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    Ivanisevic parla della rottura con Djokovic: “Eravamo entrambi saturi, ma sarei morto per lui”

    Goran Ivanisevic

    Goran Ivanisevic è tornato a parlare dopo la clamorosa separazione dal n.1 Novak Djokovic. Il loro sodalizio pareva assai solido, nonostante qualche tensione nel corso delle partite, forte di una montagna di tornei e Slam vinti e un tennis assai migliorato nel servizio e attitudine offensiva grazie ai consigli del croato. Invece dopo Indian Wells le strade dei due slavi si sono separate, interrompendo cinque anni di grandi successi. Goran ha parlato a Tennis Majors, riportiamo alcuni estratti dell’intervista nella quale spiega i motivi che hanno portato alla rottura e come ha vissuto un lustro di tennis e di vita assai intenso.
    “È stato emozionante, un grande onore, una grande responsabilità, ne sono molto orgoglioso” afferma Ivanisevic. “È stato turbolento, non per quanto riguarda la nostra collaborazione, ma turbolento a causa di tutto quello che è successo. Scherzavamo su questo in squadra, ma ovunque siamo andati arrivava sempre qualche pasticcio e purtroppo è iniziato proprio così dal 2019: l’infortunio alla spalla agli US Open, poi tutto quello che è seguito con il coronavirus… Ma lui è un’istituzione, Novak Djokovic è il più grande tennista di tutti i tempi, anzi uno dei più grandi atleti di tutti i tempi”.
    Ecco il passaggio sui motivi della separazione tra i due: “Le persone devono semplicemente scrivere qualcosa, sfortunatamente nessuno è arrivato nemmeno vicino alla verità. Voglio dire, non c’è davvero una ragione “reale”. Uno dei motivi è proprio un senso di saturazione e fatica, sono stati davvero cinque anni difficili e intensi. Le persone dimenticano quel periodo durante il coronavirus, dimenticano che per un certo momento è stato etichettato come il più grande cattivo del pianeta a causa della vaccinazione. Non ci era permesso di entrare in questo paese, poi in quell’altro, poi viaggiamo qui… Eravamo sempre in una sorta di limbo – giocando, non giocando, di nuovo pronti, poi cambiando le restrizioni e di nuovo ci proibivano di giocare. Per non parlare dell’Australia e di tutto quel caos. Quindi sì, siamo arrivati ad un certo livello di saturazione, come mi piace dire: stanchezza materiale, così come una macchina ha bisogno di una regolare manutenzione e messa a punto, in fondo mi sono stancato di lui, lui si è stancato di me; in ogni caso non mi sentivo più di poterlo aiutare. Anche così, sommando tutto, abbiamo ottenuto grandi cose per noi stessi e per il tennis”.
    La fine del rapporto era solo una questione di tempo per Ivanisevic, i tempi erano maturi da un bel po’: “Non è accaduto davvero dopo Indian Wells, direi piuttosto dalla trasferta in USA della scorsa estate, è stato allora che ho cominciato davvero a sentire che la fine era vicina. Era solo una questione se ciò sarebbe avvenuto alla fine dell’anno, o ad un certo punto di quest’anno, e proprio ora in America è successo. Non c’è un momento giusto o sbagliato, c’è solo quel momento in cui accade, quando due persone concordano che è giunto il momento. Forse col senno di poi si potrebbe dire che sarebbe dovuto succedere alla fine dell’anno scorso, ma dopo gli US Open ho subito l’operazione al ginocchio, non sono stato lì per sei o sette settimane, non ero lì per Paris Bercy, Poi è arrivata Torino…  Tutto sommato, c’era quella stanchezza graduale che cresceva in me, in lui, ma le persone sottolineavano che la nostra relazione e la nostra comunicazione fossero particolarmente turbolente, il che semplicemente non è vero. Novak è proprio così, è stato lo stesso con Becker, e con Marian, è semplicemente così che funziona. La sua comunicazione, di cui abbiamo già parlato cento volte, in campo durante una partita è quella, tutto era permesso. La cosa non mi ha nemmeno disturbato, metà delle sue urla non riuscivo nemmeno a sentirle”.
    Goran torna sulla sconfitta contro Sinner a Melbourne, una delle più pesanti rimediate dal serbo vista la sua forza nel torneo: “Non so cosa sia successo contro Jannik in quella semifinale in Australia. Non era se stesso e quando non dai il 100% contro un giocatore come Sinner, non hai chance. Poteva finire in una batosta, ma è riuscito a vincere il terzo set. Non si è sentito del tutto bene durante il torneo, ma è così bravo che potrebbe battere giocatori importanti con una gamba sola. Tuttavia, contro Carlos, Jannik o Daniil devi essere perfetto. Poi negli Stati Uniti non è stato bravo. Anzi, contro Nardi credo che il primo set che ha giocato sia stato il peggiore che gli abbia visto in questi cinque anni insieme. Non era pronto per quella battaglia. Se arriva il Novak A è una cosa, se arriva Novak B allora abbiamo un problema”.
    Così il croato chiude l’intervista e tira un bilancio dei cinque anni insieme a Novak: “Ci siamo comunque divertiti molto in America, indipendentemente dal risultato, eravamo davvero rilassati. Alla fine, chi può biasimarlo? Novak ha vinto tutto quello che c’era da vincere nel tennis. Sono con lui negli allenamenti, trovare la motivazione ogni giorno… non è facile. Venire tutti i giorni ad allenarsi e motivarsi, è più facile per gli Slam, ma per questi Masters è difficile allenarsi con intensità ogni volta, anche per un perfezionista come lui. Richiede forza, passione, forza di volontà… Voleva qualcosa di diverso, stare di più con la famiglia. Ci siamo seduti insieme il giorno dopo per parlare e sono davvero felice di averlo fatto, dopo questi cinque anni in cui abbiamo affrontato di tutto insieme, era l’unico modo corretto per farlo. Non mandando SMS o chiamando. Ci siamo seduti bene, rilassati, abbiamo riso e parlato, e per me era importante dirgli certe cose su come mi sentivo, lui mi ha detto come si sentiva, e tutto questo è stato davvero bello. Per cinque anni sono stato accanto a lui nel bene, nel male, nel caos, in tutto. Novak, quando le telecamere sono spente, è una brava persona, ha un grande cuore. Sono sempre stato pronto a morire per lui se fosse stato necessario, combatteva contro il mondo intero. Non era facile essere il suo allenatore in quel momento, ovunque andassimo la gente ci guardava male, lo vedeva come il cattivo. Naturalmente c’erano anche persone che ci hanno dato il loro sostegno, che si sono avvicinate a noi dicendoci di tenere duro. Ma ce n’erano molti che erano molto scortesi e aggressivi”.
    Un’intervista profonda, che racconta un rapporto vissuto intensamente nel bene (le grandi vittorie) e nel male (tensioni e mille problemi). Goran ha certamente contribuito in modo decisivo agli ultimi anni di carriera di Djokovic, sul piano tecnico ma anche umano. La prossima settimana il serbo torna in campo a Monte Carlo, con Jannik Sinner già bello visibile “negli specchietti”, pronto al sorpasso. Solo il campo ci dirà come risponderà Novak.
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    Djokovic: “Cerco di sentire da solo ciò di cui ho bisogno. Sarete informati nel caso in cui qualcuno si unisca alla squadra”

