cara Pallavolo…”

    MODENA – Sul suo blog showupwithme.com la palleggiatrice statunitense Carli Lloyd ha pubblicato un post intitolato Cara Pallavolo…La pubblichiamo qui, ringraziando Nicola Masseroni per la traduzione postata sul Gruppo Facebook dei tifosi della èpiù VBC Pallavolo Rosa Casalmaggiore.

    di Carli Lloyd Cara pallavolo,Ieri ho avuto pensieri pesanti su quanto mi manchi giocarti. Mi sembrava giusto sedermi e provare a scriverlo…Quindi eccomi qui a cinque mesi e mezzo dalla mia gravidanza e sì, ho giocato… ho toccato la palla almeno un paio di volte a settimana. Sulla spiaggia. Sport diverso, palla diversa, campo diverso.Differenze e tutto il resto – mi ha davvero portato la sensazione di gioia di cui avevo bisogno per mantenermi in una posizione equilibrata mentre mi manchi tu, il mio sport competitivo che è stato con me negli ultimi vent’anni della mia vita. Mi manca la routine. Mi manca lo sforzo fisico. Mi manca la connessione con i compagni di squadra. Mi manca la crescita dell’allenamento. Mi mancano le palestre. L’energia. Mi mancano i fan e l’amore per il gioco che vibrano dagli spalti al campo e su tutto il mio corpo fino allo spazio nel mio cuore. Mi manca la programmazione e la coerenza che porta. Mi manca la sicurezza di sapere che lavorare sodo è la cosa migliore e sentire il mio corpo esercitare un sacco di energia per stare meglio, per costruire di più e per migliorare. Mi mancano il movimento, il flusso e l’eccitazione. Mi manca la stanchezza totalizzante dopo una combattuta partita di cinque set.Accidenti, mi manca tutto.

    Pallavolo, sei stata una grande compagna. Mi hai presentato i miei amici più cari. Mi hai portato in tutto il mondo. Mi hai dato l’opportunità di vedere di più. Non mi sento persa senza di te … Mi sento bene, ma di sicuro mi manchi. C’è una grande parte di me a cui non sembra che il tempo di gareggiare sia finito. C’è questa parte di me che desidera un’altra stagione all’estero. Un’altra nuova città e nuovo appartamento e nuovo allenatore e compagni di squadra. Nuove sfide. Nuovi obiettivi. Quella parte di me fa un po’ male quando immagino di non tornare indietro. Ma poi ricordo quali possibilità portano questa gravidanza e questo bambino, e devo ricordare a me stessa che funzionerà tutto come dovrebbe.Mi ricordo di quando ho lasciato la nazionale. Nel dolore e nella tristezza. In lacrime. Con un pizzico di rabbia e un cuore pesante e soprattutto la sensazione di dolore. Ma poi ricordo come mi sono concentrata sul dono che avevo ancora di continuare a giocare a pallavolo all’estero per farmi superare parte del dolore. Ricordo come questo mi ha aiutato a guarire dal dolore. Alcuni dei dolori, non tutti. Il processo è stato lungo e in un certo senso penso che ci siano ancora alcune cose che si devono risolvere. Da allora è stato un vortice guardare come prosegue la vita. Con le stagioni interrotte, i fan banditi, le pandemie persistenti e le Olimpiadi rinviate. Tante cose che non mi aspettavo sono emerse e hanno modificato i percorsi di vita in tutto il mondo. Con tutto questo so che aspettarmi una transizione fluida e prevedibile in qualsiasi cosa in futuro sarebbe un po’ sciocco da parte mia. In questo c’è eccitazione però. Ho imparato a permettere alla spontaneità della vita di piacermi di più invece di scuotermi. Riley mi ha aiutato in questo.Quindi eccomi qui… senza sapere se sarò di nuovo in campo in una palestra all’estero… senza sapere se giocherò – e sento questo dolore per la maggior parte del tempo. Questo momento… mi fa anche vedere quanto fossero belle le mie opportunità. I compagni di squadra, i paesi, la crescita, gli allenatori, le culture – cose che non dimenticherò mai.Mi manchi, pallavolo. Mi manca palleggiare ai miei attaccanti e lavorare per essere ingannevole e celebrare i miei compagni di squadra quando fanno bene e le cene a tarda notte con lo zio dopo le partite. Mi mancano quei messaggi di mia madre che mi dicevano come guardarmi giocare le porti una grande gioia. Mi manca riflettere sugli allenamenti e pensare a tutte le cose in cui voglio ancora migliorare.Se sei un atleta e stai ancora leggendo, sono sicuro che puoi immedesimarti. I nostri sport sono un pezzo così incredibile della nostra vita. Se giochi e gareggi ancora, sorrido per te. Letteralmente.Se sei come me e ricordi con un po’ di dolore nel cuore, ti mando un abbraccio pieno di comprensione.C’è questo posto profondo nel mio cuore che sente che il mio tempo con te non è ancora finito… ma questa è la sensazione di oggi – chissà cosa porterà il domani.Ho così tanto amore per te, pallavoloGrazie LEGGI TUTTO

