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    Sinner, una sconfitta che vale più di una vittoria (di Marco Mazzoni)

    Jannik Sinner

    Una sconfitta può aver un retrogusto dolcissimo. Anche se sei arrivato ad un passo dal vincere, avendo pure il match point e non trasformandolo. Può sembrare un paradosso, ma chi vive di sport ti confermerà tutto questo. È quel che è accaduto ieri sera, al Pala Alpitour, a Jannik Sinner.Il giovane talento azzurro è arrivato a doppio match point contro il fortissimo Medvedev, non ce l’ha fatta. Un rovescio vincente terrificante ha chiuso la partita al tiebreak decisivo a favore del russo, che chiude anche il girone imbattuto per una striscia di otto vittorie di fila nel torneo, di cui è campione in carica.Si chiude con una bellissima, esaltante vittoria ed una sconfitta sul filo di lana l’esordio di Sinner alle Finals. Da alternate, arrivare in semifinale è quasi impossibile, tanto che non c’è mai riuscito nessuno subentrando con la possibilità di giocare solo due partite. Colpa di una delle regole del torneo, a parità di vittorie contano di più il numero di match giocati. Pazienza.Negli occhi di tanti appassionati questa resterà una bellissima partita, ma una sconfitta. Vero, inconfutabile, il freddo calcolo dei numeri dice questo. Ma tirando un bilancio a freddo di quel che abbiamo visto e vissuto da bordo campo, col cuore in gola in decine di scambi mozzafiato con la palla che schizzava via come impazzita a destra e a manca, l’esperienza e soprattutto la partita di ieri sera di Jannik è un successo clamoroso. Una sconfitta che si trasforma in una pietra stabilissima nelle fondamenta del Campione che Sinner sta diventando.Le sconfitte non sono tutte uguali. Perdere fa male, ma perdere aiuta a crescere, ti aiuta a capire dove sei rispetto a dove vuoi arrivare. Per questo la sconfitta di ieri di Sinner è un clamoroso successo. Sarebbe stato un k.o. brutto e doloroso se Jannik avesse perso col classico 6-3 6-4, un break per set, senza la possibilità di incidere, restando in scia del forte rivale ma incapace di dare la zampata, di trovare una via per recuperare o diventare pericoloso. Sarebbe stata una pietra tombale se avesse perso 6-0 6-1 respinto al mittente con durezza totale, vedendo il rivale lassù, irraggiungibile.Per assurdo, aver perso così malamente il primo set con solo 10 punti vinti, dominato totalmente sul piano tattico, è stato ancor più importante perché dall’inizio del secondo set, dopo aver cancellato con un forza brutale una palla break che già puzzava di match point c’è stata la reazione. Che reazione: fisica, mentale, tecnica, tattica. La sconfitta di Jannik di ieri era è un grandissimo successo perché dopo un set perso così male il rischio di crollare e perdersi era concreto. Quello sarebbe stato grave, sarebbe stata una memoria negativa pesante, ti avrebbe insinuato dentro un coacervo di dubbi e incertezze. Io potrò mai arrivare a quel livello lì? Sono davvero così lontano? La reazione di Sinner, come è rientrato in partita, ha agganciato il rivale e facendo a “sportellate” fino all’ultimo punto, è un segnale forte e bellissimo. È la conferma che Sinner ha questo livello di gioco, quello dei top. È la dimostrazione che il ragazzo ha tantissimo carattere, che riesce a trovare la via per uscire dalle difficoltà. Non solo reazione, importantissima, ma anche tenuta. Il primo set è durato 26 minuti, tutto il resto oltre due ore. Per due ore Jannik ha spinto a tutta, ha imposto un forcing brutale facendo correre la palla così tanto, con un ritmo talmente infernale da mettere in difficoltà un tennista formidabile in difesa come Medvedev. Ha servito bene, ha risposto profondo, “cattivo”. Intenso, deciso, pure aizzava il pubblico e si nutriva dell’energia atomica che illuminava a giorno il Pala Alpitour. Sentire tutto questo da bordo campo ancora provoca i brividi.Sinner ha perso, pure non trasformando due match point. Ma per come ha reagito ad una batosta micidiale, per come ha alzato il livello ed ha ripreso la partita senza approfittare del calo del rivale ma andandolo a prendere e restandogli agganciato al suo livello, è più di una vittoria. È la conferma che Jannik sta continuando il suo percorso in modo più giusto, sta continuando a crescere in modo incredibile. La crescita nel tennis è un percorso mai in linea retta. Si procede a scale, vivendo esperienze, soffrendo, analizzando, cambiando, ripetendo e quindi assimilando fino a fare uno scalino. La partita di ieri vale 10, 100 scalini nella propria autostima e consapevolezza. Anche se si è perso. “Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”. Michael Jordan
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    Badio (fisioterapista di Djokovic) racconta il lavoro con il n.1: “È come una Ferrari”

