Novak Djokovic ammette che il tennis non è più la massima priorità nella sua vita ma anche che la sua voglia di competere e vincere non è sopita affatto. Tuttavia, nel momento in cui si renderà conto di non essere più competitivo per vincere uno Slam, allora il ritiro sarà automatico. Il serbo è stato protagonista nel bel programma “Success of the Champion”, condotto dall’ex calciatore e allenatore Slaven Bilic. In una lunga intervista con il connazionale si è soffermato su molti temi, sociali e politici, ribadendo quelle che sono al momento le sue priorità e prospettive. Questi alcuni passaggi significativi del suo pensiero.
“Il tennis è stato il fulcro della mia vita per trent’anni. È ciò che conosco meglio, ciò che so fare meglio” racconta Djokovic. “Ma quando sono diventato padre dieci anni fa, tutto è cambiato, in meglio. Ho ricevuto una nuova dose di motivazione. Sentivo di volere di più, di rendere mio figlio, mia moglie e, naturalmente, i miei genitori più felici. Diventare padre ha portato tutto a un nuovo livello e ho incanalato quell’energia nei miei risultati e nella mia carriera professionale. Mi ha dato le ali, e in seguito ho vissuto diversi anni fantastici. Poi mi sono infortunato e ho attraversato diverse fasi”.
Dopo tanti anni al vertice, segnando record assoluti, ora il focus è trovare un equilibrio tra la sua carriera sportiva e la sua vita privata, con la seconda sempre più importante. “Il tennis non è più la priorità assoluta nella mia vita, almeno non nella stessa misura di prima. Voglio essere un padre, un marito, voglio semplicemente recuperare ciò che ho sacrificato, perché davvero, forse la parola è un po’ dura, ma ho sacrificato tutto per molti anni. Non sono il tipo di persona che può giocare a tennis a livello professionistico solo per il gusto di farlo. Questo non sono io. Devo sentire di essere ancora a un livello in cui posso potenzialmente vincere un torneo del Grande Slam ed essere uno dei migliori. Nel momento in cui non sarà più così, giuro a me stesso che sarà la fine.”
Novak riavvolge il nastro dei ricordi, tornando ai difficili anni della sua giovinezza, quando nei Balcani c’era la guerra e tutto era molto difficile. “I miei genitori si sono conosciuti al Kapaonik e hanno avviato un’attività di ristorazione, ed è così che ci siamo guadagnati da vivere. Per caso, anche se non credo molto alle coincidenze, il destino ha fatto sì che tre campi da tennis venissero costruiti vicino al giardino del ristorante. Poi arrivò la guerra. Quando avevo dieci anni vivevamo a Belgrado. Passavamo da un appartamento a quel tempo, alla fine degli anni ’90, e a causa dei bombardamenti non avevamo un posto fisso dove stare. I miei hanno dovuto affrontare molte difficoltà e il tennis era uno sport incredibilmente costoso”. Il campione ricorda come suo padre una volta mise dieci marchi sul tavolo e disse che quello era tutto ciò che avevano: “In quel momento, qualcosa di simile a un istinto paterno si è risvegliato in me: sentivo che anche a 12 anni dovevo diventare adulto. Ho capito il suo messaggio. Troveremo i soldi, creeremo le condizioni, faremo in modo che accada, qualunque cosa accada. Se ora non c’è una strada chiara, la creeremo. Devi solo dirmi: sei pronto per questo?’”.
Ultimo pensiero per le Olimpiadi, il suo ultimo grandissimo successo, inseguito da tutta la vita. “Quando penso alle Olimpiadi dell’anno scorso, le mie mani iniziano a sudare e tremare. Ho tremato anche dopo le sconfitte subite in altri Giochi, perché quelle sono state le più grandi sconfitte della mia carriera, le più dolorose, le più emozionanti”.
Mario Cecchi