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Malagò, Gravina e il governo: la guerra del calcio diviso sulla ripartenza

Si è rischiato di chiudere la stagione con Juventus-Inter dell’8 marzo perché il giorno successivo, lunedì 9 marzo, Sassuolo-Brescia ha rischiato di saltare. Si è scoperto infatti che il padre di un dipendente, che era entrato in contatto coi calciatori, era stato ricoverato perché positivo al Covid 19. C’erano state feroci discussioni e qualcuno non voleva scendere in campo. Alla fine si era giocato, ovviamente a porte chiusissime ma con molte paure. Questo per dire la gravità della situazione: la Lega di A sta facendo di tutto per tornare in campo il 30 maggio, 84 giorni dopo quella partita. Ma bisognerà farlo nelle più totali condizioni di sicurezza perché basterebbe un padre positivo di un qualsiasi protagonista dei circa 2500 che saranno coinvolti ogni giornata di campionato per fare saltare tutto.

Non tutti in serie A sono convinti che sia il caso di scendere ancora in campo in città con Milano, Brescia, Bergamo, Torino, martoriate dal virus (anche se alcune squadre potrebbero essere spostate al Sud). Ci sono state fortissime pressioni nei confronti del governo da parte di presidenti di vari schieramenti, fra chi spingeva per tornare a giocare il più presto possibile (e Lotito è stato, ed è, il leader di questa corrente di pensiero) e di chi, per interessi vari, o anche per convinzione, sperava di finirla qui. Ci sono presidenti che hanno paura per le 12 giornate ancora da giocare, più recuperi: temono di essere invischiati nella lotta per la salvezza. Altri hanno paura che la loro squadra, dopo una sosta così lunga, possa crollare. Altri ancora preferirebbero pensare al futuro, risparmiando sullo stipendio dei loro giocatori visto che hanno sbagliato tutti i piani. Tutte queste pressioni a politici, ministri, non sono piaciute affatto alle istituzioni, anche molto in alto: il calcio ha dimostrato ancora una volta, ma non ce n’era bisogno, che crede di essere un mondo a sé. “Ribadisco che se si riprenderà a giocare io non schiererò il Brescia. Non è una provocazione: mi diano i punti di penalizzazione che vogliono, mi assumo tutte le responsabilità del caso”, ha detto Massimo Cellino in un’intervista al Giornale di Brescia nella quale attacca chi spinge per la ripresa del campionato in tempi stretti. “Sto vedendo troppo egoismo e troppe persone che cercano di approfittare di questa situazione. Lotito vuol tornare a giocare? Raglio d’asino non giunge in Paradiso, si dice: io ascolto solo chi è degno di essere ascoltato. Tra l’altro non so nemmeno se rappresenti la Lazio visto che del club è solo presidente del comitato di gestione… Gravina? Vada meno in tv e controlli meglio i conti delle società. E venga a fare un giro a Brescia, poi parliamo di tutto”. Infine ha spiegato: “Io non voglio vantaggi e non ho paura di retrocedere (era ultimo in classifica quando si è fermato il campionato, ndr) perché non fallisco e perché la serie A ce la riprenderemo. Le posizioni prudenti di Fifa e Coni sul fatto di tornare a giocare dicono che il mio punto di vista è quello corretto”.

Giovanni Malagò è stato coinvolto, suo malgrado, in questa guerra interna al mondo del calcio. Lui vuole che si torni a giocare ma con la massima garanzia per tutti, anche l’ultimo dei magazzinieri, e vuole che sia lo stesso per tutti gli sport. Il presidente del Coni si augura quindi che il 4 maggio tornino sì ad allenarsi le squadre della serie A ma anche la Pellegrini, la Goggia (bloccata nella sua Bergamo), i ragazzi del beach volley. Tutti. Nessuna preferenza. Nessuna scorciatoia.

Le parole di Gabriele Gravina, in risposta a Malagò, non sono piaciute per niente a Gianni Petrucci, ora al basket ma per 14 anni presidente del Coni: “Di fronte ai morti, solo 10.000 in Lombardia, non si può parlare di impatto economico”. Petrucci era alleato di Gravina in una cordata contro Malagò dove c’erano anche Binaghi, Barelli, Cattaneo. Ora la cordata non c’è più, gli assetti sono cambiati, ma restano forti distanze fra il n.1 del Coni e il presidente della Figc. Malagò sta col governo, sta con Spadafora (5 stelle, come cambia il mondo…) e non apprezza quell’agitarsi eccessivo del calcio, che pure è il suo mondo e al quale è fortemente affezionato. Ma pretende che tutti gli sport siano alla pari. Si aspetta adesso il governo per i passi successivi, il piano della Lega prevede allenamenti dal 4 maggio dopo test medici più che accurati, ripartenza il 30 maggio (prima sarà difficile) e chiusura ai primi di agosto. Si giocherà di sera, al caldo: niente di nuovo, gli Europei d’atronde erano previsti dal 12 giugno al 12 luglio e qui si tratta di professionisti. Il governo e il comitato tecnico scientifico si rifanno ai rigorosi protocolli previsti dalla Fmsi (federazione medici sportivi) di Maurizio Casasco, ben conosciuto a livello politico anche come presidente di Confapi, confederazione italiana piccola e media industria privata. Casasco è per la ripartenza ma con regole uguali per tutti, e nessuna scorciatoia.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml


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