    Novak Djokovic (foto Getty Images)

    La separazione tra Novak Djokovic e Goran Ivanisevic ha colto in contropiede il mondo della racchetta. Non c’erano avvisaglie di problemi e il duo slavo nonostante più di un battibecco pubblico nel corso dei tornei funzionava a meraviglia. Due caratteri forti, un vero testa a testa di talento e visione di gioco ideale a stimolare la classe di Novak. Il lavoro svolto dal croato sul serbo è stato fenomenale: ha dato al n.1 l’unico colpo che un po’ mancava nel suo repertorio, un servizio top, grazie al quale è diventato quasi imbattibile a Wimbledon e non solo. Per questo la decisione di interrompere la collaborazione ha suscitato stupore e aperto ampie riflessioni sul futuro del campione, sulla soglia dei 37 anni.
    Dalla Serbia arrivano le parole che confermano l’incertezza del momento. Djokovic dopo la sorprendente sconfitta contro Luca Nardi ad Indian Wells ha deciso di saltare Miami ed allenarsi con calma, insieme alla famiglia, per preparare la stagione su terra battuta, in vista di Roland Garros, torneo nel quale Novak è campione in carica. Presenziando ad alcuni eventi privati, Djokovic ha affermato di non aver idea di chi ingaggiare come nuovo coach, non ha fretta particolare nel prendere questa decisione e addirittura sta valutando se proseguire la sua strada da solo, assistito solo dallo staff che segue la parte atletica (preparatore fisico e fisioterapista). Così ha dichiarato il n.1: “Ho avuto allenatori fin da quando ero ragazzino, ora cerco di sentire da solo ciò di cui ho bisogno, ciò con cui mi sento più a mio agio. Sarete informati nel caso in cui qualcuno si unisca alla squadra”. Nei mesi scorsi tra l’altro Djokovic ha anche interrotto il suo storico rapporto con Edoardo Artaldi, manager di lungo corso che lo seguiva da oltre 10 anni.
    In questi giorni Djokovic si sta allenando con l’amico Nenad Zimonjic, ex doppista di grande valore, ma sembra difficile che questa scelta possa diventare duratura, anche perché lo stesso Zimonjic (47enne) aveva affermato nel recente passato di non essere interessato ai continui viaggi della vita Pro. Sui media serbi impazza un dibattito ancor più profondo: che le scarse prestazioni di quest’inizio di stagione sia il segnale di un primo calo evidente di motivazione, e quindi il suo ritiro sia più vicino di quel che si poteva ipotizzare?
    La risposta la conosce solo Novak. In più interviste ha affermato di voler continuare a vincere e segnare record storici, anche se di fatto… li possiede già quasi tutti! In altri momenti aveva affermato che “le cose possono cambiare anche molto velocemente”, a maggior ragione se il suo corpo iniziasse a dare segnali chiari di scricchiolii o cedimento. Alcaraz e Sinner sono già il presente, giovane e vincente dello sport. Conoscendo il carattere di Djokovic, sembra difficile che possa restare nel tour alla sua “veneranda” età dietro all’azzurro e allo spagnolo, sistematicamente battuto dai due o pure altri. Forse Djokovic ha solo bisogno di tempo, non ha da dimostrare niente a nessuno e se volesse continuare facendo da solo non gli manca certo esperienza e professionalità per farlo.
    Il tempo è probabilmente quel che scandirà le sue decisioni. La prossima primavera – estate, con Roland Garros, Wimbledon e le Olimpiadi, ci dirà il livello atletico, tecnico e di motivazione di Novak. Qualora non dovesse vincere nessuno di questi tre grandi obiettivi, surclassato dalla prepotenza di Sinner e colpi di Alcaraz, forse appendere la racchetta al chiodo potrebbe diventare più di una probabilità…
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    Medvedev è pronto alla semi contro Sinner: “Grande sfida, conterà come ognuno di noi affronta le difficoltà poste dall’altro”

