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    MotoGp, Miller: “Bagnaia e la Ducati mi mancheranno”

    CHEMNITZ –  “Addio alla Ducati? Bagnaia e tutto lo staff mi mancheranno, ma ci sono ancora tante gare in questa stagione e tante cose da fare insieme”. Jack Miller ha parlato così durante la conferenza stampa alla vigilia del Gran Premio di Germania, decimo appuntamento stagionale della MotoGp. Il pilota australiano lascerà la Ducati dopo cinque anni (di cui tre con il team Pramac) per trasferirsi in KTM. “Prima dell’annuncio ho provato a spiegare a tutti cosa stava succedendo – ha detto -. Devo ammettere che vestire il rosso della Ducati era uno dei miei desideri quindi lasciarlo sarà una forte emozione. Ma ho altri progetti per il futuro”.
    Sulla KTM
    “Sono molto felice del mio accordo con KTM, sono molto soddisfatto perché l’opportunità è davvero grande – ha aggiunto Miller parlando della sua prossima destinazione -. Credo sia positivo anche per cambiare un po’ ambiente, sono in Ducati da tanti anni e l’esperienza è stata eccezionale. Sono grato di quello che mi hanno insegnato, anche se ho avuto alti e bassi. Ora ho sposato un progetto con tanta dignità, con gente che ha voglia di vincere”. LEGGI TUTTO

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    Nba Finals, vince Golden State: tutto quello che c’è da sapere

