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Murray si racconta: “Essere allenatore è più difficile che giocare”

A poco più di un anno dal suo ritiro ufficiale dal tennis professionistico, Andy Murray è ancora una delle figure più influenti e rispettate nel mondo della racchetta. Dopo l’emozionante addio andato in scena sulla Centre Court di Wimbledon – il teatro che più di ogni altro ha segnato la sua carriera – lo scozzese non si è defilato dalla scena, scegliendo invece di restare nel circuito come allenatore. Il suo breve, ma intenso, percorso al fianco di Novak Djokovic si è però concluso recentemente, lasciando spazio a nuove riflessioni sul suo futuro e sul valore delle esperienze vissute.

In una lunga intervista concessa a “The Tennis Mentor”, Murray ha ripercorso alcuni momenti chiave della sua carriera, soffermandosi su lezioni di vita, rivalità con i Big 3 e nuove sfide personali. “Una delle cose che ti insegna il tennis è quanto sia duro, ma anche quante grandi lezioni sappia regalarti. Nella maggior parte delle settimane finisci per perdere un torneo. Anche i migliori, se giocano 20 tornei in una stagione e ne vincono cinque, è già una stagione fantastica. Le altre settimane finiscono sempre con una sconfitta,” ha raccontato.

Il ricordo più duro: la “lezione” di Federer
Fra i momenti più difficili della sua carriera, Murray non ha esitato a ricordare una finale delle ATP Finals all’O2 Arena di Londra, contro Roger Federer. “Non ricordo se fosse 6-0 5-0, sicuramente era 6-0 3-0 prima che vincessi il mio primo game, ma poteva essere anche 6-0 5-0. Lui giocava benissimo e io ero davvero fuori partita. È successo in casa, davanti a un pubblico immenso. Credo sia stata l’unica volta nella mia carriera in cui mi aspettavo di vincere e invece mi sono sentito umiliato,” ha ammesso lo scozzese.

L’esperienza da coach e le nuove sfide
Passare dal campo alla panchina, poi, non è stato affatto scontato: “Impari molto sulle tue debolezze. Per tanti ex giocatori, essere allenatori è molto diverso dal giocare. Era qualcosa che mi aspettavo. Quando lavori con un campione come Novak, probabilmente emergono sia i tuoi punti di forza che quelli di debolezza,” ha spiegato Murray.
“In particolare, la maggior parte degli ex giocatori tende a essere più debole sul piano tecnico. A volte Novak mi chiedeva dettagli molto tecnici, ma io non mi sentivo del tutto a mio agio. Insegnare la tecnica è un mestiere che appartiene di più agli allenatori che crescono i giovani talenti, mentre a certi livelli si interviene solo con piccoli cambiamenti qua e là.”

Guardando al futuro, Murray non esclude un ritorno in panchina, magari con una giovane promessa britannica. “Mi piacerebbe lavorare ancora come allenatore, ma dovrei migliorare la mia preparazione su certi aspetti. Vorrei imparare da chi è davvero bravo ad insegnare la tecnica ai ragazzi,” ha concluso, lasciando aperta la porta a una nuova avventura “dietro le quinte” nel mondo del tennis.

Francesco Paolo Villarico


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/


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