    Daniil Medvedev (foto Getty Images)

    Tra Jannik Sinner la terza finale al Miami Open c’è… Daniil Medvedev. La sfida contro il russo sta diventando un classico delle fasi conclusive dei grandi tornei. È stata la finale degli Australian Open 2024, e la partita di domani sarà l’undicesimo scontro tra i due. Dopo le 6 vittorie consecutive del moscovita, Jannik ha infilato una serie di 4 vittorie di fila: Pechino e Vienna (finali di ATP 500), le ATP Finals di Torino e soprattutto Melbourne, dove l’azzurro ha rimontato due set di svantaggio e alzato il primo trofeo Slam in carriera, il bellissimo Norman Brookes Trophy. Cosa aspettarsi dal nuovo confronto tra due dei giocatori più forti al mondo? Una grande battaglia, soprattutto sul piano tattico, così la pensa Medvedev, molto soddisfatto dopo aver superato Jarry nei quarti del M1000 della Florida.
    “È stata una bella vittoria per me”, afferma Daniil, “Jarry ha alzato il suo livello man mano che la partita andava avanti. Da parte mia, penso di aver mostrato un buon livello di tennis nel primo set, anche se non ho fatto nulla di speciale, quanto basta per vincere quel set. In quel momento ero soddisfatto, ma lui ha iniziato a migliorare molto, gli scambi e i punti hanno cominciato a diventare sempre più difficili, ha anche iniziato a servire molto meglio. Alla fine un paio di punti al tiebreak hanno deciso tutto, come spesso accade. Anche il match point non è stato facile per me con quella risposta strepitosa, ma alla fine sono riuscito a gestire la situazione e ad andare avanti”.
    Per provare a difendere il titolo 2023, c’è ancora Sinner… “Sinner gioca ogni giorno meglio, si vede che capisce sempre più il gioco e lo affronta con molta sicurezza, l’ho potuto constatare in alcune partite che ho potuto vedere in televisione questa settimana. In questo torneo qualche volta è stato in difficoltà, ma è sempre riuscito a restare in piedi e trovare una soluzione, così fanno i grandi campioni. Per me è una grande sfida, dovrò migliorare molto il mio gioco e dare il 100% in campo. So che non sarà una sfida facile, ma sono motivato e voglio andare là fuori e provarci, spero di riuscirci meglio dell’ultima volta.”
    Interessante la risposta di Medvedev su cosa si aspetta dalla prossima partita: “Quando affronti qualcuno come Jannik, o potrei dire la stessa cosa per Carlos o Novak, ogni partita sarà diversa. Cercherà di pensare a cosa ha fatto in Australia negli ultimi tre set per battermi. Proverò a pensare anche a questo, ma alla fine conterà come ci sentiremo in campo e come ognuno di noi affronterà le difficoltà poste dall’altro. Sarò lontano alla risposta o vicino alla riga? Spingerà subito al massimo o sarà un po’ meno aggressivo? Non lo sapremo mai prima, tutto cambia nel corso del match, dipende dalla bravura in quel momento della partita a gestire le situazioni. Mi preparerò semplicemente e cercherò di fare del mio meglio”.
    Quindi per Medvedev ogni sfida contro Sinner è una vera partita a scacchi: ognuno studia le mosse dell’altro nel corso del match e la vittoria va a quello dei due riesce a trovare la contro mossa più adeguata. Visione assolutamente corretta, da bravo scacchista, grande passione del russo.
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    Djokovic si separa da Ivanisevic

    Goran e Novak

    Le strade di Novak Djokovic e del suo coach Goran Ivanisevic si separano. L’ha annunciato il serbo con l’ormai classico messaggio social, condito da due belle foto insieme all’ex campione di Wimbledon croato, un momento di celebrazione dopo una vittoria e un altro di relax, insieme al suo team con un gioco da tavolo da loro molto amato, il Parchis.

