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    Labirinto della Masone: una passeggiata tra il verde e l'arte

    Un nuovo fantastico percorso a tappe per svelare la storia del Labirinto e soprattutto del suo geniale creatore, Franco Maria Ricci. Ha deciso di riaprire in questo modo lo splendido complesso di Fontanellato, vicino a Parma, ideato (nelle sue proprietà di famiglia) da chi ha sempre avuto a cuore l’arte e il bello. Il Labirinto della Masone è il più grande esistente e si estende su un percorso lungo oltre 3 chilometri dove regnano incontrastate le piante di bambù (in totale sono circa 200 mila), alte tra i 30 centimetri e i 15 metri e appartenenti a venti specie diverse. Scelto e amato da Ricci per la sua flessuosa eleganza, il bambù è in realtà una pianta forte e vigorosa, con una crescita molto rapida e in grado di ridurre notevolmente l’anidride carbonica restituendo ingenti quantità di ossigeno. E a differenza dell’incubico Labirinto di Minosse, quello della Masone è un giardino fatto per passeggiare, smarrendosi piacevolmente di tanto in tanto.

    Gli edifici al suo interno, sede della Fondazione Franco Maria Ricci, sono ispirati alle utopie architettoniche neoclassiche di Boullée, Lequeu, Ledoux e Antolini; progettati seguendo i canoni della tradizione italiana ed europea, si integrano armoniosamente con il paesaggio circostante. Accanto al Labirinto sono presenti inoltre un museo, che custodisce l’intera collezione di opere d’arte di Franco Maria Ricci, un archivio, una biblioteca e spazi per mostre temporanee e per l’ospitalità. Disposta su cinquemila metri quadrati, eclettica e curiosa, la collezione d’arte raccoglie circa cinquecento pezzi che attraversano cinque secoli di storia dell’arte, dal XVI al XX. Si va dalla grande scultura del Seicento a quella neoclassica, ai busti dell’epoca di Napoleone, da manieristi come Carracci e Cambiaso ad artisti legati agli anni d’oro del ducato di Parma, dalla pittura dell’Ottocento, tra cui spicca Hayez, al Novecento delle opere di Wildt, Ligabue, Savinio. In un allestimento né casuale né scientifico, ma che rispecchia le scelte e il gusto del collezionista. LEGGI TUTTO

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    Gravina in Puglia, alla scoperta di preziosi tesori

    Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia nasconde un ambiente dal fascino antico e magnetico. Si tratta di un luogo che lascia il segno, basta uno sguardo e riempie gli occhi e l’anima. È Gravina in Puglia, in provincia di Bari, una cittadina magica anche solo per la sua suggestiva posizione, aggrappata a una roccia. Il giallo ocra dei palazzi e delle chiese, a ridosso di un burrone, richiama quello delle rocce circostanti, scavate e modellante dall’incessante scorrere del torrente Gravina e degli altri corsi d’acqua che insistono sul territorio. Nascono così crepacci, gravine e puli, che sin dalla preistoria hanno dato rifugio all’uomo, consentendo il proliferare di insediamenti e siti di cui è ricco il territorio. I greci la chiamarono Sidion, terra dei melograni, mentre i romani Silvium, terra dei boschi, ma il nome del borgo lo si deve all’imperatore del Sacro Romano Impero Federico II, che coniò l’espressione “Grana dat et vina”, da cui Gravina.