    Badio al lavoro con Djokovic

    Nel tennis di oggi la figura del fisioterapista è diventata sempre più importante, per preservare il fisico in uno sport terribilmente duro dal punto di vista atletico. Il collega Nacho Albarran del quotidiano AS ha fatto una bella intervista a Ulises Badio, “fisio” del n.1 al mondo Djokovic. Ne riportiamo alcuni passaggi, che spiegano come Novak abbia una metodologia di preparazione molto personale, con un approccio che cerca coinvolgere completamente l’aspetto mentale insieme a quello fisico, oltre all’attenzione maniacale al dettaglio. Sono, di fatto, alcuni dei segreti del Campione.

    “Lavoravo per l’ATP, non per un tennista specifico, dal 2011, ho iniziato a Roma. Nel 2017, prima del 1000 di Madrid, fui contattato dall’entourage di Djokovic. Come per tutte le cose, volevo vedere di cosa si trattava, perché era un nuovo mondo per me. Sono entrato senza conoscere come funzionava nel loro team. Sapevo come lavorare e quale fosse il mio ruolo specifico a livello professionale, ma non quale fosse il mio ruolo all’interno della sua squadra. Le cose sono andate bene fin dall’inizio, e dato che eravamo molto spesso solo noi due, si è stabilito un forte legame. Si è instaurato un rapporto molto saldo e profondo”.
    “La responsabilità con un tennista come Djokovic è del 200%, perché quando tocchi un atleta del genere, di così alto livello, in qualsiasi momento puoi essere a un secondo dal fargli male. Devi conoscere la sua anatomia e la tua professione, così come lui conosce il suo corpo. Era importante avere una vasta esperienza nel campo professionale e, inoltre, essere un po’ più a un livello alternativo e olistico. Ho studiato medicina cinese per molti anni. Questa mia esperienza in altri campi gli è stata di aiuto”.
    “Seguiamo un approccio olistico. Uniamo tutto in qualcosa di molto globale, corpo e mente, con un senso spirituale, non tanto di religione, visto che ne abbiamo una diversa. Questo ci rende due persone molto spirituali che meditano e con uno spazio per imparare. Restiamo da soli per molto tempo e creiamo una connessione senza parole. In effetti, lavoro molto in silenzio con lui”.
    È molto interessante il passaggio sul metodo di lavoro, che fa capire l’attenzione al dettaglio del n.1.
    “Inizia il giorno prima di un torneo o di una partita. Devo sapere come dormirà, tutte le cose di cui ha bisogno, preparare i suoi drink con gli elettroliti, cosa dovrebbe prendere la sera prima, la sua dieta… devo avere tutto questo controllo e quando arriva il giorno della partita gli chiedo come sta. È un lavoro di 24 ore con lui. Non posso passare quattro ore a curarlo e poi non andare a vederlo prima di giocare. Devo seguirlo in ogni momento, anche quando è seduto, per vedere qual è la sua postura, o per sapere quanta acqua ha bevuto o quanto ha mangiato, o se ha parlato a lungo con una persona al telefono, perché ogni minimo dettaglio può alterarlo in una partita. Quella è la parte esterna. Quando lo curo fisicamente, arriva la parte in cui devo lavorare a livello manuale con la terapia in modo che sia in condizioni ottimali. È una macchina, una Ferrari, come la chiamo io, e va sempre regolata al millimetro”.
    “La sua elasticità? A livello scientifico può essere qualcosa di strutturale e genetico, che i tuoi genitori o la tua famiglia possano già avere una base, ma la puoi modellare e migliorare con un intenso lavoro. Ricordo che nel 2017 mi chiese se secondo me andava bene continuare con quell’elasticità o non lavorarci tanto. Sono un fisioterapista che sottolinea l’importanza dello stretching e quanto sia fondamentale, perché fa la differenza quando il giocatore deve raggiungere una palla. Questa elasticità fa sì che Novak oggi abbia questo modo di giocare. Normalmente, facciamo allungamenti ed estensioni circa quattro volte al giorno”.
