Sono passate tre settimane dall’ultimo colpo vibrato al Rovereto Open WTA 125, e tuttavia la brezza di quei giorni continua a volteggiare come una pallina dispettosa sopra il PalaBaldresca. Torneo giovane d’anagrafe, quasi fanciullesco, eppure già adulto nei modi: nato in fretta e furia, cresciuto a ritmi da sprint, ma capace di lasciare un solco, come i passi di un fondista sulla neve buona.
Registi dell’opera, veri timonieri della nave in piena burrasca, sono stati Luca Stoppini, quarantun anni, ex giocatore ATP dall’anima guerriera, oggi direttore dell’agonistica, insieme al presidente del CT Rovereto Francesco Liace e all’intero Consiglio Direttivo, squadra silenziosa ma indispensabile, che ha lavorato come una brigata di artigiani votata alla causa comune.
Ora, a giochi conclusi, li si sorprende finalmente distesi, quasi increduli d’aver domato la tempesta organizzativa. “Sto tornando a respirare” sospira sorridendo. “Il torneo ha superato ogni fantasia. Non ce lo sognavamo così bello. Tyra Grant come stella nascente, un’italiana in finale, una coppia azzurra a contendersi il doppio… e soprattutto un livello tecnico da grande tennis. Il pubblico ha sentito il profumo della qualità e le giocatrici hanno ringraziato. Le nostre strutture — PalaBaldresca e campi d’allenamento che paiono suoi fratelli siamesi — sono state un’arma segreta.”
E Rovereto, piccola fortezza trentina, ha richiamato anche nomi pesanti del tennis italico: Renzo Furlan, Tathiana Garbin, Paolo Lorenzi. “Non me l’aspettavo” confessa Stoppini, come uno che vede spuntare un cervo dalle nebbie d’autunno. “Entro l’anno siederemo con WTA e FITP per capire come procedere. In quattro mesi abbiamo compiuto un miracolo, ma un torneo così richiede respiro lungo. Gli sponsor, le strutture, le necessità… Non si può correre ogni anno con il fiato in gola.”
Le nuove leve, più ardenti di un’alba
Accanto ai nomi già noti, la gioventù si è messa in mostra come grano verde sotto il sole primaverile. “Tyra Grant mi ha colpito” dice Stoppini. “Ha gli occhi del mondo addosso ma resta umile, tranquilla, contenta del suo mestiere.”
Eppure, sul piano tennistico, una sola ha giganteggiato: Oksana Selekhmeteva. “Di un’altra categoria. Se non entra presto tra le prime cinquanta, mi stupirei. Gioca un tennis che non mente.”
La festa, il rito, la tribù
Gli ultimi due giorni hanno avuto l’aria del sabato di campanile: luci, musica, folla calda. “Volevamo creare qualcosa di speciale. Credo ci siamo riusciti. Per il futuro potremmo concentrare tutto su un unico campo dal venerdì, così da far vibrare meglio l’atmosfera.”
Però, ammonisce Stoppini con tono da maestro di campo, il cuore dell’evento resta uno solo: “Questo torneo deve essere una festa anche per i nostri ragazzi. Un richiamo, una fiammata. Vedere da vicino il tennis vero può accendere sogni e ambizioni.”
Così Rovereto, alla sua prima uscita nella grande giostra internazionale, ha vissuto giorni di sudore e passione, di apprendistato e audacia. E ciò che resta oggi, come nelle storie più belle dello sport, è una promessa: non un traguardo, ma una partenza.