    L’accesso più suggestivo alla città, caratterizzata da un affascinante impianto medievale, è quello che la collega alla chiesa rupestre della Madonna della Stella: l’omonimo ponte-viadotto, risalente al XVII secolo e ricostruito dagli Orsini dopo il crollo del 1722. Una struttura imponente, lunga 90 metri e alta 37, che sorvola la gravina di Botromagno, offrendo un colpo d’occhio emozionante. Sono proprio le chiese rupestri una delle più grandi ricchezze custodite dal territorio. Inoltrandosi tra le viuzze della parte più antica del borgo, si incontra la chiesa-grotta di San Michele, patrono della città. Una costruzione nella roccia dal fascino unico, composta da 5 navate e “sorretta” da 14 pilastri. Oggi vi si possono scorgere solo alcune tracce delle pareti un tempo interamente affrescate, come ad esempio il celebre Cristo Pantocratore, all’interno del primo abside. L’abside centrale, invece, conserva la statua di San Michele delle Grotte. Altro luogo simbolo di Gravina è il bastione, ciò che rimane delle antiche fortificazioni urbane. Si trova nella parte nord-ovest del borgo, proprio di fronte al ponte-acquedotto, su cui regala una veduta affascinante. La sua nascita si fa risalire al XIV secolo, periodo in cui Gravina era sotto il dominio del re d’Ungheria; in seguito, poi, fu ampliato e irrobustito. Imperdibile! Come imperdibile è una visita alla cosiddetta “Gravina Sotterranea”, un percorso a 15 metri di profondità, che si articola lungo suggestivi scalini che puntano al sottosuolo. Un’esperienza, che a partire dalla cava grande da cui veniva estratto il tufo per costruire gli edifici in superficie, tra un cunicolo e l’altro, permette di conoscere l’impressionante sistema di grotte, cisterne, cantine, forni seicenteschi e ambienti di servizio, in cui osservare anche arredi e strumenti di lavoro originali.

    Ma i tesori di Gravina non terminano qui, dalla Cattedrale di Santa Maria Assunta al Castello Svevo del 1223, fatto edificare da Federico II sulla collina di fronte al paese (visitabile solo all’esterno); fino ad un altro dei simboli del borgo, il complesso delle sette camere, con il caratteristico canyon su cui si trovano centinaia di aperture scavate nella roccia di tufo. LEGGI TUTTO

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    Termoli, la meraviglia del Molise

    Se lo si osserva dalla lunga spiaggia di Sant’Antonio, appare come una suggestiva cittadella fortificata. É il borgo antico di Termoli, che troneggia sulla sommità del promontorio. Una veduta di cui ci si innamora facilmente, resa ancora più pittoresca dalle piccole case color pastello, che dal Castello Svevo si distendono verso il mare, disegnando un intricato sistema di vie e suggestive piazzette.

    E proprio dal Castello Svevo dell’XI secolo, uno degli edifici più rappresentativi di Termoli, può iniziare la visita alla città. La sua costruzione, dove prima si ergeva un torrione di epoca longobarda, risale alla dominazione normanna. L’appellativo “svevo” gli viene da Federico II, il sovrano illuminato, che lo fece ristrutturare nel 1247. Si compone di un corpo centrale, a forma di tronco di piramide con quattro torrette cilindriche agli angoli, e di un parallelepipedo che lo sormonta. Oggi alcuni ambienti ospitano convegni d’arte e manifestazioni culturali, mentre, nella parte più alta, c’è una stazione meteorologica dell’Aeronautica militare.

    Tra le stradine che si intersecano fitte a scacchiera, rendendo il centro storico un meraviglioso labirinto in cui perdersi, tra botteghe e negozietti, si può incrociare una delle più note curiosità del posto, la famosa “rejecelle”, un vicolo tra le case, talmente stretto, che solo i più magri potranno vantarsi di riuscire ad attraversarlo senza essere costretti a infilarcisi di traverso. Un’efficace “prova costume” prima di scendere in spiaggia. E passeggiando tra le viuzze lastricate del centro, si finisce fatalmente a raggiungere piazza del Duomo, autentico cuore del borgo. Proprio qui fa bella mostra di sé la superba cattedrale di Santa Maria della Purificazione, in stile romanico-pugliese. Vecchia di ottocento anni, sorge su un preesistente edificio religioso, a sua volta edificato (sembrerebbe) su un antico tempio dedicato a Castore e Polluce, i figli gemelli di Zeus. Splendida la facciata, che presenta sette arcate, con il portale sovrastato da quella centrale e riccamente decorato con bassorilievi e statue. All’interno della chiesa, nella cripta, si trovano l’urna contenente le ossa di San Timoteo e il sarcofago di San Basso.