    Importante anche il rapporto tra stress e infortuni: “Ci sono studi che dimostrano che quando l’atleta sta in campo il contorno e la gente producono stress e lo sottopongono a continue tensioni, che spesso provocano lesioni muscolari a seconda dello stato psicologico di quella persona. Ecco perché lavoriamo a livello mentale, a livello propriocettivo (relativo alla propriocezione, alla percezione inconscia dei movimenti e alla posizione del corpo, indipendente dalla visione). Deve essere consapevole dei suoi muscoli, prendersi cura di se stesso e mangiare correttamente”.
    “È difficile definirlo come persona, è molto complesso. È molto intelligente, molto spirituale. Questo ci fa avere una connessione che io chiamo yin e yang, perché all’interno di ognuno c’è il bianco e il nero. Novak è una bravissima persona, molto sensibile, che percepisce tutti i dettagli. E non è mai soddisfatto, per questo è un campione”.
    La chiusura è sull’immagine del serbo, che secondo il suo fisioterapista è assai distorta dalla realtà.
    “Djokovic come il cattivo? È una visione ingiusta, e credo che questo lo sia non solo per lui, accada a tutti noi nella vita. Prima di vedere qualcuno come il cattivo nel film, guardati. Chi è esente dal peccato scagli la prima pietra. Si parla di una persona quando non la conosci e questo spesso ferisce, perché quando ti attaccano, la prendi sul personale. Ad ogni modo, visto che lo conosco molto bene, il fatto che spesso venga attaccato può trasformarsi anche essere qualcosa di favorevole perché può trasformarlo in forza. Impari da questo e non lo prendi come qualcosa di negativo, ma lo trasformi in positivo, in energia”.
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    Tartarini all’ATP: “Musetti non si deve complicare la vita con la tattica”

    Lorenzo Musetti a Milano

    Simone Tartarini è molto più di un coach per Lorenzo Musetti. È stato come un padre, uno zio, un confidente, un amico. Lo segue da 11 anni, fin da quando il piccolo Lorenzo si innamorò di questo sport con la racchetta. Tartarini l’ha guidato passo dopo passo, seguendo la sua crescita umana e sportiva, che l’ha portato a vincere l’Australian Open junior e poi fare l’ingresso, fragoroso, nel mondo del tennis Pro. Fragoroso sì, perché il suo tennis non lascia indifferenti. Nel 2021 il toscano ha entusiasmato molte volte: Acapulco, Lione, a Roland Garros, dove ha messo alle corde il n.1 del mondo Djokovic portandosi in vantaggio di due set a zero negli ottavi, prima di subire la rimonta del futuro campione del torneo. Poi un’estate più complicata, tra lo stop per la maturità, la preparazione per Wimbledon improvvisata su di un campo di calcio adattato al tennis, e il viaggio last minute alle Olimpiadi che ha un po’ complicato le cose. Ha passato un periodo non facile Lorenzo, sul piano personale, con una crisi di fiducia che in campo si è riflessa mortalmente. Sì, perché il tennis scorre per davvero nelle vene di Musetti, proprio come quel tatuaggio che ha sul braccio, un battito cardiaco con racchetta, segnale inequivocabile del suo amore totale per questo sport che gli sta dando tanto ma anche costando molto.
    Negli ultimi tornei autunnali si è rivisto un discreto Musetti, che soffre e sta in campo cercando di dare del suo meglio, anche se i fasti di inizio stagione sono lontani. Ieri all’Allianz Cloud di Milano ha messo in campo le ultime energie dopo una stagione lunga e faticosa, arrivando ad una vittoria contro Gaston che gli era quasi scappata via dopo averla sfiorata. Oggi con Korda si gioca l’accesso alle semifinali delle NextGen Finals, ma in palio c’è molto di più dall’anno prossimo. Per Tartarini, Musetti può essere un tennista da top10, uno di quelli più forti. Ma serve lavoro, applicazione, e meno confusione tattica. L’aver talento e tanti possibili schemi per vincere, a suo dire sta complicando le cose, perché oggi per salire in vetta serve un piano tattico più limpido, semplice, diretto.
    Il coach ne ha parlato nel Coach Corner dell’ATP, riportiamo alcuni passaggi del pensiero di Tartarini, che spazia anche su proprio rapporto con il talento 19enne.