    Golden State Warriors e Boston Celtics, il verdetto finale è arrivato: mai come quest’anno le Nba Finals (visibili in diretta su NOW e raccontate dalla squadra di Sky Sport NBA) sono state all’insegna dello spettacolo con continui capovolgimenti di fronte, rimonte in salsa epica e sfide che si decidono al fotofinish. Da una parte c’era la storia del basket a stelle e strisce, i Boston Celtics, una delle franchigie simbolo della pallacanestro statunitense; dall’altra il recente passato, il presente e il futuro della palla a spicchi ‘made in Usa’, i Warriors del mentore Steve Kerr. Ma non è tutto: Golden State-Boston è stata la sfida tra due mostri sacri del basket americano tra gli anni ‘50 e ‘60, Bill Russell e Wilt Chamberlain, e la supersfida odierna, quella tra Stephen Curry e Jayson Tatum, che ha tenuto tutti gli appassionati con il fiato sospeso. Si è dovuti arrivare a Gara-6 per emettere il verdetto finale: il trionfo dei Warriors che si sono portati sul 4-2.
    Warriors e Celtics: tutte le strade portano…alle Finals
    Se qualcuno, lo scorso novembre, avesse scommesso un solo penny sui Boston Celtics alle Nba Finals, sarebbe stato facilmente etichettato come pazzo squilibrato. Era l’ottobre del 2021 quando la franchigia del Massachusetts navigava nelle cattive acque della Eastern Conference con un record da brividi: 18 vittorie e ben 21 sconfitte nelle prime 39 gare della stagione in regular season. A gennaio, però, la stagione di Boston svolta: coach Ime Udoka compatta ambiente e gruppo e i Celtics si trasformano. La regular season si chiude con un clamoroso record di 51-31 e un insperato secondo posto a Est, alle spalle dei Miami. Heat Da qui la cavalcata trionfale ai playoff: sweep con i Brooklyn Nets al primo turno, 4-3 al cardiopalma ai quarti di finale contro i Bucks campioni in carica e apoteosi a Miami, in gara-7, contro gli Heat dello spauracchio Jimmy Butler. Se il cammino dei Celtics fino alle Finals assume tutte le sembianze di una gloriosa cavalcata, più lineare e meno arduo è il percorso stagionale dell’altra finalista, Golden State. I Warriors di coach Steve Kerr, terzi a Ovest con un record di 53-29, hanno letteralmente “passeggiato” nel post-season: 4-1 al primo turno ai Nuggets, 4-2 rifilato ai Grizzlies ai quarti di finale e 4-1 in semifinale con i Dallas Mavericks che poco hanno potuto contro lo strapotere di Steph Curry e Kyle Thompson.
    Nba Finals: la storia diceva Celtics
    Esisteva un solo precedente tra le due franchigie alle Finals e sorride a Boston. Era la stagione 1963-1964 e i Celtics di coach Red Auerbach infliggono una sonora lezione agli, allora, San Francisco Warriors. Dopo le prime due partite vinte in scioltezza dai Celtics con i 59 punti complessivi di Samuel Jones, la serie si sposta a San Francisco con i Warriors che riaprono i giochi in gara-3 con la doppia doppia (35 punti e 25 rimbalzi) di Wilt Chamberlain. In gara-4, nel catino infernale del ‘Cow Palace’ di Daly City, tutti si aspettano il pareggio nella serie dei padroni di casa, galvanizzati dal trionfo nel terzo game ma i Celtics ammutoliscono i quasi 15mila spettatori dell’impianto californiano. Sontuosa la prova del solito Bill Russell che limita il più possibile lo strapotere tecnico e fisico di Wilt Chamberlain e spegne ogni velleità della franchigia californiana. L’happy end-Celtics arriva il 26 aprile 1964: al Boston Garden, il 105-99 finale chiude la serie sul 4-1 e vale alla franchigia del Massachusetts il settimo titolo. Cinquantotto anni dopo, la storia si ripete e si gioca ancora una volta per l’anello: i Celtics sognavano il loro 18esimo titolo per staccare i Lakers e diventare così la squadra più titolata d’America. Golden State invece ha ottenuto il quarto anello in otto stagioni, il settimo complessivo (ultimo trionfo nel 2018, 4-0 in finale ai Cavs di LeBron James). Nell’ultima regular season invece il bilancio tra le due finaliste è in perfetta parità: il 18 dicembre 2021, i Warriors espugnano il TD Garden di Boston per 111-107: Steph Curry il mattatore della serata con 30 punti a referto. Rivincita Boston il 17 marzo 2022 con doppia doppia di Jayson Tatum (26 punti e 12 rimbalzi) e Celtics che vincono 110-88 a San Francisco.
    Nba Finals, il duello Curry-Tatum
    A 12 anni dalle ultime Finals disputate (era la stagione 2009-2010, sconfitta 4-3 con i Lakers in un’indimenticabile serie), i Boston Celtics si sono affidati alla clamorosa stagione disputata dalla loro stella più luminosa, Jayson Tatum. L’ala dei Celtics ha trascinato i suoi nella decisiva gara-7 di Miami nelle finali di Conference e nelle gare disputate nelle Finals (sempre a referto con oltre 20 punti tranne in gara-1, in ombra con soli 12 punti a sua firma). Considerato uno dei migliori giocatori della sua generazione, Tatum è un profilo di livello assoluto, un classe 1998 che ha tutte le carte in regola per poter quantomeno emulare le gesta di due leggende della pallacanestro mondiale: Paul Pierce, Mvp delle Finals 2008 proprio in maglia Boston, e l’indimenticato Kobe Bryant. Tatum si è inoltre aggiudicato il nuovo premio istituito dalla Nba come miglior giocatore delle finali di Conference (a Est il titolo è dedicato a sua maestà Larry Bird). Stesso riconoscimento anche per Stephen Curry: l’Mvp della finali di Western Conference (premio dedicato a un’altra leggenda del basket, Magic Johnson) e pure della finali nazionali è un giocatore completo. Uno di quei profili che lega il proprio nome alla storia di uno sport ma soprattutto una macchina da guerra alla sua sesta partecipazione alle Finals in otto stagioni. Non servono tante presentazioni per Curry, per lui sono sufficienti alcuni numeri che certificano l’impressionante valore del giocatore: lo scorso 14 dicembre, a Indianapolis contro i Pacers, è diventato il giocatore con il maggior numero di triple segnate nella storia dell’Nba battendo il record di 2973 tiri dall’arco appartenente a Ray Allen. Non contento, due settimane dopo, il 28 dicembre 2021, diventa il primo e unico giocatore della storia dell’Nba a superare i 3mila tiri messi a segno dall’arco in carriera in un match contro i Nuggets. Record spazzati via e qualità al potere: l’Nba è Curry-centrica.
    Celtics-Warriors: i protagonisti delle Finals
    L’ultimo atto tra Celtics e Warriors non tradisce le attese e si conferma spettacolare: Golden State ha chiuso i giochi in gara-6, disputata giovedì 17 giugno al TD Garden di Boston, mettendo le mani sul Larry O’Brien Championship Trophy. Artefice del progetto Warriors è Steve Kerr, esperto di trionfi tanto in campo quanto in panchina: protagonista del secondo three-peat con i Bulls di Michael Jordan, Toni Kukoc, Scottie Pippen e Dennis Rodman e dei due storici successi degli Spurs nel 1999 e 2003, l’ex guardia di Chicago e San Antonio ci ha preso gusto anche con la lavagnetta in mano. Con i Warriors ha infatti vinto l’anello in quattro occasioni: 2015, 2016, 2018 e 2022. Il quarto trionfo è arrivato anche se le Finals sono state più equilibrate di quanto si potesse pensare: dopo il 2-1 Celtics in gara-3, Golden State si è sempre trovata con le spalle al muro e con la pressione, delle volte ingestibile, di chi deve inseguire e non può permettersi di sbagliare. Ma l’abitudine dei ‘Guerrieri’ di San Francisco alla gestione dei momenti più difficili si è palesata nella sua miglior versione: con un Klay Thompson pienamente recuperato (ritornato in campo a gennaio dopo l’infortunio al legamento crociato del ginocchio sinistro del giugno 2019 e la lesione al tendine d’Achille destro nel novembre 2020), la fisicità di Draymond Green, la freschezza atletica di Jordan Poole e l’apporto decisivo di giocatori come Andrew Wiggins (decisivo a rimbalzo in gara-3 e 4) e Gary Payton II, Golden State ha conquistato la gloria. Ii ‘bad boys’ di Boston hanno venduto cara la pelle pur di portare la serie a gara-7. Marcus Smart, anima della franchigia verde, Robert Williams III, uno dei più interessanti giocatori nel suo ruolo in entrambi i lati del campo e la stella Tatum hanno tentato il ‘Not in my house’. I loro auspici non si sono però trasformati in realtà.
    Nba Finals: i risultati
    G1 – Golden State Warriors-Boston Celtics 108-120G2 – Golden State Warriors-Boston Celtics 107-88G3 – Boston Celtics-Golden State Warriors 116-100G4 – Boston Celtics-Golden State Warriors 97-107G5 – Golden State Warriors-Boston Celtics 104-94G6 – Boston Celtics-Golden State Warriors: 90-103 LEGGI TUTTO