    Un altro degli elementi caratteristici del territorio di Termoli, sono i tradizionali trabucchi. Alcuni sorgono sul mare antistante il borgo vecchio, altri sono disseminati lungo la costa. Si tratta di antichi strumenti da pesca costieri, strutture complesse, a palafitta, con una piattaforma in legno fissata alla roccia attraverso spessi stronchi. All’apice, si trova una grossa rete rettangolare, detta “trabocchetto” (da cui ne deriva il nome trabucco), che viene calata in acqua con un argano e poi issata per catturare i pesci che vi nuotano al di sopra. Il modo migliore per andare alla scoperta di queste affascinanti strutture è la cosiddetta “Passeggiata dei trabucchi”, che dai piedi del Castello Svevo si snoda lungo tutta la cinta muraria fino al Porto. LEGGI TUTTO

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    Aquileia, tutti i tesori della Storia

    La Basilica di Aquileia potrebbe benissimo essere una motivazione sufficiente per decidere di visitare il Friuli. Con i suoi straordinari mosaici pavimentali, la Cripta degli Affreschi e quella degli Scavi sintetizza la storia e la grandezza quella che fu considerata una seconda capitale dell’Impero Romano e che, nonostante sia stata distrutta da Attila, conserva testimonianze archeologiche tra le più ricche del nord Italia.

    Fondata nel 313 dal vescovo Teodoro, la Basilica Patriarcale dedicata a Santa Maria Assunta è famosa soprattutto per i preziosi mosaici che ne ricoprono l’intero pavimento, corrispondente all’aula meridionale del complesso originario. Realizzati con minuscole tessere multicolore e nere per dare rilievo alle figure, raffigurano persone, animali, natura e scene religiose, tra cui la storia biblica del profeta Giona. All’antica aula settentrionale corrisponde invece l’attuale Cripta degli Scavi, autentico scrigno di tesori, con resti e mosaici, perfettamente conservati, che risalgono a quattro epoche diverse. Sotto al presbiterio si apre la Cripta degli Affreschi, interamente decorata con immagini del XII secolo.
    A fianco della basilica si trovano il campanile, alto 70 metri ed eretto nel 1031, e il Battistero del IV secolo con la Südhalle, l’aula meridionale, il cui nome tedesco risale alla fine dell’Ottocento, quando fu scoperta dagli austriaci. Dopo un lungo periodo di chiusura, un nuovo allestimento offre oggi ai visitatori un affascinante percorso alla scoperta dei mosaici, perfettamente restaurati, che ne ricoprono il pavimento.

    Completano l’esplorazione di Aquileia romana, la visita al Foro, di cui sono ancora visibili una parte del colonnato e dei portici, e la magnifica passeggiata lungo la Via Sacra, viale realizzato durante gli scavi del 1934, verde e costeggiato da cipressi, che parte dal retro della Basilica e raggiunge l’antico porto fluviale sul fiume Natissa, oggi poco più che un rivolo. All’esterno delle mura cittadine, come era usanza, il Sepolcreto, con are, sarcofagi, iscrizioni e statue, i cui originali sono custoditi al Museo Archeologico Nazionale. LEGGI TUTTO

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    Il Castello di Canossa: visita alla casa di Matilde

    Il viso dal profilo affilato e gli occhi brillanti sembrano proprio tradire un fugace segno di trionfo: sembra quasi appaia, Matilde di Canossa, mentre spia dall’alto del suo castello artigliato su una rupe di arenaria bianca, l’imperatore Enrico IV vagare nella neve, sotto le mura, svestito dell’abito regale, umile e umiliato. Era il 26 gennaio 1077 e l’abile contessa era riuscita a convincere il sovrano a sottoporsi a questo inconsueto rito per chiedere a papa Gregorio VII, che nelle terre di Canossa aveva trovato asilo, di revocare la scomunica scagliata nei suoi confronti. Dopo tre giorni d’attesa Enrico IV ottenne la sua assoluzione e l’episodio passò alla storia come il “perdono di Canossa”.