    Quando Lorenzo era un ragazzo, lo portavi a guardare il tennis professionistico. Com’è adesso avere persone che vengono a guardarlo?Attualmente c’è grande interesse per i giovani perché in questo periodo ce ne sono davvero di molto bravi nell’ATP Tour. Carlos Alcaraz è il migliore. Rune è un altro giocatore molto, molto bravo. Korda lo stesso, come Brooksby. Credo che in ogni torneo in cui giocano Alcaraz, Korda o Lorenzo, molte persone siano interessate a seguire le partite perché possono scoprire nuovi giocatori. Ora la gente pensa che Auger-Aliassime e Shapovalov siano già vecchi anche se hanno solo 21, 22 anni! A Lorenzo tutto questo piace. Per lui è importante essere in fiducia quando gioca. Nella seconda parte della stagione qualche volta invece non lo era quando è sceso in campo.
    Perché è così importante la fiducia nel suo tennis?Lorenzo è un grande talento. Quando era più giovane, ogni volta che giocava a tennis faceva fin troppe palle corte e pallonetti. Quando aveva 12 anni, moltissimi colpi erano tagliati, palle corte, variazioni. Per me andava bene, ma ora è tutto completamente diverso. Per Lorenzo non è facile, in ogni partita deve cambiare la sua tattica. In una singola partita, ha quattro o cinque soluzioni, ma io voglio più stabilità invece di quattro o cinque alternative possibili. Non è facile quando Lorenzo cambia tutto ogni volta ad ogni punto. Lui ama giocare con varietà, ma ho detto a Lorenzo che deve seguire me al 70% e tenersi un 30% di creatività, non ci serve confusione sul piano tattico.
    Negli ultimi due mesi abbiamo lavorato solo su servizio e risposta. Ci stiamo focalizzando sulla seconda di servizio perché abbiamo bisogno di costruire una strategia più stabile. Stiamo lavorando sulla stessa situazione tattica, giocatore diverso, stessa situazione. Per me questo è importante.

