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Libri nel Giro, il 'Coppi' unico di Mario Fossati

L’ultimo Tandem è dedicato a Mario Fossati e soltanto dio (il dio del giornalismo) sa quanto se lo merita. Gianni Brera, suo amico e collega, lo chiamava “il Generale”. Lui, Fossati, ai gradi preferiva le gradazioni, tant’è che quando, dopo una vita, scese dalla macchina e non seguì più corse e corridori, spiegò che non aveva più nulla da spartire con giornalisti che in sala-stampa e poi a tavola pasteggiavano a Coca-Cola. Alla “Gazzetta dello Sport” dal 1945 al 1956, al “Giorno” dal 1956 al 1982, alla “Repubblica” dal 1982 al 2008, Fossati è stato rappresentante, interprete, protagonista di un giornalismo che oggi non esiste più. Verrebbe da dire: rappresentante, interprete, protagonista del giornalismo. Perché quello di oggi, e – a occhio – anche quello di domani, riesce faticoso, se non impossibile, definirlo giornalismo, sembrerebbe più adatto il termine generico e pericoloso di comunicazione.

Scriveva di sport, Fossati. Non solo ciclismo, ma anche ippica e pugilato, calcio e alpinismo, automobilismo (impossibile sottrarsene, per chi nasce a Monza) e atletica. La sua scrittura era pulita, chiara, limpida. E lui leale, onesto, sincero. La sua modestia lo ha allontanato dalla fama, la sua semplicità lo ha immunizzato dal narcisismo, il suo rigore (alpino, sopravvissuto alla campagna di Russia) lo ha custodito dall’esibizionismo. In tv, se ci è mai andato, è stato per sbaglio o per caso. E di libri – “Un libro è una cosa importante”, sosteneva convinto – ne ha scritto uno soltanto, forse a forza.

Ma qui i libri sono due. Il suo “Coppi” (Compagnia editoriale, 1977), in cui racconta il Tour de France del 1952, quello della seconda doppietta fra maglia rosa e maglia gialla. E il “Mario Fossati” di Enrico Currò (Bolis Edizioni, 2018), nato come la tesi di laurea da un più giovane collega della “Repubblica” e poi diventato un testo sulla storia del giornalismo sportivo in Italia dal 1945 al 2010. Per scrivere i suoi pezzi, Fossati non doveva aprire enciclopedie, gli bastava aprire il cuore. Era quella la sede della sua memoria. E dal cuore passava e ripassava, trovando e ritrovando, andando e amando, selezionando e semplificando, salpando e scolpendo. Il ciclismo su pista, lo sprint, per esempio: “Il surplace arguto, che era una pausa, una proposta filosofica all’avversario, un inganno; lo scatto da fermo che torceva le congiunture di quel traliccio d’acciaio che è la bicicletta, come un polso; la volata, che è un’esplosione di scatti…”.Visualizza questo post su Instagram


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml


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