    Dell’imponente rocca originaria costruita sulla cresta sottile e allungata della rupe – che all’epoca della contessa doveva comprendere un nucleo residenziale in alto e, più in basso, il centro monastico separato dal primo da un diaframma difensivo che garantiva autonomia ai due complessi – oggi rimangono soltanto tracce delle mura e della cripta del tempio. Eppure il castello mantiene intatto il suo fascino e il suo valore storico, tanto che è stato dichiarato monumento nazionale. Qui si può visitare il Museo nazionale “Naborre Campanili”, che conserva alcuni preziosi reperti provenienti dagli scavi del castello, tra cui una pregevole fonte battesimale del XII secolo. Ai piedi del maniero si allarga un superbo anfiteatro di calanchi dall’aria sinistra, che leggenda vuole siano l’orma delle zampate del diavolo, e poi il paesaggio dolce delle colline coltivate a vite.

    Il Castello di Canossa è soltanto uno dei manieri delle terre di Matilde; per vederli tutti si può partire da Reggio Emilia e seguire l’anello matildico. Si passa dai borghi di Cavriago e Bibbiano per raggiungere poi Quattro Castella, dove si trova il Castello di Bianella. Costruito su un balcone naturale in mezzo alle prime alture dell’Appennino reggiano, è l’unico a essere sopravvissuto dei quattro collocati su altrettanti colli che danno il nome al borgo, ed è qui che Matilde risiedeva abitualmente. Dopo la sua morte fu trasformato in dimora signorile con sale da ballo e stanze affrescate; tutt’intorno un’oasi naturalistica protetta di 160 ettari gestita dalla Lipu. Da qui si prosegue per Canossa dove, oltre al castello, si può visitare la chiesetta della Madonna della Battaglia. Poi tappa al Castello di Rossena, edificato nel 960 circa dal conte Adalberto Atto, bisnonno di Matilde, che ha conservato l’originario impianto di bastione difensivo e che offre uno dei più bei panorami sulla regione. E poi ci sono i castelli di Sarzano, una delle rocche meglio conservate della zona, e di Carpineti, dove Matilde fece edificare una chiesetta in stile romanico dedicata a Sant’Andrea, e che all’epoca era la sede designata per ospitare pontefici, imperatori, re e nobili. Poco lontano si può ammirare un curioso fenomeno naturale: la pietra di Bismantova, uno stretto e scosceso altipiano che si staglia, solitario, tra i monti dell’Appennino. LEGGI TUTTO

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    Brescia, città dal passato glorioso

    Per arrivare a un museo, con una chiesa alle spalle, bisogna superare un chiostro e poi un altro e un altro ancora; dentro, c’è tutta la storia di una città. Santa Giulia, a Brescia, è molto più di uno spazio espositivo: è un piccolo mondo che, tra affreschi e giardini contemplativi, croci monumentali e corredi funebri, mosaici e antiche domus, racconta le vicende cittadine dai primi insediamenti preistorici all’Età veneta, passando per l’Alto Medioevo e l’epoca delle Signorie. Un luogo che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità nel contesto del sito seriale “I Longobardi in Italia. I luoghi del Potere (568-774 d.C.)” che include, oltre a quello di Brescia, anche altri sei siti italiani (Spoleto, Benevento, Cividale del Friuli, Castelseprio Torba, Campello sul Clitunno e Monte Sant’Angelo) che un tempo furono i più importanti ducati longobardi del nostro Paese. Una grande, diacronica, area monumentale dove convivono in un mirabile equilibrio epoche e stili lontani. Il complesso monastico di Santa Giulia fu fatto erigere nel 753 dall’allora duca Desiderio, futuro sovrano, su un’area già occupata in età romana dalle Domus di Dionisio e delle Fontane, e comprende la Basilica di San Salvatore e la sua bella cripta con colonnette in stile misto, la cinquecentesca chiesa di Santa Maria in Solario con il coro rinascimentale dove le monache, nascoste, cantavano inni al Signore. Uno stretto passaggio conduce all’oratorio romanico di Santa Maria in Solario, che custodisce la croce rivestita di gemme di Re Desiderio, capolavoro dell’oreficeria carolingia. E infine c’è una sala vuota. Per ora. È la cella orientale del tempio romano di Santa Giulia che l’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg ha trasformato in una stanza nuda con un piedistallo cilindrico in marmo di Botticino illuminato da una lampada che ricorda la luna: qui, entro la fine del 2020, tornerà dopo anni di restauri l’icona di Brescia, la statua bronzea del I sec. d.C. della Vittoria Alata.