    Lavori con Lorenzo da quando era un bambino, come è cambiato il vostro rapporto?
    La relazione tra di noi è sempre la stessa. Quando aveva 10 anni, io ero come un padre o uno zio, oggi siamo i migliori amici. Ha iniziato con me quando aveva solo 8 anni e ora ne ha 19. È un’enorme soddisfazione vedere cosa è diventato Lorenzo e spero che staremo insieme per tutta la sua carriera da pro, ma non so cosa accadrà in futuro. Lorenzo è un bravo ragazzo. Io credo che possa diventare un Top 10, c’è la possibilità, ma deve lavorare ogni giorno. Vedremo cosa accadrà nei prossimi due o tre anni, mi auguro che possa diventare uno dei migliori tennisti.
    È stato un anno emozionante, come stare sull’ottovolante?È stata una bellissima annata per Lorenzo. Nella prima parte, da gennaio a giugno fino a Roland Garros, abbiamo ottenuto i migliori risultati. Dopo gli ottimi tornei ad Acapulco e Miami, nel mese seguente sulla terra battuta Lorenzo ha giocato molto bene. Credo dia il suo meglio sulla terra rossa perché la sua tecnica lo fa esprimere al massimo. Ricordo la semifinale raggiunta a Lione contro Tsitsipas. Aveva vinto contro Korda, Auger-Aliassime e Bedene giocando in modo eccellente. Dopo Roland Garros, abbiamo avuto alcuni problemi perché Lorenzo si è dovuto fermare per quattro settimane per l’esame di maturità, era importante per lui terminare gli studi. Non ha giocato alcun torneo su erba, ci siamo potuti allenare solo su di un campo da calcio arrangiato a casa. Era tutto troppo diverso. Ha perso al primo turno a Wimbledon contro Hurkacz. L’altro problema è stato l’aver dovuto cambiare tutta la programmazione. Ora però va meglio. Ha giocato bene indoor ad Anversa. Con Gianluca Mager ha fatto un bel match e contro Jannik Sinner ha disputato un buon primo set. Anche contro Monfils a Vienna e poi a Parigi ha giocato un buon tennis. Ha perso quindi l’ultimo match contro Duckworth, ma ha avuto un problema quella mattina prima di scendere in campo. Si è svegliato e non riusciva a muovere la spalla. I mesi scorsi è andata meglio. Ora alle Intesa Sanpaolo NextGen Atp Finals terminiamo questa stagione. È stata lunga, ma è andata bene. LEGGI TUTTO

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    Holger Rune, pronto a sorprendere già a Milano

    Holger Rune, una delle stelle NextGen 2021

    Il silenzio della Allianz Cloud è squarciato dal boato sordo di un’impatto. Potente, secco. L’ingresso nella splendida Arena milanese in mattinata, poco prima dell’avvio delle NextGen ATP Finals 2021, è sonoro. Fragoroso. Dopo pochi metri l’occhio cade subito in campo, sul giocatore impegnato nell’allenamento pre partita. Quella pallata era di Holger Rune, il 2003 danese che sta arrivando molto velocemente nel tennis che conta. Passi da gigante per Rune, incluso il bel successo al Challenger di Bergamo lo scorso weekend. E basta tornare indietro di poche settimane per ricordare il suo esordio in uno Slam, a US Open. Non il catino più grande del nostro sport, non il rumoroso pubblico della “grande mela”, non il giocatore più dominante dell’epoca moderna, tal Novak Djokovic, l’hanno impressionato. Il giovane nordico è sceso in campo tosto, tostissimo. Fiducioso di vincere. E un set l’ha pure strappato al n.1, vinto col suo tennis, non per gentile concessione.
    Appena lo vedi, Rune ti appare compatto. Fisico impressionate per un 18enne, scolpito. Il suo stare in campo è altrettanto statuario. Esprime un misto di potenza ed equilibrio già a prima vista. Impatta anche la palla più semplice con un equilibrio dinamico notevole, proprio di chi è nato per questo sport. Un coordinato naturale che con lavoro e ottima scuola è cresciuto in fretta, molto in fretta.
    Scambia col sorriso, a basso ritmo, ma la palla esce divinamente dalle corde, ancor più netta col rovescio, un colpo compatto e preciso. Col diritto lavora di più con le gambe, e la palla è carica di un peso notevole.
    Proprio le gambe sono il segreto del suo gioco. Le ginocchia sono sempre leggermente piegate, pronte a scattare sulla palla e conferire forza. Ha una postura che ricorda un po’ Magnus Norman, soprattutto quando dalla posizione frontale apre di rovescio e cerca l’impatto, mai scoordinato, senza disperdere energia. Quando hai un tennis come il suo, ottimizzare ogni aspetto è decisivo. Infatti Rune è il classico tennista moderno, costruito per spingere e giocare con pressione, con ritmo, soverchiando il rivale con fisicità e intensità. Tira forte, e non tira a caso. Per la creatività passare oltre, qua c’è sostanza pura e un tennis ridotto all’osso.
    E Rune il tennis sembra proprio avercelo nel sangue, fin da piccolo, quando a soli 7 anni puntava i piedi con la mamma per esser portato al club di tennis nei weekend invece che ai compleanni degli amici. Ha raccontato che in famiglia un po’ tutti l’hanno sconsigliato di continuare col tennis, molto complicato, costoso, difficile. Incerto. Del resto i nordici sono gente pratica. Ma Holger non ha ascoltato nient’altro che quella voce che covava dentro di sé, e lo spingeva a correre dietro alla palla rincorrendo sogni di Wimbledon e dintorni.
    C’è molta curiosità alle Next Gen Finals per Alcaraz, un ciclone che rischia di portar via tutto e non solo qua a Milano. Per il tennis fantasioso e divertente di Lorenzo Musetti, per le geometrie ed eleganza di Korda, per la mano di Gaston. Ma occhio, perché il giovin Rune potrebbe sorprendere tutti.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Il Re è tornato e si è ripreso tutto