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    Chieri: Elena Perinelli alla caccia di un sogno, tornare a vestire l’azzurro

    Elena Perrinelli

    CHIERI – Voglia e consapevolezza che si può sempre migliorare. Elena Perinelli, attacante mancina classe 1995, sta prendendo il meglio da ogni esperienza per poterlo riporre nel proprio bagaglio e continuare a credere nel suo sogno: indossare nuovamente la maglia azzurra.

    Quanto è stato importante per te il lavoro svolto nelle giovanili di Orago? “Sicuramente moltissimo. Quegli anni sono stati la base da cui è partito tutto, mi hanno dato la possibilità di imparare molto tecnicamente, ma non solo, perché ci insegnavano a stare in palestra e a lavorare duramente”.

    Quando hai capito che la pallavolo sarebbe diventata un’inseparabile compagna? “Fin da piccolina sognavo di diventare una giocatrice di serie A. Mio papà è un allenatore di pallavolo e io volevo sempre andare in palestra con lui”.

    Quali sono i pro e i contro, secondo te, di giocare ad alto livello? “Credo che ci siano moltissimi pro, a partire dal fatto che facciamo quello che più ci piace e che abbiamo la possibilità di girare molto o di conoscere sempre nuove persone. Anche pensandoci bene non riesco proprio a trovarne di contro”.

    Elena Perinelli in azzurro
    Miglior attaccante (Europeo U18 2011) e miglior ricevitrice (Europeo U19 2012). A quale esperienza con la maglia azzurra juniores sei più affezionata? “Ogni esperienza con la maglia azzurra ha qualcosa di speciale che la caratterizza. Non saprei sceglierne una in particolare perché ognuna di quelle mi ha dato qualcosa che porterò sempre con me”.
    Lo scorso anno alle Universiadi, sempre con la nazionale hai vinto la medaglia d’argento. Come è stato disputare una competizione internazionale di quel livello in Italia? “Sicuramente è stato molto emozionante. Mi dispiace ancora perché sono convinta che avremmo potuto vincere l’oro, ma poter giocare una competizione del genere in Italia è stata una vera fortuna”.

    Cosa hai provato quando ti è stato comunicato che saresti stata il nuovo capitano di Chieri? “A Chieri, sia come città che società, sono molto affezionata ed essere il capitano di questa squadra è per me motivo di orgoglio ed un onore”.
    Come valuti il tuo percorso nella massima serie fino ad ora? “Sono contenta di come sia andata fino ad ora e di come stia andando, ma non mi fermo qui, voglio crescere ancora, giorno dopo giorno”.
    Qual è il tuo rapporto coi tifosi? “I tifosi a Chieri sono una parte fondamentale e storica per la società! Non ci lasciano mai sole e ci danno un gran supporto. Li ringrazio molto”.
    Cosa ti auguri per il prosieguo della tua carriera? “Mi auguro di arrivare il più in alto possibile con Chieri vincendo anche qualche trofeo e di poter indossare la maglia azzurra nuovamente”. LEGGI TUTTO