    Legato alla stessa epoca un altro tesoro artistico, l’area di Brixia, il Parco archeologico della Brescia romana, anch’esso sotto l’egida dell’Unesco. Una teoria di edifici di culto, come il Santuario tardo repubblicano, e pubblici, come il teatro e il Capitolium eretto per volontà dell’imperatore Vespasiano nel 73 d.C. Spicca, tra tutti, il Tempio Capitolino con tre celle dedicate a Giove, Giunone e Minerva e una quarta, di un precedente tempio, che custodisce uno straordinario ciclo di affreschi.

    Non si può lasciare Brescia però senza aver speso un po’ di tempo nel suo salotto buono, la rinascimentale piazza della Loggia, il luogo più veneziano della città, perfetto per proporzioni spaziali tra le lunghezze dei lati della piazza e il volume dei portici. Qui affacciano la Loggia, il cinquecentesco Palazzo notarile con un bel portale scolpito, la quattrocentesca casa Vender, il Monte di Pietà e la Torre dell’Orologio. Nell’arcata sotto l’orologio, una stele in marmo ricorda i morti dell’attentato terroristico del maggio 1974. LEGGI TUTTO

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    Bitonto, la bellezza della scoperta

    Bitonto (in provincia di Bari) è un luogo antico, pieno di arte, storia, tradizioni, ulivi e gravine, dove il classico sapore dell’inatteso è una piacevole abitudine. Il sapore della bellezza che non ti aspetti, e forse, proprio per questo, in grado ancora di più di lasciare ammaliato e affascinato chi la visita.

    Il nucleo della città, dalla particolare pianta trapezoidale, presenta un tipico impianto medievale, ma la storia del luogo è ben più risalente. I primi insediamenti dell’età del bronzo nacquero nei pressi del torrente Tiflis; poi in seguito, l’area divenne un importante centro per la civiltà peuceta (come le vicine Metaponto e Taranto) di cui rimangono diverse testimonianze. Nel tempo, Bitonto ha subito numerose dominazioni: Goti, Longobardi, Slavi, Saraceni, Bizantini, Normanni, Angioini (e persino Spagnoli); di tutte loro, c’è traccia più o meno palpabile nel borgo antico, che tra i suoi punti di accesso comprende la suggestiva porta Baresana, di epoca rinascimentale, rivolta al vicino capoluogo pugliese. Poco sopra la volta, si trovano un dipinto a tema sacro, l’orologio, la statua dell’Immacolata e lo stemma della città. Dopo aver ammirato il torrione Angioino, l’ideale è iniziare a vagabondare per le piazze e le stradine lastricate del centro storico, in cui si respira un’atmosfera particolare.