    Novak Djokovic , n.1 del mondo

    Deluso dalla sconfitta di New York, con il sogno Grande Slam svanito. Sparito nel nulla per diverse settimane, a ritrovare in famiglia quella serenità persa. Sicuramente con pochissima voglia di riprendere la racchetta in mano, “Non so quando tornerò”. Barricato sulle proprie convinzioni granitiche nel mare agitato della pandemia, senza alcuna intenzione di accettare i rigidi protocolli imposti a livello internazionale, soprattutto in Australia, con il premier dello stato di Victoria che lo attaccò direttamente “Non importa se sei il n.1 del mondo, le regole ci sono per tutti”. Tutto questo e moltissimo altro ha attraversato Novak Djokovic dopo la domenica “fatal” a Flushing Meadows. Tanto che c’era non poca curiosità nel rivederlo in campo a Bercy. Che ne sarà di lui? La pressione l’avrà schiacciato? Avrà staccato la spina, mollato la presa? Quelle lacrime versate in mondovisione nell’ultimo game della finale americana sono state una ferita insanabile? Alla fine, è sempre il campo che parla. E il campo ha parlato chiaro. Novak Nole Djokovic è sempre il n.1 del tennis.
    In finale s’è ritrovato di fronte il n.2, Daniil Medvedev, cresciuto a dismisura, pronto al sorpasso sul grande rivale dopo averlo bastonato nella Grande Mela. È pure partito così così il serbo, un po’ titubante, qualche errore. Ma quando nelle sue vene ha iniziato a scorrere di nuovo quell’adrenalina del Campione, beh, è salito di nuovo in cattedra. Palla dopo palla, accelerazione dopo accelerazione, angolo dopo angolo, e pure eccellenti discese a rete per sorprendere e strappare la ragnatela del rivale, il “Djoker” del tennis si è preso la partita. L’ultimo punto è stato da antologia, ma la realtà è che Djokovic con questa vittoria si è ripreso già tutto. Ha riaffermato di essere lui il vero leader, quello che quando vuole fa la voce grossa e vince. Anche contro l’avversario più forte e attrezzato. Una vendetta che sognava, consumata fredda come si conviene. Magra consolazione, ma utilissima a riaffermare il suo ruolo.
    Una dimostrazione di forza assoluta, che gli ha consentito nel torneo anche di chiudere per la settima volta la stagione da n.1. È un record assoluto, epocale, che insieme alla somma di settimane in cima al ranking (arriveranno presto a 350) ne fa indiscutibilmente il più forte. Che piaccia o no.
    Il 2022 vedrà di sicuro un’ulteriore crescita della generazione ex NextGen, con l’inserimento di altri più giovani, da Alcaraz al nostro Jannik Sinner. Medvedev sarà sempre più solido e consapevole, gli altri saranno più esperti e pronti a vincere finalmente uno Slam, da Zverev a Tsitsipas, e perché no anche il nostro Matteo nazionale se avrà la salute atletica dei Championship. Non ci dimentichiamo che nel 2021 Berrettini negli Slam è stato sconfitto da un infortunio in Australia e da Djokovic in tutti gli altri… Ci sarà molto da divertirsi, ma con una certezza: Djokovic sarà ancora l’uomo da battere. Vuole fortissimamente il 21esimo Slam, e chissà poi quanti altri ancora. La sua forza, la sua ossessione per diventare il GOAT indiscutibilmente lo trascinerà ancora avanti, di sicuro per tutto il 2022, e ne vedremo di sicuro delle belle.
    Resta il punto di domanda dell’Australia. Ancora la situazione è fluida, vedremo nelle prossime settimane che cosa deciderà il governo dello stato di Victoria, che ha il coltello dalla parte del manico. Ma anche se mai Djokovic decidesse di non volare down under e quindi iniziare la sua stagione in ritardo, sarà lì pronto, fresco, riposato, per vincere di nuovo gli Slam, continuare ad inanellare Masters 1000, macinare record su record.
    C’erano dubbi su Djokovic. La “botta” presa è stata la più forte in carriera. A Parigi ha dimostrato di averla già incassata, di esser già ripartito. A Torino cercherà di vincere ancora le Finals e diventare anche in questo splendido evento il più vincente di sempre. Un’altra pietra miliare, un altro volo verso quello trono sull’Olimpo del tennis moderno che già gli appartiene.
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    Berretteni giocherà nel 2022 il Rio Open in Brasile