    “Ricordo chiaramente il momento in cui ho invitato Goran a far parte della mia squadra. Era il 2018 e Marian e io stavamo cercando di innovare e portare un po’ di magia nel servizio al nostro duo” scrive Novak nel messaggio. “In effetti, non solo abbiamo portato il servizio, ma anche tante risate, divertimento, numero 1 nella classifica di fine anno, risultati da record e altri 12 tornei del Grande Slam (e alcune finali) da lì in avanti. E che ne dite di un po’ di drammaticità? #Nolefam lo saprebbe… Goran e io abbiamo deciso di smettere di lavorare insieme qualche giorno fa. La nostra chimica in campo ha avuto i suoi alti e bassi, ma la nostra amicizia è sempre stata solida. In effetti, sono orgoglioso di dire (non sono sicuro che lui lo sia) che oltre a vincere tornei insieme, a Parchis abbiamo anche una grade battaglia… per molti anni. E per noi la competizione non si ferma mai. Šefinjo, grazie di tutto amico mio. Ti voglio bene”.
    Una notizia che giunge inattesa, aspettiamo le parole di Ivanisevic in merito, ma molto probabilmente saranno dello stesso tenore. Djokovic sottolinea le diverse tensioni e alti e bassi vissute con Goran, ma dal messaggio non sembra che sia stato un litigio a provocare la rottura. In passato Ivanisevic aveva più volte affermato come non fosse affatto facile tener testa a una persona così carismatica e determinata come Nole, ma anche che fosse l’unico modo per essere ascoltato, prenderlo di petto e stimolarlo. Due caratteri molto forti, che tra alti e bassi hanno ottenuto risultati enormi. Evidente come il lavoro con Ivanisevic abbia fruttato al n.1 del mondo un miglioramento clamoroso dal servizio e anche nell’attitudine offensiva in campo, con più discese a rete e un tennis più verticale. Visto che questa era la richiesta iniziale al momento dell’ingresso nel team, si può affermare che il loro rapporto è stato assolutamente positivo e vincente, nonostante le molte tensioni tra i due.
    A questo punto resta da vedere se un quasi 37enne Djokovic avrà voglia di cercarsi un nuovo allenatore per provare ad alzare di nuovo l’asticella in vista delle sfide sul rosso con Alcaraz e Sinner, oppure se deciderà di continuare l’ultima fase della sua carriera da solo, con l’ausilio di preparatore fisico e fisioterapista. La notizia è stata accolta in Serbia con stupore, e molti fan del campione temono che questa decisione possa significare una fine della sua carriera più vicina. Uno scenario questo forse un po’ troppo “catastrofico”. Dalla Serbia riportano che in settimana negli allenamenti a Košutnjak con Novak c’era l’ex Pro e amico Nenad Zimonjic, ed è possibile a questo punto che lo possa seguire per qualche torneo, “ma non è realistico che sia una soluzione a lungo termine. Anche Carlos Gomez Herrera – sparring partner dello scorso anno e ora suo agente – sarà con Novak nel prossimo periodo”, afferma il collega Ozmo, sempre ben informato sulle faccende del n.1.
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    Marozsan, “indigesto” ai top10…

    Fabian Marozsan (foto Getty Images)