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    MotoGp, Quartararo: “In Germania non sarà lo stesso senza Marquez”

    ROMA – Fabio Quartataro alla fine non può che ammetterlo: “No, senza Marquez non sarà lo stesso. In fin dei conti ha vinto sempre in Germania. Lui in pista sarei stato ancor più motivato, perché nessuno ha vinto con lui in pista. Lui mi ha dato tanto e voglio continuare ad imparare”. Le parole del francese della Yamaha, raccolte dal quotidiano spagnolo “AS” alla vigilia del Gran Premio di Germania, tradiscono una certa delusione. La griglia di partenza al Sachsenring, infatti, non vedrà Marc Marquez. Il pilota della Honda, che sul circuito tedesco ha vinto ininterrottamente sin dal 2010, è ancora convalescente dall’operazione all’omero destro.
    Sulla gara
    La voglia di sfidare Marquez da campione del mondo in uno dei suoi fortini era evidentemente molto forte, ma Quartararo pensa anche concreto. La sua leadership in MotoGp è insidiata da Aleix Espargaro su Aprilia, distante solo 22 punti, e in Germania sarà lotta aperta. “In Germania – ricorda il nizzardo – non abbiamo fatto male l’anno scorso e sono salito sul podio (terza posizione, ndr), ma nel 2019 un tratto mi è costato caro (caduta nei primi giri, ndr). Vedremo come andrà, ma non sarà un fine settimana negativo per me”. LEGGI TUTTO

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    MotoGp, Quartararo: “Vittoria al Sachsenring? Senza Marquez non è la stessa cosa”

    ROMA – “No, non è la stessa cosa. Alla fine Marquez ha vinto sempre lì. Mi motiverebbe di più vincere con lui in pista, perché nessuno ci è riuscito. Da lui ho imparato molto e voglio continuare ad imparare”. Sono queste le parole, raccolte dal quotidiano spagnolo “AS”, di Fabio Quartararo alla vigilia del Gran Premio di Germania, che non vedrà partire in griglia Marc Marquez. Il pilota della Honda, ancora convalescente dall’operazione all’omero destro, sul circuito del Sachsenring ha infatti vinto ininterrottamente sin dal 2010, quando cioè guidava in classe 125. E un’eventuale vittoria non avrebbe lo stesso sapore per il francese.
    Le parole di Quartararo
    La voglia di sfidare Marquez da campione del mondo in uno dei suoi fortini era evidentemente molto forte, ma Quartararo pensa anche concreto. La sua leadership in MotoGp è insidiata da Aleix Espargaro su Aprilia, distante solo 22 punti, e in Germania sarà lotta aperta. “Il Sachsenring – afferma “El Diablo” – è un circuito dove l’anno scorso abbiamo fatto male, nonostante sia salito sul podio (terza posizione, ndr), ma ci sono alcuni tratti che mi sono costati caro, come accaduto nel 2019 (caduta nei primi giri, ndr). Staremo a vedere, ma sicuramente non sarà un brutto fine settimana per noi”. LEGGI TUTTO