    Matteo Berrettini, n.7 al mondo

    Dopo Acapulco, Rio de Janeiro. Matteo Berrettini sarà al via anche del torneo brasiliano, che andrà in scena al 12 al 20 febbraio 2022. La conferma viene dall’account Twitter ufficiale del torneo, che lancia la presenza dell’azzurro n.7 del mondo come Star dell’evento, insieme a Carlos Alcaraz, in rampa di lancio verso la zona altissima della classifica.
    Berrettini quindi dopo l’Australia ha optato per giocare in America Latina invece dei classici tornei indoor europei. Sarà una scelta azzeccata?
    Ecco il Tweet del Rio Open

    🚨 Vamos começar a montar o nosso line-up? Que tal um vice-campeão de Wimbledon e uma das maiores revelações do tênis mundial? 💪
    O italiano @MattBerrettini, número 7 do mundo, e o espanhol @alcarazcarlos03, que aos 18 anos já é top 40, estão confirmados no Rio Open 2022! pic.twitter.com/VPWjIHyFTy
    — Rio Open (@RioOpenOficial) November 5, 2021 LEGGI TUTTO

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    Il crollo di Alcaraz. Gaston: “Vivo per notti come questa”

    Carlos Alcaraz, crollato ieri sera

    Che sport strano il tennis. A volte quello che succede in campo sfugge ad ogni logica, perché i fattori che determinano i risultati e le prestazioni sono talmente complessi da potersi rimescolare all’improvviso, dando vita a situazioni imprevedibili. La parola chiave resta Situazione. Il tennis è uno sport di situazione per eccellenza, ogni fase di gioco è da leggere in quel preciso momento e contesto. Chiedere alla bizzarra partita di ieri sera a Bercy, con Alcaraz crollato nel secondo set di fronte al talento di Gaston.
    Due giorni fa tutti esaltavano la potenza e forza mentale di Carlos Alcaraz, impressionante contro Jannik Sinner. Granitico, tostissimo, lucido, potente e preciso dalla prima all’ultima palla. Un’intensità che ha demolito il tennis di pressione dell’azzurro.
    Ieri sera, tutto è cambiato. Alcaraz era addirittura in vantaggio per 5-0 nel secondo set, dopo aver perso il primo. Ha sbagliato un paio di palle comode, il classico calo di tensione figlio del forte vantaggio. È stato un attimo, ma è bastato a far scattare il “clic”. Si è spenta la luce. Il passaggio a vuoto è diventato un baratro. Gaston ha tirato fuori il suo talento, è stato lucido e tatticamente ineccepibile. Sostenuto dal pubblico ci ha creduto e in men che non si dica, rimonta fino al 7-5. Game Set Match. Alcaraz rispedito a casa.
    Niente di grave per l’iberico. Non ci dimentichiamo che stiamo parlato di un talento atletico e tecnico formidabile, ma sempre di un ragazzo del 2003. Ha bisogno di vivere sulla sua pelle anche momenti come questo, per crescere ulteriormente.
    È stato invece un sogno per Hugo, che così ha parlato dopo il match: “È stato incredibile. Onestamente, gioco a tennis per vivere notti come questa. Essere stato protagonista di una cosa del genere è semplicemente meraviglioso e non sarei stato in grado di vincere questa partita senza il pubblico. È stato impressionante il modo in cui mi hanno supportato, anche quando stavo attraversando momenti difficili. Adesso farò un bel massaggio e poi cercherò di dormire. Dovrò fare uno sforzo per organizzarmi, mangiare bene ed essere pronto a misurarmi con uno dei migliori al mondo (Medvedev nei quarti). Sarà un altro momento di vera felicità scendere in campo domani”.