    Il Miami Open sta avanzando tra maltempo, qualche polemica e anche molte sorprese. I tennisti USA sono stati decimati, con le uscite premature di Fritz, Paul e Tiafoe, tanto che le speranze dei supporter locali sono riposte in Ben Shelton, prossimo avversario di Lorenzo Musetti. Ma l’upset più rumoroso e clamoroso è quello di Holger Rune, protagonista in negativo di una prestazione quasi irritante, solo due game rimediati ieri contro Fabian Marozsan. Tuttavia, andando a guardare questa sorpresa più in profondità, il tennis fatto di impatti puliti e velocità d’esecuzione dell’ungherese ha contributo in modo decisivo ad affossare la pessima prestazione del talento danese, e c’è anche una statistica davvero sorprendente. Marozsan in carriera ha affrontato 4 top10 e ne ha battuti 3: Alcaraz (Roma), Ruud (Shanghai), Rune (Miami). Tre successi di assoluto prestigio, ottenuti in tre tornei Masters 1000. Vittorie troppo importanti per relegarle solo a casi fortuiti. Lui quasi ci scherza sopra, con un’attitudine leggera che lo premia ancor più. La realtà è che il magiaro è stato bravissimo a trovare il suo miglior tennis contro avversari forti non nella miglior giornata, fatto questo che denota qualità e intelligenza.
    Attualmente Marozsan è n.57 ATP, al proprio best (già toccato dopo gli AO24), ma nel Live ranking è già n.51 il prossimo turno a Miami contro Popyrin non sembra affatto chiuso. Così Fabian ha parlato alla stampa dopo il suo grande successo, mostrando consapevolezza dei propri mezzi e voglia di migliorare ancora.
    “Mi piace davvero giocare ai massimi livelli, contro i migliori. È stata una bellissima giornata oggi, ho potuto godermi ogni momento sul campo dello Stadium. Ho giocato contro uno dei primi 10 giocatori, uno che ha il potenziale per essere tra i primi tre in futuro. Ho provato a mettergli pressione e ho giocato a tennis ad alta intensità. Non ha trovato il modo di rientrare e fare qualcosa di diverso. Quando gioco cerco di non concentrarmi sull’avversario ma sul mio gioco”.
    Effettivamente Rune ha tenuto un profilo basso, con quel sorriso beffardo dopo i suoi errori che davvero non l’aiutano a migliorare… ma i colpi di Marozsan sono stati una bellezza per efficacia e pulizia d’uscita della palla dalle sue corde. Un tennis aggressivo, con tempi di gioco rapidi e per nulla banale. Tutto è andato così in fretta che Holger non ha trovato il pertugio per rientrare. Anzi, per entrare proprio nel match…
    “Quando sono uscito dallo stadio ho detto al mio allenatore: “Non posso credere a quello che è successo!” È stato proprio come… boom boom, in un’ora o qualcosa del genere (59 minuti, ndr). È una sensazione nuova per me giocare in queste condizioni”.
    L’intervistatore fa notare al magiaro che Rune è il terzo top10 battuto in 4 confronti contro i migliori dieci. “Questa è una buona statistica! Ma non so perché sono speciale in queste partite. Cerco di fare del mio meglio in campo e a volte succedono cose importanti. Mi vedo come un nuovo arrivato nell’ATP Tour, i ragazzi non mi conoscono, cerco di sfruttare questo vantaggio”.  In effetti Marozsan ha già 24 anni, è diventato professionista nel 2017 ma è stabile sull’ATP Tour solo dal 2023, quindi ancora relativamente nuovo, e lo è assai per i migliori. “Cerco di godermi ogni momento qui. Questo tipo di torneo è come un Grande Slam, hai un giorno di riposo dopo ogni round, per me è una cosa positiva. Ho molta fame, questa è la chiave. Ho fatto una buona corsa a Indian Wells, quindi sono fiducioso”.
    Un’altra vittoria contro un Top10, molto diversa da quella su Alcaraz a Roma: “Era una novità assoluta affrontare Alcaraz a Roma. Adesso sono nella top 100, ho al mio attivo le partite di Shanghai (dove Marozsan ha raggiunto i quarti di finale, ndr). Ho ben in testa questi momenti e mi aiuta ad avere fiducia in questo tipo di partite. Miami è nuovo per me ma non così nuovo come lo era Roma. Sono migliorato più di quanto mi aspettassi negli ultimi sei o sette mesi. Alcaraz è stato un punto di svolta, ma sono ancora un ragazzo sull’ATP Tour”.
    “Volevo diventare top50 nel 2024, ora ci sono davvero vicino. È tempo di alzare le ambizioni, quindi dico… voglio diventare top30. Poi, chissà…” e se ne va con un sorriso. Ragazzo semplice, molto cordiale, con un potenziale ancora inespresso. Forse per fare un altro importante salto di qualità è necessario un miglioramento sulla forza, ha una struttura esile, ma ormai la tendenza del tennis moderno è più sulla velocità ed elasticità che sulla potenza muscolare. Marozsan è un bell’acquisto per il tennis di alto livello. E visti i numeri, i top10 sono avvisati…
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    Clima? Superficie? I tennisti tra Indian Wells e Miami continuano a criticare le palle