    Tra i monumenti simbolo di Bitonto c’è sicuramente la splendida Cattedrale Maria SS. Assunta in Cielo, mirabile esempio del romanico pugliese. Al di sotto della struttura, nella cripta, è stato rinvenuto un magnifico mosaico pavimentale – perfettamente conservato – che raffigura un grifone, creatura leggendaria con il corpo di leone e la testa d’aquila. Altro edificio sacro interessante e singolare è la Chiesa del Purgatorio, dedicata a Santa Maria del Suffragio. La facciata, distinta in due ordini e culminante a cuspide, è decorata con bassorilievi raffiguranti scheletri umani che reggono i simboli della morte, teschi incoronati e anime del purgatorio. A poca distanza, in piazza Cavour, si può ammirare il favoloso loggiato del Palazzo Sylos Calò, tardo rinascimentale, e sede della Galleria Nazionale della Puglia, intitolata a Girolamo e Rosaria Devanna. Al suo interno sono presenti oltre 220 dipinti dal ‘500 al ‘900, con opere, tra i vari, di Tiziano, De Nittis e Giaquinto. Altri palazzi di pregio sono il Palazzo Rogadeo (che ospita il museo civico), Palazzo Vulpano e Palazzo Gentile.

    Da non perdere, poi, è la chiesa di San Francesco d’Assisi, detta della Scarpa, considerata tra i più bei monumenti di Bitonto dopo la Cattedrale. Si trova nella parte più alta e più antica del centro storico, dove un tempo si trovavano l’acropoli e il tempio romano di Minerva. La sua costruzione ebbe inizio nel 1283. La facciata è uno dei rari esempi di stile gotico in Puglia, mentre l’annesso campanile, sulla destra, risale al ‘600. La chiesa presenta alcuni altari del Cinquecento nei quali erano inserite opere di Gaspar Hovic e Carlo Rosa, oggi esposte presso la pinacoteca vescovile. Di grande bellezza è il retrostante “giardino pensile”. LEGGI TUTTO

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    Alla scoperta del Parco Virgiliano di Napoli

    Una terrazza panoramica che si affaccia sul Golfo di Napoli, ma situata a Posillipo: è il Parco Virgiliano, che con i suoi terrazzamenti tra le pareti rocciose di pietra tufacea, regala vedute emozionanti sul Vesuvio e sul mare, abbracciando la Penisola Sorrentina, le isole – Capri, Procida, Ischia e l’isolotto di Nisida – il golfo di Bacoli, quello di Pozzuoli, Monte di Procida e il promontorio di Capo Miseno.Il Parco Virgiliano è anche un Parco Letterario, che consente al visitatore di fare un salto nel passato. Negli ultimi anni, infatti, i curatori lo hanno allestito per far rivivere l’atmosfera che animava Napoli ai tempi dei Grand Tour Settecentesco e Ottocentesco, attraverso le installazioni, collocate qua e là, che riportano pensieri di celebri viaggiatori che sono passati da Napoli.
    Originariamente intitolato Parco della Rimembranza, cambiò nome in seguito alla volontà di Guido Della Valle, noto pedagogista napoletano, che propose di dedicarlo al poeta latino. Realizzato tra il 1920 e il 1930, su disposizione dell’Alto Commissariato per la Provincia di Napoli, venne aperto al pubblico nel 1931. Vi si accede tramite l’entrata monumentale di viale Virgilio, raggiungendo poi una vasta piazza, su cui campeggia una grande fontana. Nel corso degli anni il Parco ha subito vari interventi di manutenzione. Nel 1936 fu affidato a Pietro Porcinai il progetto per la valorizzazione dell’area verde. In seguito, negli anni ‘60, vi fu realizzato un impianto sportivo, comprendente un campo da calcio e una pista di atletica leggera con una piccola tribuna. È del 1975, invece, l’anfiteatro realizzato per rendere più fruibile questo luogo ai napoletani, con rappresentazioni teatrali e spettacoli musicali. Dopo un lungo periodo di abbandono e degrado, fu avviato un intervento di riqualificazione dell’area e dal 2002 è vietato l’accesso alle auto al suo interno. Passeggiando nel Parco si nota la presenza di molti arbusti come lecci, roveri e ulivi, oltre alla presenza di numerose piante, come il mirto, la fillirea e il rosmarino. LEGGI TUTTO