    “È stato sorprendente quello che è successo stasera nel secondo set. Sullo 0-5 per lui ero arrivato, stavo già pensando al terzo set, ma ha commesso un paio di errori. Mi sono subito accorto che stava iniziando a perdere ritmo, quindi mi sono detto provaci. Mi sono concentrato sul rimettere più palle possibili, farlo giocare, cambiare altezza e velocità dei miei colpi per mandarlo ancor più fuori giri. Ero molto concentrato e ho approfittato dei suoi continui errori”.
    Analisi corretta, lucida, che spiega anche il motivo della sconfitto di Sinner di mercoledì. Quello visto vs. Jannik era un altro Alcaraz per continuità e profondità nella spinta, ma di sicuro un colpitore così “duro” lo puoi mettere in difficoltà proprio spezzandogli il ritmo, togliendogli velocità di palla e punti di riferimento; variando, portandolo a giocare in posizioni scomode, non consentendogli di accelerare appena possibile. In questi aspetti il tennis di Sinner è ancora indietro, e anche se quel tipo di gioco non è nelle sue corde (e non lo sarà mai pienamente), è importante che riesca anche a gestire delle fasi di gioco “diverse” dal suo forcing, cambiare totalmente ritmi e traiettorie con più sicurezza, per avere un piano B solido nelle fasi delle partite in cui con il suo pressing non riesce a sfondare l’avversario. Non facile da farsi, ma sarebbe un plus molto importante.
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    Tsitsipas: “Ho una infiammazione al gomito da diversi tornei”

    Stefanos Tsitsipas

    Stefanos Tsitsipas ha pubblicato una breve nota su Facebook, in cui informa i suoi fan sul proprio stato di salute dopo il ritiro di ieri al Masters 1000 di Bercy. È una delle rare occasioni in cui il greco esterna qualcosa riguardo alla propria condizione, visto che generalmente è molto riservato.
    Il problema al gomito che l’ha costretto a lasciare il torneo lo tormenta da qualche tempo. Dice di dover pensare alla propria salute prima di ogni altra cosa. Presenza alle Finals di Torino a rischio? Ne sapremo di più qualcosa la prossima settimana, intanto ecco qua il breve messaggio di Stefanos.
    “Il mio corpo può sopportare il dolore, ma la mia mente non riesce a sopportare il non competere. Gli infortuni sono i nostri migliori maestri di quanto amore abbiamo per uno sport, e ieri ho dovuto uscire da una partita a causa di un’infiammazione al gomito con cui ho a che fare da tempo.Ho gareggiato in silenzio per alcuni tornei finora e ho affrontato l’infortunio, ma a un certo punto è indispensabile dare priorità alla salute per avere longevità in questo sport che mi sta molto a cuore.Questo è qualcosa che non avevo ancora condiviso, ma poiché alcune persone si sono chiesti perché sono uscito a metà partita, questo è il motivo”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO