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Amarcord 1991: Il personaggio Karch Kiraly

MODENA – Nel numero di giugno 1991 di Pallavolo Supervolley, Leo Turrini raccontava il personaggio Karch Kiraly in una lunga intervista raccolta nella sera della festa scudetto del Messaggero Ravenna. 

Ho parlato con Dio. Si, proprio con Lui. No, non sono andato a Gerusalemme. Non ho scalato il Monte Sinai. E già che ci sono vorrei tranquillizzare Peppone Brusi, il manager del Messaggero tricolore: lo so, lo so che per Peppone, caro vecchio amico, Dio è solo Carlo Sama. E guai a chi glielo tocca.
Ho parlato con Dio, si. Con il nostro “God”, il Signore delle Palestre, il Più Grande Giocatore dell’Era Moderna e poi basta maiuscole, altrimenti chi mi legge fa indigestione. Però chiedo scusa all’inizio, chiedo scusa anticipatamente: frequento i teatri e i teatrini della pallavolo da quasi vent‘anni, diciamo dal 1975. Ho visto cialtroni e buffoni, cani e porci, Campioni e bidoni. Ho visto Savin giovane e Zaytsev vecchio. Ho visto fuoriclasse e giovani promesse, devastanti bombardieri ed eccezionali difensori, centrali iper efficaci e palleggiatori sopraffini.
Ma Dio no, non l’avevo mai visto sul parquet. Fino ad una sera tiepida d’ottobre, era il 1986 e a Parigi-Bercy si giocava la finale mondiale tra Usa e Urss. In campo c’era un certo Kiraly. Se ne parlava e se ne scriveva, si: ma fino a quella notte sotto sotto eravamo tutti convinti che a Los Angeles gli americani avessero conquistato l’oro solo perché non c’erano i sovietici. Credo che Karch avesse avvertito il clima, le perplessità, i sospetti. Non era bastata nemmeno l’impresa di Coppa del Mondo, nel 1985, a spese dei sovietici. Ci voleva il trionfo iridato.
Kiraly fornì una prestazione sensazionale. In tribuna facevamo la bocca a culo di gallina: stupiti, sbalorditi, persino sbigottiti. Era troppo grande, quell’americano di origini ungheresi. Cominciammo a favoleggiare, sul metrò che ci riportava all’albergo: bisogna portarlo in Italia, assolutamente. Bisogna che i nostri ragazzini abbiano la possibilità di vederlo dal vivo. Eccetera eccetera.
Passarono gli anni. Karch vinse un’altra Olimpiade, sempre a spese dei sovietici. Continuava a folleggiare sulle spiagge calde della California. Sempre assieme a Timmons, l’amico più importante. L’Italia non gli interessava. Potevamo vederlo soltanto in televisione. Qualche volta.
Sempre più raramente.
Finché un pomeriggio Peppone Brusi scese dal suo Monte Sinai, cioè dall’ufficio di Carlo Sama. Al telefono aveva la voce un po’ incrinata.
Comprensibile, pensai: ha appena parlato con l’Onnipotente. Invece l’ugola gli tremava per un’altra ragione. “Sai, avremmo deciso di prendere Kiraly e Timmons…”.
“Ma dai, Giuseppe, sono ricchi già, non vengono, stanno troppo bene in California”, replicò il cronista.
“No, te lo giuro: vengono”.
Sono venuti.

La profezia

Beh, il resto lo sapete. Con Karch e Steve, il Messaggero ha conquistato la Coppa Italia. Ha vinto la regular season, perdendo una partita e vincendone venticinque. Ha ottenuto lo scudetto, subendo nei play-off una sola sconfitta, in semifinale con la Sisley. Kiraly è stato persino superiore alla sua fama: Dio, appunto.
Prima di raccontare le quattro chiacchiere di una notte tricolore, la notte della festa di Ravenna, campione dopo 39 anni e dopo mille tormenti, voglio raccontare una cosa.
Dunque, nello scorso ottobre, prima di partire per il Brasile, |’Italia di Velasco disputò una amichevole con una selezione formata dagli stranieri tesserati per club italiani. Vinsero gli “strangers”, 3-0. In albergo ero in camera con Brusi. Una chiacchiera tira l’ltra, ormai erano le tre e mezza.
Peppone ingollò l’ultimo whisky e sospiro. “Hai visto Karch e Steve stasera? Hai visto come giocano? Senti: io non so se vinceremo il campionato. Ma sono già felice. Perché il destino mi ha fatto un regalo. Ho portato in Italia Kiraly. Nessuno potrà togliermi questa soddisfazione. Nessuno. Mai”.

L’incontro

E adesso andiamo sul Monte Sinai. La notte della festa. La notte del delirio romagnolo, con tante belle facce pulite, le facce di gente onesta, cha ha traversato il deserto, 39 anni di deserto, prima di trovare la Terra Promessa. Mi viene in mente, tra i tanti, Giorgio Bottaro. Era comunista ai tempi di Breznev. Doveva passare dal Pci al Pds. Invece è passato dal Pci alla Ferruzzi. E va là che vai bene.
Mi piacerebbe spiegare al Karch la storia di questa gente, venuta dal niente, dalla sofferenza pallavolistica. Forse ha già capito, ha capito che vincere a Ravenna, nella culla del volley, non è come vincere a Treviso o a Milano. O forse no: in fondo, lui è un Professionista. Con la maiuscola.

Il verbo

“Sono molto contento, sai. Abbiamo vinto, abbiamo lavorato tutto l’anno per questo traguardo. E bello essere qui, stasera”.
Kiraly ha una qualità in più, magari ignota al grande pubblico ma da rimarcare: parla un buonissimo italiano. Ci sono giornalisti che se la cavano decisamente peggio, con i congiuntivi e con i condizionali. E Schillaci è meno padrone del nostro vocabolario, rispetto a Karch.
“Ho studiato da solo, sì. Niente insegnanti, niente lezioni. Quando ho accettato di venire nel tuo paese, ho comprato una grammatica italiana. Ho deciso di imparare in fretta.
Quando sono arrivato qui, ho acquistato un’altra grammatica. Per continuare ad imparare. E’ importante, sai. Per i rapporti con la squadra. Con l’allenatore. Con i dirigenti.
Sì, Steve non se la cava bene come me, con la lingua. Ma capisce. E si fa Capire”.
Attorno e tutto un brulicare di compagni, dirigenti, mogli, fidanzate.
Inevitabile, vista la circostanza. Per questo dico ai sette lettori che mi sono rimasti: un giorno torneremo assieme sul Monte Sinai. Kiraly merita una seconda puntata. Per stavolta accontentatevi.
“lo e Timmons ripartiamo subito per l’America (se ne sono andati due giorni dopo la finale scudetto, ndr). Mi prenderò una vacanza, due o tre settimane. Poi inizierò a giocare sulla spiaggia. Il beach volley mi piace e mi fa guadagnare bene. Non so con chi faro coppia. Fino al 1990 a volte giocavo con Steffers, a volte con Frohoff. No, non con Steve. Lui ha un altro partner”.

The best

“Dici che sono il migliore di tutti, forse addirittura il migliore di tutti i tempi? Beh, io a questa cosa non ho mai pensato. Non mi sono mai detto: eh, Karch, tu sei il più: grande.
Non è importante, non è fondamentale. Vedi, nello sport conta solo il risultato. Il risultato della squadra. Io faccio parte di un gruppo. Se il Messaggero avesse perso lo scudetto, che significato avrebbe avuto sentirmi raccontare che sono il più bravo? Nessun significato. lo non mi sono mai alzato la mattina con l’idea di essere the best. No, non mi interessa. Davvero”.

Mister volley

“Sì, lo so che qui in Italia qualcuno mi chiama semplicemente Mister Volley. Okay, accetto i complimenti, però preferisco non fermarmi ad ascoltarli. Ai complimenti non bisogna fare caso. Io lavoro per migliorare. Per vincere. Stasera è bello essere qui. E un premio per i nostri sacrifici”.
A questo punto arriva al tavolo Carlone Gobbi, cioè il Karch Kiraly dei giornalisti che scrivono di volley (in “Gazzetta” Filippini è Timmons, Nicita è Pascucci). Spara una terrificante pacca sulla spalla dell’americano e gli fa: “Mangia questa piadina, è fenomenale, quasi come te”. Kiraly e contento: “Italiani simpatici, si”.
Il Karch dei giornalisti ci saluta e va a papparsi il salamino. II Dio delle Palestre ricomincia a parlare. “Invece c’è una definizione che mi piace. Quella che dice Kiraly è il Boss, Timmons è il killer terrificante. La mia pallavolo, quella che mi diverte, è semplice: il sottoscritto riceve, il palleggiatore alza, Timmons chiude l’azione. Semplice e chiaro, no?”
“Adesso ti racconto come ci siamo conosciuti, io e il mio amico. Ricordo che era il 1980. Eravamo impegnati nelle finali del torneo universitario. Giocavo nell’Ucla. Steve giocava nella Università della California del Sud, in sigla Usc. Erano le due squadre più forti d’America. Una volta il campionato lo vinse lui. Poi io, per due anni di seguito. C’era una bella rivalità, tra noi. Come dite voi italiani? Ci urlavamo in faccia, ecco…”.
“Diventammo amici grazie alla Nazionale. Nel 1981 venimmo convocati per una selezione. Partecipammo assieme. Li è nato il nostro rapporto, il nostro legame. Che non si e più spezzato”.
“Adesso tu vuoi sapere se sarei venuto in Italia anche senza di lui, anche senza Steve. Non so rispondere. Sicuramente con Timmons e stato tutto più facile, più bello, più divertente. Di una cosa sono certo: da solo avrei trovato problemi, difficoltà”.

Italia, Italia

Stiamo parlando quando transita Peppone Brusi. E molto abbronzato: a tavola siede vicino a Sama, la sua Luce, quindi sta facendo la lampada. Caccia un urlo: “Karch, noi siamo i campioni. Pensa che tanti giornalisti non volevano credere in noi. Avevano torto”.
Kiraly lo guarda e fa: “Giuseppe simpatico”. Poi riparte.
“Si, negli anni passati a me e Steve erano arrivate altre proposte, altri inviti da parte di società italiane. Non avevamo mai accettato, non eravamo interessati. Nel 1990 è arrivata l’offerta del Messaggero. E abbiamo risposto positivamente”.
“Perché? Tre motivi. I soldi. Poi la società. Quando dico società mi riferisco al gruppo Ferruzzi, che negli Stati Uniti è noto e stimato. Quindi la città. Ravenna ci è stata descritta per quello che era. Una città tranquilla. Meno tranquilli i tifosi: qui ho scoperto che la gente è fantastica, straordinaria. Ci hanno spinto verso lo scudetto. Infine, era molto stimolante per me e per Steve I’idea di affrontare assieme l’avventura nel Belpaese”.

Bello e possibile

“Come ci siamo trovati, sul posto? Facciamo prima il discorso tecnico. E’ stato facile, è stato bello. Mi aspettavo maggiori difficolta. Sai, all’inizio ero un poco preoccupato. Non giocavo in palestra da 18 mesi, più o meno. Avevo i miei dubbi. Su me stesso. Li avevo, in particolare, dopo la nostra sconfitta del Mundialito per club. A Milano abbiamo fatto due punti in meno del Banespa. E siamo stati eliminati in semifinale. E’ stata una brutta esperienza”.
“La svolta è arrivata a Treviso, nella regular season. Venivamo appunto dal Mundialito. Per noi era una sfida delicata. Vincemmo. Un risultato decisivo. E stato, come dire, un new start (nuova partenza: per la prima e unica volta Karch pronuncia due parole in inglese, ndr). Vedi, quella sera abbiamo dimostrato a noi stessi che potevamo avere fiducia in noi stessi, potevamo avere maggiore confidenza nelle nostre capacità. La grande stagione del Messaggero e iniziata quella sera, con quella vittoria sulla Sisley…”.

Che livello

Stiamo per cambiare argomento quando si avvicina il Conte Tabanelli. Sfodera una bellissima barba candida, questo dirigente ravennate: una barba molto scalfariana. Infatti trincia subito la sentenza.
“Ohé, Karch, li hai ammazzati tutti. Bravo Karch, mi hai fatto felice”.
Kiraly lo guarda e fa: “Italiani simpatici”.
Riprende a narrare. “Il livello del campionato italiano? Più alto di quanto pensassi. Più. del previsto. Poi non me lo aspettavo cosi lungo. Cioè no, aspetta, lungo non e aggettivo giusto. Non me lo aspettavo cosi intenso, con partite ogni due o tre giorni. Non credevo che ci si dovesse allenare così tanto. Ho imparato che gli italiani hanno la nostra stessa mentalità. Ormai sono professionisti veri”.
“Prendiamo ad esempio la vostra nazionale. Con i suoi risultati ha dimostrato il valore dei giocatori. Chiaramente non si conquista un titolo mondiale se non c’è la mentalità. A Rio, contro Cuba, gli azzurri erano fortissimi. Con la testa”.

Nightmare is back

Facciamo un time out, cosi ne approfitto per salutare Daniela Cotto di Asti, mantenendo una promessa antica (è uno dei sette lettori di cui sopra). E poi il time out serve anche per riordinare le idee. A Kiraly c’è una cosa che un po’ tutti vorrebbero chiedere: insomma, in Brasile chi avrebbe vinto, tra l’Italia di Velasco e gli Usa di Seul? Ce l’avrebbero fatta i nostri eroi contro lo squadrone di Karch, di Jeff (Stork), di Steve (Timmons), di Doug (Partie), di Bob (Ctvrtlik), di Buck? E un quiz per ora solo teorico. Tra un po’ temo che la questioncella assumerà uno spessore ben diverso, ben più concreto.
“Senti amico, io non so rispondere. Qualsiasi risposta alla tua domanda sarebbe ipotetica. Ripeto una cosa: contro Cuba l’Italia ha giocato magnificamente. Senz’altro quella sera avremmo fatto fatica, a batterli”.

Poi Karch si ferma, aspetta l’inevitabile domanda-bis e dalla sua risposta discende una conseguenza, quasi un titolo per un film dell’orrore: Nightmare is back, l’Incubo e tornato.
“Okay, andremo o non andremo, noi campioni di Seul, alle Olimpiadi di Barcellona? Ti descrivo la situazione. Bene, Stork, Partie, Buck e Ctvrtlik ormai hanno deciso, si metteranno a disposizione del team già quest’estate, salvo ripensamenti. Io e Steve no. Durante l’estate ci dedicheremo al beach volley, abbiamo molti sponsor in America e dobbiamo accontentarli…”.
“Ma nel 1992 penso proprio che ci saremo io e Steve, sì, ci saremo anche noi. Stiamo pensando di andare a Barcellona, di andare a difendere il nostro oro olimpico. E’ una prospettiva che ci interessa”.
“Tra altro ci piace molto l’allenatore della nazionale. Lo conosciamo. E una persona gentile, una persona perbene. Si chiama Fred Sturm. Era assistent-coach a Parigi, ai mondiali del 1986, e a Seul, alle olimpiadi del 1988”.

Ci andranno, sì. Una Olimpiade non ha prezzo, una Olimpiade non si baratta. Certo, per I’Italia campione del mondo tutto sarà più difficile, più puro. Eppure abbiamo il dovere di essere sportivi: è meglio cosi, è bello cosi.
Perché negarlo? Anche dopo il trionfo di Rio, magari non in pubblico, abbiamo tutti continuato a chiederci, ma si, insomma, i nostri azzurri avrebbero battuto anche la nazionale di Karch e Steve? A Barcellona sapremo, finalmente.

Fratelli d’Italia

Si avvicina al tavolo Margutti. Dice ridendo al cronista: “Dai, fa presto, questo è il tavolo dei giocatori. Devi cedermi il posto, cosi sto vicino alla mia ragazza”. lo penso che Margutti è un degnissimo campione d’Italia, di fronte al suo entusiasmo mi sento come Manlio Scopigno, |’allenatore del Cagliari di Gigi Riva, quando vide in tv Comunardo Niccolai, stopper della Gallura, vestire la maglia azzurra al Mondiali del Messico. Disse l’irresistibile Scopigno: “Mai avrei creduto, in vita mia, di vedere Niccolai via satellite”. Idem per Margutti campione d’Italia. Ma e un ragionamento troppo complicato, impossibile spiegarlo a Karch. Che riparte.
“Lasciando da parte i miei compagni, vediamo chi sono i giocatori italiani che mi hanno impressionato di più. Uhm, uhm. Guarda, quello la del Charro Padova ha fatto grandi cose, contro di noi. Si chiama Pasinato, mi pare. Poi citerei Zorzi, anche se ha avuto dei problemi di salute. Anche Cantagalli e Bernardi hanno giocato bene, però talvolta hanno avuto problemi di ricezione. Quindi direi Giani. Invece tra gli stranieri, a parte Steve, mi e piaciuto tanto Jeff Stork, il mio amico Jeff. E’ sempre bravo”.

Perché resto

Durante l’anno, tanto per far venire la mosca al naso di Brusi, circolava una storiella antipatica: Kiraly e Timmons a fine campionato salutano e se ne vanno. Invece entrambi hanno accettato di protrarre la loro permanenza. Certo, saranno pagati meglio. Ma non sono stati i quattrini, stavolta, la molla decisiva.
“Guarda, restiamo principalmente per la Coppa dei Campioni. Certo, lo scudetto rimane un grande obiettivo, ma io e Steve siamo stimolati, molto stimolati dall’idea di poter provare a battere il Cska Mosca. L’Armata Rossa detiene il trofeo. Sarebbe bello sostituirla nell’albo d’oro. Anzi, scusa: quante squadre sovietiche ci saranno l’anno prossimo in Coppa? Quest’anno c’erano due italiane. Ah, due sovietiche solo se il Cska perde il campionato? Bene, bene. E’ un bell’obiettivo, la Coppa dei Campioni”.

Le radici

Ripassa Peppone Brusi. E’ sempre più abbronzato, da due ore è abbarbicato a Sama. E’ carico come una molla. “Bravo Karch, abbiamo smentito tutti. Bravo Karch, ma io lo sapevo. Eh, dicevano che saresti venuto in Italia a svernare, quei buontemponi dei giornalisti…”.
Kiraly lo guarda e fa: “Giuseppe simpatico”, poi tira fuori il certificato anagrafico. Simbolicamente. “Mio papa e ungherese. La mia mamma è di New York ma ha sangue tedesco, suo padre veniva dalla Germania. Io sono nato nel Michigan. Adesso vivo a San Clemente, tra Los Angeles e San Diego. Mia moglie è di San Clemente”.

La famiglia

“Oh, sai, i primi mesi in Italia sono stati difficili, per la mia famiglia. Abbiamo un bambino molto piccolo, Christian. All’inizio soffriva terribilmente di coliche. E mia moglie praticamente non riusciva mai a chiudere occhio, non poteva dormire. E’ stato un periodo molto brutto. Poi è accaduto un miracolo: ti ricordi il 3 gennaio, la sera dell’All Star a Modena? Non stavo tanto bene e allora ho fatto soltanto lo spettatore. Avevo Christian in braccio, ti ricordi? La notte siamo tornati a casa e il bimbo, finalmente, ha preso sonno.
Tranquillo. Non ha più avuto problemi. Niente più guai. E la vita è diventata più semplice. Cosa penso del futuro di Christian? Va tutto bene, purché possa fare ciò che vuole.
Anche il giocatore di pallavolo, ma solo se davvero lo vuole. Sai, in America non è facile, per un figlio d’arte. Viene guardato in modo particolare”.
Anche in Italia, Karch, anche in Italia. Ad esempio io sono figlio di un muratore, me ne vanto, eppure non mi hanno voluto nel cantiere, come manovale ero un disastro. Ecco come nasce un mediocre giornalista.

Da grande

Kiraly ancora non sa quando smetterà di giocare. Da come parla, l’addio non è imminente. “Il mio futuro? Beh, in America ho già iniziato a lavorare per qualche sponsor. Ma penso che quando abbandonerò il volley tornerò a scuola. Voglio prendere il Master alla business School. E’ un impegno con me stesso”.

Il mito

A questo punto arrivano Vullo e Masciarelli. Hanno in mano un piatto: dentro ci sono due dolci. Penso: guarda che simpatici, hanno capito che debbo ancora mangiare. Infatti sollevano il piatto e me lo sbattono in faccia. Karch guarda e fa: “Italiani simpatici”.
Un accidente. Ma mi vendicherò: dirò a Velasco di non portare Mascia alle Olimpiadi. E gli raccomanderò invece di portare Vullo a Barcellona. Visto che vanno cosi d’accordo, sarà un piacere metterli assieme.
Ma non divaghiamo. Dico a Karch senti, qui siamo agli sgoccioli (del semifreddo che mi sta colando lungo il collo). Come diavolo fai a non sbagliare mai una ricezione? Che trucco usi? Per favore, per favore. “Tre cose allenamento, istinto, mentalità. Mi sono preparato per anni con Aldis Berzins e Bob Ctvrtlik. Ma se permetti vorrei correggere la tua affermazione. C’è un errore, in quello che dici».
Un errore?
“Precisamente. lo ho sbagliato una ricezione nella prima partita della finale scudetto. Esattamente su una battuta di Bracci. E sono ancora arrabbiato con me stesso. Non dovevo commettere quell’errore”.

Karch Kiraly dice questa cosa pazzesca con estrema serietà. Perciò ti chiamo Dio. Goodbye God.


Fonte: https://www.volleyball.it/feed/


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