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    5 modelli di auto usate sotto i 20.000 euro da tenere sott'occhio per l'estate

    Il periodo tanto atteso è arrivato: l’estate ha aperto le sue porte con le temperature calde già da un po’ e la voglia di partire è tanta, soprattutto dopo aver passato circa 2 anni a dover rinunciare alle famose e tanto attese vacanze. Quando si tratta di partire però la cosa a cui pensare, specie se si tratta di un viaggio con la famiglia, è una: la comodità. Per questo il pensiero può andare all’acquisto di un’auto, ma anche in questo caso si deve fare i conti con la situazione attuale economica e di prezzi alle stelle (quali la benzina). Per questo motivo molti volgono lo sguardo alle auto usate, e se si vuole risparmiare male non fa. 
    Vetture di dimensioni idonee a una famiglia: station wagon o piccoli SUV, o anche ammiraglie, basta che siano in buone condizioni  – al massimo 99.000 km – e con pochi anni di vita – al massimo quattro -. Carvago.com, portale leader del settore, ha stilato una classifica delle 5 migliori auto usate famigliari da poter acquistare con un budget non superiore ai 20.000 euro.
    Nella Top 10 dei paesi ideali per gli appassionati di auto c’è anche l’Italia LEGGI TUTTO

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    Giacomo Agostini spegne 80 candeline: una vita oltre il mito

    ROMA – Giacomo Agostini compie 80 anni. La sua carriera racconta di una vita dedicata alle due ruote, su cui ha vinto 15 titoli iritati: un record ineguagliato ancora oggi. La vittoria gli ha fatto compagnia anche nelle vesti di team manager, quando nel 1982 prende il comando dell’Agostini Team, portando tre volte al trionfo iridato Eddie Lawson. Insomma, dovunque “Ago” abbia messo piede, il successo è entrato con lui a braccetto. Le sue statistiche nel Motomondiale, al limite dell’incredibile, fanno ancora oggi da faro a chiunque sogni di correre su una moto: 190 Gran Premi disputati, 159 podi complessivi di cui 122 festeggiati sul gradino più alto, 12 mondiali consecutivi (dal 1967 al 1973) in classi diverse (350cc e 500cc) – sempre con la scuderia MV Agusta -, di cui tre (1968-1969-1970) vinti trionfando in tutti i Gran Premi. Inoltre, Agostini è ancora oggi l’unico italiano ad aver vinto la 200 miglia di Daytona: era il 10 marzo del 1974, per un clamoroso debutto in Yamaha.
    Uno sportivo rivoluzionario
    Sulla sua carriera scintillante fatta di trofei e vittorie su circuiti oggi improponibili per la loro pericolosità, come il Tourist Trophy della Gran Bretagna, si è già detto molto. Agostini ha però inoltre rappresentato una figura d’avanguardia anche per quanto riguarda il modo di vedere lo sportivo. Carismatico, seducente, sfrontato quanto basta e un talento a rasentare la perferzione: Agostini è stato uno dei primi atleti a riempire coi suoi affaire amorosi le pagine dei rotocalchi, che andavano di pari passo con i quotidiani sportivi che ad ogni weekend ne tessevano le lodi per le traiettorie impossibili disegnate in pista. Il suo contratto con la Yamaha dopo aver fatto incetta di successi con la MV Agusta fece molto scalpore per l’epoca: 300 milioni di lire per un biennale e tante polemiche per un presunto tradimento al team italiano. Ma la storia gli ha dato ragione: con i giapponesi, prima del ritiro nel 1977, ha fatto in tempo ad arricchire la sua bacheca con altri due titoli. Un mito che continua ancora oggi e riecheggerà per sempre nella Hall of Fame della MotoGp, riconoscimento arrivato nel 2000, oltre a quello istituzionale più prestigioso: il titolo di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, che gli è stato conferito dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2003. LEGGI TUTTO

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    Giacomo Agostini compie 80 anni: storia e carriera del più vincente di tutti

    ROMA – Ottant’anni di una leggenda, ottant’anni di Giacomo Agostini. La storia, il mito, la spregiudicatezza vincente di un essere umano capace di vincere la bellezza di 15 titoli mondiali: mai nessuno ha fatto bene quanto lui. Una vita sempre al massimo, sempre al vertice del motorsport a due ruote, anche da dirigente, quando nel 1982 prende le redini del suo Agostini Team, portando tre volte al trionfo iridato Eddie Lawson. Insomma, dovunque “Ago” abbia messo piede, la vittoria è entrata con lui a braccetto. E le sue statistiche nel Motomondiale, al limite dell’incredibile, fanno ancora oggi da faro a chiunque sogni di correre su una moto: 190 Gran Premi disputati, 159 podi complessivi di cui 122 festeggiati sul gradino più alto, 12 mondiali consecutivi (dal 1967 al 1973) in classi diverse (350cc e 500cc) – sempre con la scuderia MV Agusta -, di cui tre (1968-1969-1970) vinti trionfando in tutti i Gran Premi. Inoltre, Agostini è ancora oggi l’unico italiano ad aver vinto la 200 miglia di Daytona: era il 10 marzo del 1974, per un clamoroso debutto in Yamaha.Guarda la gallery”Un mito lungo 80 anni”: ecco il libro della leggenda Agostini
    Oltre il mito
    Sulla sua carriera scintillante fatta di trofei e vittorie su circuiti oggi improponibili per la loro pericolosità, come il Tourist Trophy della Gran Bretagna, si è già detto molto. Agostini ha però inoltre rappresentato una figura d’avanguardia anche per quanto riguarda il modo di vedere lo sportivo. Carismatico, seducente, sfrontato quanto basta e un talento a rasentare la perferzione: Agostini è stato uno dei primi atleti a riempire coi suoi affaire amorosi le pagine dei rotocalchi, che andavano di pari passo con i quotidiani sportivi che ad ogni weekend ne tessevano le lodi per le traiettorie impossibili disegnate in pista. Il suo contratto con la Yamaha dopo aver fatto incetta di successi con la MV Agusta fece molto scalpore per l’epoca: 300 milioni di lire per un biennale e tante polemiche per un presunto tradimento al team italiano. Solo nuvole passeggere, poi ancora due mondiali con la casa di Iwata, prima del ritiro nel 1977, per la fine di un’era che ancora oggi è marchiata a fuoco col suo nome, la cui eco risuona ancora oggi nella Hall of Fame della MotoGp. LEGGI TUTTO

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    Pogba alla Juve: il ritorno più atteso. E torna anche il suo garage da 1,6 milioni!

    Ci sono amori che non finiscono mai, un po’ come quello tra la Juventus e Paul Pogba, atteso nei primi giorni di luglio all’ombra della Mole per vestire di nuovo la maglia bianconera. Il “Polpo” è pronto a tornare nella sua Torino, ma ovviamente non da solo: oltre alla sua famiglia c’è un parco auto immenso, un tesoro multimilionario a 4 ruote che necessiterà di un garage dalle dimensioni (e dai sistemi antifurto) davvero notevoli.Guarda la galleryPogba, passione supercar: le auto del francese FOTO
    Le “bimbe” di Paul
    Paul Pogba è l’emblema del lusso sfrenato. Il centrocampista, attualmente in vacanza a Miami, si è mostrato al pubblico con addosso abiti delle firme più costose, ha vissuto in ville mozzafiato ed ha sfrecciato con le supercar più imponenti. La sua collezione di auto raggiunge il valore di 1,6 milioni: tra le più belle c’è la Rolls-Royce Wraith Black Badge, valutata circa 340mila euro, l’auto più costosa di Paul, ma elegantissima è anche la Lamborghini Aventador bianca da 315mila euro. Nel suo garage è presente anche una Ferrari 812 Superfast da 302mila euro, che il calciatore ha scelto di acquistare in giallo. A spiccare è anche la sua Bentley Flying Spur a quattro porte, che vanta sedili in pelle trapuntata e un hot-spot Wi-fi, sicuramente comoda ma non sobria, la quale fa compagnia ad un’Audi RS6, una Maserati Quattroporte e a una Mercedes GLS 4×4 nera.
    Pogba si dimentica della sua Rolls Royce, la riprende 9 mesi dopo  LEGGI TUTTO