Fu una sorpresa per il mondo della racchetta quando Daniil Medvedev, allora uno dei migliori tennisti al mondo, annunciò l’ingresso nel suo team di Gilles Simon. Ritiratosi pochi anni prima, il nizzardo è sempre stato un tennista tattico per eccellenza, uno capace di sfruttare come pochi altri le debolezze del rivale con scelte di gioco coraggiose e sempre efficaci, pur con precisi limiti di potenza. Il classico avversario assai scomodo che non si batte mai da solo ma che tu devi battere. C’era grande curiosità per vedere che impatto il francese avrebbe avuto sul tennis già sopraffino da un punto di vista strategico di Daniil, uno “scacchista” in tutti i sensi. Purtroppo le cose non funzionarono bene tanto che a fine 2024 i due decisero di separarsi, e solo lo storico coach Cervara restò con il russo. Non per molto, visto che i due si sono mollati dopo tanti anni di successi lo scorso settembre. Simon da allora ha parlato poco e non più tornato sul tour a fianco di altri giocatori. Parlando ad Eurosport Francia, Gilles è tornato sui momenti passati insieme a Medvedev, dicendosi onorato di aver potuto lavorare con lui e aprendosi sulle motivazioni che hanno portato alla loro separazione. Il nodo della questione fu proprio la visione tattica del gioco del russo. Questi i passaggi più rilevanti del pensiero del francese.
“Medvedev è un giocatore a cui tengo molto, lo adoro, lo capivo perfettamente in tante situazioni” racconta Simon. “Avevamo parlato più volte di aspetti tattici, in particolare di quelli che gli avevo spiegato, di come vedevo certe dinamiche dal mio punto di vista quando, per esempio, si trovava ad affrontare Novak Djokovic. Credo che sotto questo aspetto lo stessi aiutando parecchio, quindi mi sarebbe piaciuto continuare a provarci. Daniil è un ragazzo estremamente piacevole fuori dal campo ma quando entra in partita le cose cambiano. Lì deve confrontarsi con una sorta di piccolo mostro interiore, situazione non facile da gestire. Siamo stati giocatori, capiamo cosa gli sta succedendo, sappiamo quali commenti non dobbiamo fare perché non lo aiutano. È un peccato che sia andata così, però lo sapevo già prima di iniziare a lavorare con lui. Per il resto, sono stati momenti felici”.
Ecco il nocciolo della questione, quello che ha portato alla rottura della loro collaborazione: “Abbiamo avuto un primo disaccordo durante US Open, dove raggiunse i quarti di finale. Ricordo che rispondeva da molto lontano in ogni partita, cosa che non corrispondeva al piano tattico che avevamo definito. Sapevo che avrebbe battuto i giocatori che ha effettivamente battuto rispondendo da così lontano, tennisti come Fabian Marozsan o Nuno Borges, ma la mia analisi prima del quarto di finale era che, continuando a rispondere in quel modo, non sarebbe stato pronto per affrontare Jannik Sinner. È molto complicato applicare certi cambiamenti a un giocatore con uno stile così marcato, qualcuno abituato a percorrere determinati binari quando ne ha bisogno. È necessariamente più difficile lavorare con un atleta di 28 anni, il cui percorso è ormai definito, rispetto a un ragazzo di 15 o 20 anni. A fine stagione abbiamo parlato e mi ha confessato che l’avevo già aiutato molto, ma che non potevo più spingerlo oltre”.
“Parliamo di un giocatore che aveva già vinto molto, un tennista di 28 anni, una persona con forti convinzioni, che, peraltro, è importante avere… ma dall’esterno diventa molto complicato modificarle in certi punti. Se poi aggiungiamo che ci sono due giocatori come Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, due rivali che più volte gli sono passati sopra, tutto si complica ulteriormente” conclude Simon.
Marco Mazzoni