    Il Miami Open

    L’ormai celeberrimo “Sunshine Double” porta i tennisti a una svolta repentina. Dal deserto della California al caldo umido della primavera in Florida c’è ben più di qualche ora di volo, è un vero e proprio abisso a livello di condizioni di gioco. Ci si sposta dalla sponda ovest a quella est del continente nordamericano, e i giocatori trovano due tornei e due mondi diversi. Mai come quest’anno le condizioni sono radicalmente differenti, ma il dilemma dei tennisti, sbarcati e già in campo Miami nonostante la pioggia, non è tanto sulla differenza tra l’aria secca di IW, che fa scappare la palla, o al campo davvero abrasivo rispetto all’umidità opprimenti della Florida e i suoi campi più lisci, ma quanto le palle siano differenti, creando condizioni di gioco diversissime. Si cambia regione, clima, fuso orario, superficie. Tutto. Ma il vero fattore X, quello che scontenta tutti, resta la palla da gioco. Ne hanno parlato in diversi al media statunitense Tennis Channel, riportiamo alcuni dei pareri più interessanti.
    “Ad essere onesti, è il cambio delle palle che può influenzarci più del cambio di campo stesso”, ha detto alla stampa a Miami Taylor Fritz. La scorsa settimana a Indian Wells, i giocatori hanno gareggiato utilizzando palle Penn, fatto che ha ricevuto un’accoglienza fredda da parte di giocatori come Stan Wawrinka, che ha condiviso un post sui social media mostrando quanto velocemente la superficie del campo le ha distrutte, mentre a Miami si gareggia con palle Dunlop, la palla più utilizzata sul tour. Per Fritz, le differenze tra i due sono così nette che, quando gli è stato chiesto di confrontare le condizioni con la vicina Delray Beach, dove ha vinto il settimo titolo ATP a febbraio, ha detto che era “impossibile” confrontare i due, nonostante Delray (Penn) sia a solo un’ora di macchina a nord di Miami (Dunlop). “Sono palle diverse, quindi è la differenza è come tra il giorno e la notte. È impossibile paragonare un torneo all’altro, perché se le palle sono diverse non è proprio paragonabile”.
    “Le condizioni sono molto diverse a Indian Wells rispetto a Miami”, ha detto Emma Raducanu. “È molto umido. Le palle sono molto pesanti. Sono diverse, il che non credo sia ottimo per i polsi di nessuno dei giocatori, ma soprattutto per il mio. Onestamente penso che sia davvero brutto per noi il modo in cui dobbiamo cambiare palla ogni settimana e soprattutto dopo aver subito interventi chirurgici. Conosco anche molti giocatori che hanno problemi al polso, quando si arriva a un evento con palle diverse subito lo accusiamo. Non capisco perché tutti gli altri sport siano più o meno uguali, mentre nel tennis è diverso di settimana in settimana”.
    Per Jessica Pegula la sfida è trovare il correttivo: “Le condizioni sono come il giorno e notte, e dover ora usare una palla completamente diversa quando sei già costretta a cambiare la tensione e tutte queste cose in più… Non è l’ideale”, ha detto alla stampa la testa di serie numero 5 a Miami. “Ho sperimentato circa 20 tensioni delle corde durante gli allenamenti. Proviamo tutti la stessa cosa, è sconcertante come di punto in bianco ci tocca ripartire da capo e ritrovare le misure”.
    Daniil Medvedev ha  sottolineato il costo mentale che tanti cambiamenti possono avere sui giocatori: “Ogni piccolo dettaglio può avere un grande impatto, a volte sul tuo corpo, a volte sulla tua mente o sul tuo tennis. Inizi a farti domande: queste palle, questo campo… È vero che dobbiamo essere pronti ad adattarci, ma non potete capire quanto il cambiamento sia grande riguardo alle palle”.
    Con i singoli tornei che negoziano i propri accordi con i produttori di palle e gli sponsor delle attrezzature, l’unico modo per cambiare questo status quo che nessuno gradisce è una decisione che parta dall’alto. Andrea Gaudenzi ha affermato qualche settimana fa che l’ATP è consapevole del problema e che conta “quanto prima” di poter intervenire, con uno studio in corso della palla per così dire “ideale”. Resta da vedere quanto tempo ci vorrà, e cosa accadrà agli accordi commerciali già in essere, che ovviamente ogni produttore cercherà di difendere…
    “Preferirei semplicemente avere una palla coerente… perché non puoi mantenere tutti i campi uguali, è impossibile“, afferma Pegula. “Se potessimo almeno mantenere la stessa palla ogni settimana, allora potremmo almeno gestire quella variabile. Ci sono altre variabili che cambiano che possiamo semplicemente lasciare andare o che sappiamo essere impossibile da controllare, come il tempo. Ma quando si cambia costantemente con tutte, diventa davvero difficile. A logica, la palla dovrebbe essere l’elemento più facile da gestire…”.
    Una considerazione corretta quella di Pegula. La palla passa all’ATP e WTA. In tutti i sensi.
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    Lew Sherr, CEO della USTA, descrive il progetto del Premier Tour: “Il tennis oggi sottoperforma commercialmente, è un problema la sua sostenibilità”

    Lew Sherr, CEO della USTA

    Dopo svariate illazioni e indiscrezioni, finalmente si tolgono i veli al progetto del Premier Tour, ipotesi di nuova struttura dell’annata tennistica guidata dai 4 tornei dello Slam. A parlare con dovizia di particolari è Lew Sherr, CEO della federazione americana (USTA) in una lunga intervista rilasciata a Sport Illustrated. Il concetto di base è banale, potremmo affermare “coerente”: gli Slam guidano l’annata, insieme a 10 tornei top, come lo sono oggi i Masters 1000, tutti da svolgersi su due settimane tra uomini e donne con 96 giocatori. Poi un Master di fine anno, sempre combined nella stessa sede e almeno due mesi di sosta prima della nuova annata. In mezzo anche una competizione a squadre e almeno una, o due, settimane di riposo prima e dopo un major. Il ranking darebbe accesso a questi tornei top ai migliori 100, e quelli tra il 100 e 300 giocherebbero un tour per guadagnare posizioni e strappare un posto nei maggiori eventi. Questi e molti altri temi sono trattati nell’intervista, della quale riportiamo alcuni passaggi significativi, come i motivi hanno spinto gli Slam a muoversi per rivoluzionare la stagione tennistica.
    “Tutto parte dalla constatazione che il tennis è uno sport attraente, ma sottoperforma commercialmente, il che sta creando sfide per la sostenibilità dei tornei e quindi degli atleti. Non penso che sia una novità per nessuno nel settore. Torniamo al 2021. I sette stakeholder del tennis hanno incaricato il Boston Consulting Group di capire quali fossero i problemi nello sport e quali potrebbero essere le opportunità. E tutta quella ricerca, che ha coinvolto anche 5.000 appassionati di tennis in tutto il mondo, ha sottolineato il fatto che il tennis, sebbene ampiamente popolare, coinvolge il 70% degli appassionati solo attraverso i quattro major. E il feedback ha anche indicato che gli eventi durante la stagione mancano di coerenza. I fan hanno difficoltà a seguire la narrazione. Diluiamo il nostro prodotto. Competiamo con il nostro prodotto. Ci sono momenti con troppi eventi sparsi qua e la per il mondo, i fan faticano a sapere dove guardare. Perché Sinner gioca a Rotterdam e Alcaraz è da qualche parte in Sud America? Il modo migliore per presentare lo sport ai fan è un formato in cui i migliori giocatori giocano in una sorta di stagione d’élite. Allo stesso tempo, dobbiamo tenere conto della salute dei giocatori, del riposo, dei picchi di prestazione”.
    “Dal punto di vista dei tornei, ci sono troppi eventi che non sono considerati utili allo stesso sport, e poiché sono diluiti, sono in competizione tra loro. Cerchiamo quindi di affrontare gli ostacoli strutturali del sistema e di proporre una soluzione più espansiva e più olistica che affronti tutto questo. … Dieci tornei su circa 140 determinano l’80% di tutta l’economia. Quattro di questi sono gli Slam più altri sei. Quindi è tutto incredibilmente concentrato”.
    “Stimiamo che il valore del tour oggi sia di 1 miliardo di dollari. La nostra opinione è che il miliardo venga ridistribuito di seguito per garantire che i giocatori guadagnino in modo sostenibile e soddisfacente. Dobbiamo separarci da ciò che esiste oggi. L’analogia con ciò che l’ATP ha sviluppato con i sauditi, immagino sia un po’ una questione di mele e arance. Queste non sono opportunità che si escludono a vicenda”.
    “Stiamo prescrivendo settimane specifiche in cui non si gioca, ma sappiamo che la concorrenza è importante. E se sei un giocatore di livello inferiore, potresti non giocare abbastanza partite: se perdi presto in un modello come questo, potrebbero non esserci abbastanza partite per raggiungere il massimo delle tue prestazioni, quindi abbiamo identificato una serie di settimane nel corso dell’anno in cui potresti scendere ad un tour di livello inferiore per giocare più partite”. In pratica il famoso tour di quelli fuori dai famosi “96” che teoricamente giocano i nuovi eventi premium.
    “Gli ostacoli per arrivare a questo nuovo modello? Si tratta di una massiccia rivisitazione del modo in cui viene presentato lo sport e il cambiamento è difficile. E vogliamo farlo bene e ci stiamo prendendo il nostro tempo e stiamo lavorando con le parti interessate per assicurarci di riflettere su tutte queste domande che voi e gli altri fate, perché  è importante. Alla fine richiederà un cambiamento dall’interno e questo è davvero difficile. Quando? Mettere una data è difficile… ipotizzare il primo gennaio 2026 può essere una ipotesi ma di non facile realizzazione. Non stiamo cercando scorciatoie, è un processo difficile che coinvolge molte parti in causa e prima di arrivare alla svolta dobbiamo valutare ogni aspetto e perdere le decisioni giuste”, conclude il CEO della USTA.
    Un progetto quindi che andrebbe stravolgere totalmente l’annata tennistica, divenendo in pratica un unico tour premium maschile e femminile, con un livello inferiore, una sorta di tour Challenger “rafforzato” per salire in classifica e poter giocare nei principali tornei. Vedremo se questo progetto avrà successo, o si continuerà con la maggior integrazione tra ATP e WTA come proposto dai sauditi. Vedremo cosa accadrà. Di sicuro nelle stanze dei bottoni si lavora, già da tempo, a un tennis molto diverso da come lo stiamo vivendo.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Archeo Tennis: 19 marzo 1989, Mecir trionfa a Indian Wells, ultimo successo sul tour maggiore di una racchetta di legno

    Miloslav Mecir

    Leggi Miloslav Mecir e pensi immediatamente a due cose: all’iconico soprannome di “Gattone”, per le sue movenze felpate che lo facevano apparire persino lento, e l’altrettanto iconica racchetta Snauwaert Ultimate, un telaio leggendario fatto di legno finemente lavorato a mano con un’anima di grafite per darle più consistenza ma un tocco d’antan. Perché rispolveriamo il ricordo del grande campione cecoslovacco, certamente uno dei tennisti più forti e amati a non essere riuscito a vincere un titolo dello Slam? Perché esattamente 35 anni, il 19 marzo 1989, Mecir vinse il torneo di Indian Wells, battendo in una bella finale in cinque set Yannick Noah. Non è stata solo l’ultima coppa del vincitore alzata da Miloslav, ma anche l’ultimo torneo del tour maggiore vinto da un tennista con una racchetta di legno, o diciamo prevalentemente di legno. Quel grande successo di Mecir chiuse di fatto l’epopea dei telai non hi-tech, diventati dominanti già nei primi anni ’80. Il ceco restò l’unico paladino di quel tipo ormai vetusto di racchetta perché il suo fisico non era dei più forti per reggere la rigidità dei materiali tecnologici, che sottoponevano braccio e spalla a sollecitazioni superiori, ma anche perché la sua tecnica di gioco sopraffina e sensibilità della sua mano gli permettevano di reggere le devastanti accelerazioni di Lendl, Becker e tutti gli altri campioni. Sicuramente nella sua scelta radicale c’era la paura di perdere i migliori riferimenti del suo tennis, tutt’altro che potente ma estremamente preciso negli impatti e nello sfruttare la velocità della palla dell’avversario, e magari anche un pizzico di sciccosa ritrosia nel non accodarsi alla modernità dilagante. Nell’ultimo periodo della carriera la sua mitica Snauwaert era pitturata per sembrare un telaio moderno, ma in realtà mai abbandonò l’iconica Ultimate.
    Nato nel ’64 e diventato Pro nell’82, Mecir affascinò da subito il panorama internazionale grazie a colpi sopraffini per tecnica e pulizia d’impatto, anche se carenti di quell’intensità e potenza che proprio i nuovi telai tecnologici, sempre più diffusi e poi divenuti ben presto dominanti, regalarono alla disciplina. Miloslav non si accodò alla rivoluzione che portò nel tennis velocità e angoli prima impossibili, continuando a giocare con quegli schemi antichi che aveva imparato nel suo paese da ragazzo, appoggiandosi alle palle dei rivali con maestria e giocando un tennis a tutto campo molto tattico, buono per tutte le superfici e molto intelligente. Rallentava e poi accelerava, passanti precisi e correva anche a rete, facendo tutto con una compostezza che appariva lenta, da “gattone” appunto. Mecir conquistò il suo primo titolo a Rotterdam nel 1985, battendo in finale Jakob Hlasek. Nel 1986, “Milo” ottenne il suo primo notevole risultato in un torneo del Grande Slam, arrivando in finale agli US Open, battuto da Ivan Lendl (6-4, 6-2, 6-0). Nel 1987 conquista il primo titolo importante della sua carriera, trionfando al Lipton Championship di Key Biscayne (sconfisse Lendl 7-5, 6-2, 7-5 in finale) prima di raggiungere la semifinale al Roland-Garros, dove Lendl si vendicò con un secco 6-3, 6-3, 7-6.
    Nel 1988 fu il suo anno migliore. Nei quarti di finale di Wimbledon, Mecir fu l’unico giocatore capace di battere Mats Wilander in un torneo del Grande Slam (6-3, 6-1, 6-3). Quello straordinario successo non gli consentì di arrivare in finale ai Championships, dove non capitalizzò due set di vantaggio contro Edberg (poi vincitore del torneo, nell’anno del “Grande Slam svedese”). A settembre il ceco visse una delle più grandi soddisfazioni in carriera, conquistando la medaglia d’oro olimpica a Seul in quella che fu la prima edizione del ritorno dello sport della racchetta nella rassegna a cinque cerchi. Il momento d’oro di Mecir continuò anche all’avvio del 1989, dove raggiunse la seconda finale del Grande Slam agli Australian Open, battuto ancora da Lendl in tre set, 6-2, 6-2, 6-2 il punteggio.
    Mecir si presentò a Indian Wells 1989 come uno dei possibili favoriti, ancor più per l’assenza del campione in carica, n.1 al mondo e sua “bestia nera” Ivan Lendl. Becker, prima testa di serie del torneo, fu sconfitto negli ottavi a sorpresa da Jay Berger, aprendo le porte a un nuovo campione.Mecir giocò un grande torneo, battendo un giovanissimo Pete Sampras, la quinta testa di serie Jakob Hlasek negli ottavi e la terza testa di serie, Andre Agassi, nei quarti di finale (7-5, 6-4), e Jimmy Connors in semifinale.
    In finale Miloslav trova un Noah in grande forma, capace di metterlo in grave difficoltà con la battuta, i suoi continui attacchi a rete e quel rovescio in back che saltava pochissimo, difficile da gestire col passante. Infatti nei primi due set della finale – allora si giocava al meglio dei 5 – il ceco fu surclassato dal francese, straripante al servizio (ben 14 Ace!) per il 6-3, 6-2. Mecir, sull’orlo del baratro, trova più continuità in risposta e riesce ad inchiodare maggiormente il rivale nello scambio, attaccando per non essere attaccato. La tattica funziona, il tennis di “gattone” prende vigore, mentre Noah è in difficoltà a rincorrere e cala vistosamente alla battuta. Il match si ribalta, Mecir domina il terzo set per 6-1 e vola al comando, ribaltando la partita e chiudendo anche quarto e quinto set, col il 6-3 che decide la partita.
    Quel grande successo fu l’ultimo per Mecir. Problemi alla schiena sempre più profondi guastarono le sue prestazioni, forzandolo a continui stop e rientri, portandolo all’amara decisione di appendere la racchetta al chiodo a soli 26 nel 1990. La sconfitta al secondo turno di Wimbledon, ancora per mano di Edberg, fu il ultimo ballo da Pro. Chiude con 11 titoli vinti complessivamente e un best ranking di n.4 al mondo.
    Chissà cosa sarebbe potuto diventare Mecir se avesse adottato un telaio più moderno. Magari sarebbe riuscito ad adattare quei colpi pulitissimi ad altre velocità e vincere molto di più, magari anche quello Slam a cui è solo arrivato vicino. Non lo sapremo mai. A noi resta la magia di un personaggio talmente fuori moda da diventare una leggenda amata e stimata da tutti i veri appassionati.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO