Bentornata, “cara” Davis…
Il team ceco vittorioso a Delray Beach
Non è importante attendere la conclusione dei vari incontri previsti nella giornata di oggi per affermare, con pizzico di soddisfazione, “Bentornata, cara Davis Cup”, o frammenti preziosi di quello che ti ha reso unica. Le prime giornate di gare andate in scena tra Stati Uniti, Australia, Spagna, Croazia e via dicendo hanno già scritto la sentenza: seppur la formula attuale non sia un optimum, grazie al ritorno degli scontri casa-trasferta su cinque match si è rivista l’essenza di quello che rendeva la competizione diversa da tutto quello che assistevamo nella lunga, a tratti estenuante stagione tennistica. Abbiamo ritrovato l’epica del confronto, un senso di vera appartenenza che scaturisce dalla chance di giocare di fronte al proprio pubblico nel proprio paese; e per chi è in trasferta invece quello di sentirsi dei corsari, avventurieri capaci di fare da splendidi guastafeste e pure ribaltare un valore di classifica che sul Tour stagionale resta consolidato. Basta vedere quel che è accaduto in Spagna con la clamorosa sconfitta di Munar contro il danese Elmer Moller, un 22enne ancora lontano dal tennis che conta ma che con carattere e qualità è andato a prendersi una vittoria meravigliosa contro un “cagnaccio” sportivo come Munar, uno che invece ha sentito tutta la pressione dell’indossare la casacca della nazionale e non ha retto.
È solo uno degli incontri simbolo di un lungo weekend di Davis Cup tornata alla formula che l’ha resa unica, seppur in parte visto che la fase decisiva sarà poi ancora la Final 8. C’è grande lotta anche in Australia, dove il team “green and gold” ha chiuso sotto 1-2 con il Belgio. Indomabile la Francia che è andata a prendersi un posto a Bologna grazie a un Corentin Moutet che per una volta ha pensato solo a giocare a tennis – e farlo bene – invece di gigioneggiare nelle suoi bizzarri attacchi di follia, spesso autodistruttivi. Giocare per Bleu ti dà qualcosa in più, ti fa canalizzare solo energia positiva spinto dai compagni e dal rappresentare il tuo paese. E che dire dei cechi a Delray Beach, autori della vera impresa andando a battere in trasferta lo squadrone USA. Era la sfida più interessante dell’intero round di Qualifiers, e Lehecka si è messo la tuta da superman andando a prendersi due splendide vittorie su Tiafoe e Fritz, con il giovane Mensik che non ha sentito la pressione del quinto e decisivo incontro martellando con la sua potenza Tiafoe, grande lottatore ma battuto su tutta la linea. È la magia della Davis che sovverte pronostici, che a qualcuno dà, ad altri leva. È il contesto unico, l’energia nell’aria a diventare talmente forte da poter esser quasi afferrata e canalizzata nelle proprie corde, regalando una magia che ti porta a superare ostacoli sulla carta impossibili.
Vedremo cosa ci dirà la domenica di gare, se la Spagna compirà il miracolo e ribalterà tutto contro Rune e compagni. Vedremo se l’Australia riuscirà a fare lo stesso contro il Belgio. Ma per noi, già pronti a Bologna a difendere i due titoli vinti a Malaga nel 2023 e 2024, conta poco. Noi che assistiamo a questo ritrovato turno di Qualifiers siamo già molto soddisfatti. La formula attuale è sempre un grosso compromesso. Si gioca in una data infausta schiacciata tra la conclusione di US Open (che per esempio è costata alla Spagna l’assenza di Alcaraz, che poi giocherà in Laver Cup…) e la trasferta in Asia. Ma c’è del buono che è tornato. I gironi della scorsa formula non piacevano a nessuno, erano un totale contro senso tra palazzi vuoti e interesse ridotto all’osso, eccetto pochi incontri. La Davis è bellissima perché è tennis che diventa epica, per il contesto, per la diversità, per tutto quello che è stato scritto da una competizione nata nel 1900, la più antica a squadre per nazioni in tutti gli Sport.
C’erano tanti problemi e difetti, non stava in piedi schiacciata da un calendario troppo pieno di eventi ricchi e non cancellabili, e una riforma era cosa giusta. Fu riformata in modo clamorosamente errato dal gruppo Kosmos-Piqué con il beneplacito di un ITF che si fece convincere a suon di denari, nemmeno garantiti a sufficienza visto il crollo finanziario – inevitabile – arrivato da lì a poco. Si è corsi in parte ai ripari, aggrappandosi alla certezza, ossia quello di renderla almeno in parte alle nazioni, a casa loro, in un weekend da vivere in forti emozioni. Non siamo affatto ad una formula buona. Mancano i 5 set, che come dice Hewitt erano uno dei tratti distintivi e che sarebbero assolutamente da reintrodurre. Sulla finale in sede unica si può parlare e discutere, provare e sperimentare ancora. Ma quel che davvero servirebbe per rendere dignità e prestigio alla competizione è lo spazio. Rendi davvero centrale un evento se lo programmi in settimane adeguate alle esigenze dei giocatori e valorizzi il tutto con lo settimane intorno meno importanti (non dopo uno Slam!) in modo che sia assolutamente appetibile per gli atleti. I tennisti quando scendono in campo con maglia del proprio paese riescono a trasformarsi e giocare un tennis diverso, un tennis che il pubblico adora. Non sembra tanto difficile da capire, ma il problema resta sempre e soltanto uno: i soldi, quel che comanda la baracca.
Gustiamoci intanto questo turno di partite che ci ha fatto rivivere emozioni nascoste. Ipotizzare che possa accadere il miracolo, ossia che tutti i soggetti che governano il tennis si mettano a un tavolo e rivedano l’intera stagione per dare il giusto spazio alle settimane della Davis, è una vaga illusione. E un terribile peccato perché in tanti incontri di “vera” Davis Cup il tennis diventa leggenda, quelle partite che non potrai mai dimenticare…
Marco Mazzoni LEGGI TUTTO