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NBA – Pelicans, Nicolò Melli: “Non gioco a basket da 40 giorni”

NBA - Pelicans, Nicolò Melli: "Non gioco a basket da 40 giorni"

Tra un pasto e l’altro cucinato soprattutto da sua moglie (“Io penso più che altro a mangiare”) e un allenamento in balcone per tenersi in forma, Nicolò Melli passa la sua quarantena a New Orleans come tutti bloccato in casa ma continuamente in chat con l’Italia e le decine di cronisti che “devono” strappare qualche info per scrivere le poche notizie che purtroppo girano con la pallacanestro mondiale bloccata. Ecco qualche battuta registrata da Stefano Salerno per Skysport.

Niente basket da 40 giorni. No, non ho più giocato a pallacanestro. Qui a New Orleans la quarantena è più leggera rispetto a quella italiana, potrei anche uscire fuori a correre. Onestamente non mi fido molto, preferisco stare in casa. Per fortuna ho un balcone quindi, tempo permettendo, faccio qualcosa fuori. Mi viene un po’ da sorridere a dirlo, ma in questa fase ci si organizza con le risorse a disposizione.

11 marzo, Sacramento-Pelicans. Il coronavirus c’era già in giro per il mondo ed era impensabile che non fosse arrivato anche in NBA – parlo del mio sport perché è il mio mondo, non perché sia più importante -. È bastata la positività di un giocatore e hanno chiuso tutto. Fino a quel momento, hanno preferito un po’ far finta di non vedere, e poi, di colpo, davanti al primo caso hanno subito preso delle misure drastiche. Noi dei Pelicans ci siamo trovati nello spogliatoio a Sacramento, mentre nel frattempo veniva sospesa la partita tra Thunder e Jazz. In teoria dovevamo giocare subito dopo. A quel punto è uscita la notizia che la regular season era stata sospesa dal giorno successivo, ma noi dovevamo comunque scendere in campo. Una situazione paradossale: o fermi tutto, oppure decidi di fare altro. Poco dopo la lega ha scelto infatti di sospendere anche la nostra gara, anche perché uno degli arbitri della nostra partita era sceso in campo qualche giorno prima in un match dei Jazz [Courtney Kirkland, che aveva diretto Toronto Raptors-Utah Jazz 48 ore prima e risultato poi negativo al test, ndr]. C’è stato qualche momento di sospensione in spogliatoio, in cui nessuno sapeva cosa si doveva e poteva fare. In fondo, 50 giorni fa di questo virus non si conosceva nulla: ora invece abbiamo qualche idea in più a riguardo. Eravamo tutti al telefono, me compreso, cercando di capire cosa fosse successo.

Premonitore. Ho vissuto un paio di episodi particolari in quel frangente dovuti al mio essere italiano. Il primo quando sono andato in un supermercato qualche giorno prima della sospensione della regular season e in Italia la pandemia era già arrivata. Io e mia moglie cercavamo del disinfettante per le mani e alla cassa parlavamo tra noi. Ascoltandoci, viene fuori che io sono italiano e l’atteggiamento della cassiera a quel punto è totalmente cambiato nei miei confronti – nonostante io fossi qui in America da mesi. Era chiaro che ci portavamo dietro l’etichetta di: “Italiano uguale coronavirus”. Ho capito insomma che c’erano un bel po’ di stereotipi. L’altra cosa invece è che, essendo costantemente informato su quello che stava accadendo in Italia, mi trovavo puntualmente ad anticipare quelle che sarebbero state le mosse scontate e naturali fatte anche qui dal governo negli Stati Uniti. Parlando con i fisioterapisti ad esempio dicevo: “Vedrete che tra una settimana chiuderanno tutti i negozi” e puntualmente accadeva. Chiedevano a me perché in maniera indiretta avevo già vissuto quali fossero le tappe che sarebbero state percorse.

Fiducia e pazienza. Questa estate quando ho deciso di giocare in NBA, mi sono piaciute molto le parole che hanno rivolto nei miei confronti e il modo usato per convincermi a venire a New Orleans. Venivo da un infortunio e da un’operazione in estate, sapevo di dover avere pazienza e di lavorare tanto – oltre ad affrontare un naturale percorso di ambientamento. Una serie di cose che mi hanno permesso di venire fuori col tempo, così come essere riuscito a farmi trovare pronto quando mi hanno chiamato in causa. Sapevo che c’era sin da subito fiducia nei miei confronti, era soltanto questione di tempo e di avere magari un pizzico di fortuna.

Fonte: http://feeds.pianetabasket.com/rss/


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