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    Trotman e la filosofia nell’allenare Draper: “Salute prima di tutto, ma ai giocatori va lasciato il tempo per riflettere e maturare”

    Draper con coach Trotman

    James Trotman non è tra i coach tennistici più noti, ma il suo ottimo lavoro insieme a Jack Draper l’ha portato in prima pagina e ascoltarlo è operazione tutt’altro che banale. Parole precise, chiare, scandite con la calma di chi è sicuro delle proprie idee e con fermezza le propone al suo assistito, lasciandogli il tempo per assimilarle e riflettere. Proprio la gestione del tempo per Trotman è un requisito decisivo a diventare un campione: tempo per impattare la palla con colpi incisivi e mai causali; tempo per comprendere cosa si è fatto bene e cosa non ha funzionato, in modo da analizzare a freddo ogni aspetto e trarre il meglio per crescere sia come tennista che come persona. Una filosofia non lontana da quella “sinneriana” se ci pensiamo bene e che sta sostenendo l’ascesa di Jack verso il vertice della disciplina. Intervistato dai colleghi del sito ATPtour.com, Trotman si è raccontato al pubblico, fornendo alcuni spunti di vero interesse sul proprio lavoro e su quello che è davvero importante per un tennista ambizioso.
    “Di solito non facciamo un’analisi della partita fino al giorno successivo, sia che vinciamo o perdiamo”, afferma Trotman all’indomani del successo di Draper contro Brooksby. “Mi piace dare a Jack dello spazio dopo il match per riflettere, per focalizzarsi un po’ i suoi pensieri piuttosto che dover reagire immediatamente. Penso che sia salutare per i giocatori riflettere sugli aspetti positivi e negativi del gioco con una prospettiva rilassata, e quindi esaminarli insieme.”
    “La mia filosofia è che Jack ha un modo di giocare che lo porta a concentrarsi innanzitutto sull’esecuzione dei suoi colpi. Fare il proprio gioco. All’interno di ciò, quali sono i due o tre aspetti tattici che potremmo implementare per aiutare la sua prestazione in rapporto all’avversario? Credo fermamente che il focus sia nell’eseguire bene gli impatti, la tecnica, questa è la base. Inoltre possiamo sviluppare alcune cose che potrebbero influenzare la partita e l’avversario”. Tecnica, imporre i propri punti di forza e quindi strategia per mettere in difficoltà l’avversario.
    Quest’approccio per così dire graduale, riflessivo e che necessita di tempo, deriva da difficile 2023 affrontato da Draper, vittima di continui stop per infortuni che hanno reso molto complicato lavorare. “Entrando nell’anno scorso, l’unico obiettivo era rimanere in forma e in salute”, continua Trotman. “Siamo arrivati ​​a un punto in cui non importava quanto sarebbe migliorato o cosa sarebbe diventato, il nostro obiettivo era semplicemente mantenerlo in salute. È difficile ritrovare la fiducia nel proprio corpo dopo aver sofferto così tanti problemi uno dietro l’altro. Non è qualcosa che accade da un giorno all’altro. È stata una lunga strada.” Il coach entra nel dettaglio: “Non si è trattato di un solo infortunio, ce ne sono stati tre o quattro di fila. Pensavo fosse importante tirare una riga: ‘Cosa facciamo ora, Jack? Chi sono le persone che ti metteremo intorno?’ Questo era il primo obiettivo. Si può anche fallire, ma se il fallimento arriva non deve esser perché non ci abbiamo provato con tutti i mezzi”.
    Trotman ha lavorato a lungo con la LTA (la Federtennis britannica), allenando alcuni dei giocatori di più alto livello emersi nel paese, tra cui l’ex numero 14 del mondo Kyle Edmund. I suoi anni passati in quella organizzazione hanno formato le sue competenze, insieme ai continui aggiornamenti che James ha messo a punto viaggiando e capendo nuovi metodi. Un lavoro che gli hanno permesso di costruire una base di supporto solida per Draper, assicurandogli non solo la ripresa del fisico e la messa “in sicurezza” contro i peggiori infortuni, ma di tornare in campo più forte che mai. Trotman ha aggiunto al team del n.1 britannico Shane Annun come fisioterapista e Matt Little come preparatore, entrambi con un passato a fianco di Andy Murray.
    Per quanto riguarda la filosofia dell’allenamento, Trotman crede che i giocatori debbano assumersi la responsabilità del proprio sviluppo e in questo è davvero vicino alla filosofia del “team Sinner”, col giocatore al centro di tutto. Sottolinea la flessibilità e l’adattabilità, adattando il suo approccio alle esigenze uniche di ciascun giocatore pur rimanendo fedele ai suoi principi fondamentali. “Penso che ogni persona sia diversa. La sfida più grande risiede nella persona stessa: ognuno ha punti di forza e di debolezza diversi. Ma penso che i migliori giocatori che ho incontrato siano i più resilienti nell’affrontare le avversità, nell’intraprendere un percorso e nel capire quale sia la loro visione e chi vogliono diventare. È ciò di cui ogni giocatore ha bisogno. Penso che dovrebbe esserci una certa flessibilità in entrambe le direzioni, senza compromettere le tue convinzioni fondamentali come allenatore o come giocatore. Esistono diversi modi per cercare di acquisire abilità e insegnarle al giocatore. Può essere fatto in modi diversi a seconda del giocatore e della sua volontà di imparare. Abbiamo un approccio di squadra, ma alla fine ciò che conta è ciò che è meglio per i giocatori. Il nostro compito è fare molti sacrifici per ciò che è meglio per loro”.
    Trotman racconta un fatto poco noto della giovinezza di Draper: è cresciuto piuttosto tardi e questo lo ha costretto a riadattare totalmente il suo modo di giocare. “Aveva un grande potenziale ma fino ai 15-16 anni era piccolo. Per questo è cresciuto dovendo competere costantemente contro giocatori più grandi, diventando un grande difensore e trovando modi per essere competitivo contro giocatori più potenti. Poi, all’improvviso, arriva la crescita e diventa 193 cm! Per questo tutto è cambiato, a partire dal servizio e dal modo di stare in campo. Ha iniziato un viaggio che l’ha trasformato in giocatore che cerca di imporre le proprie armi in campo e tirare così forte da… togliere la racchetta all’avversario“.
    I due lavorano insieme in modo esclusivo dal 2021 e il coach è molto soddisfatto del loro rapporto. “Sono molto fortunato ad avere l’opportunità di lavorare con Jack, di accompagnarlo in questo percorso. Andiamo meravigliosamente d’accordo, è fondamentale. Trascorrere così tanto tempo insieme in una situazione ad alta pressione, non necessariamente una situazione normale, potrebbe essere un problema ma il nostro rapporto è davvero buono. Possiamo ridere, avere i nostri spazi e conversazioni dure quando necessario, rispettando l’opinione dell’altro. Ci vuole tempo, bisogna costruire il rapporto e la fiducia. In definitiva, penso che Jack sappia che le decisioni che prendo o le mie opinioni si basano su ciò che è meglio per lui, non su ciò che è meglio per me. A volte potrebbe non piacere sentirsi dire certe cose, ma è chiaro che tutto è fatto con la giusta intenzione. Non dobbiamo sempre essere d’accordo, ma tutto si basa sulla fiducia e ci vuole tempo. Bisogna superare gli alti e bassi, restare uniti e trovare le migliori opportunità per Jack” conclude Trotman.
    Una bella scoperta il pensiero di Trotman. Equilibrio, focus su idee chiare e sul giocatore, mettendo Draper al centro a prendersi le sue responsabilità, insieme a scelte condivise. Jack è a un passo dalla top10, ma visto il suo potenziale sembra solo un primo passo verso una carriera di altissimo livello.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Shang Juncheng operato al piede

    Shang dopo l’operazione

    Sorridente, nonostante una grossa fasciatura alla gamba destra per proteggere il piede appena operato. Così il talento cinese Shang Juncheng si è mostrato in un post social dopo l’intervento chirurgico subito al piede destro, necessario a risolvere un infortunio subito in Australia.
    “Ciao a tutti, volevo solo condividere che ho avuto a che fare con un piccolo problema al piede dall’Australia”, ha scritto Shang su Instagram. “Dopo aver consultato il mio team e i dottori, abbiamo deciso che l’operazione era l’opzione migliore. Sono felice di dire che è stato un successo e non vedo l’ora di tornare in campo!”.

    Il ventenne, n.55 ATP, si era ritirato nel corso del suo match contro Davidovich Fokina agli Australian Open e non era più riuscito a giocare da allora. Davvero un avvio di 2025 sfortunato per “Jerry”, visto che era stato costretto a gettare la spugna nel corso della semifinale del primo torneo dell’anno a Hong Kong, opposto a Nei Nishikori.
    Shang lo scorso autunno ha vinto il primo torneo ATP in carriera a Chengdu (battendo in finale Lorenzo Musetti), diventando il primo tennista del suo paese capace di vincere un torneo in casa. Non possiamo che augurare a “Jerry” un pronto rientro.
    Mario Cecchi LEGGI TUTTO

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    Indian Wells: il nuovo “Shapo” può impensierire Alcaraz?

    Denis Shapovalov, campione a Dallas (foto ATP site)

    Il braccio più veloce e creativo del West contro l’uomo delle giocate più spericolate ed ardite. Il menù del match in Prime Time serale in quel di Indian Wells, Alcaraz vs. Shapovalov, ha un discreto fascino e sembra presentare tutti gli ingredienti per soddisfare i palati più esigenti, quelli di coloro che amano il tennis vario e fantasioso. Ma la vera domanda è quella del titolo: questo “nuovo” Shapovalov, meno sciupone e un po’ più focalizzato sull’importanza dei punti, sarà abbastanza per impensierire e magari provare a battere il n.3 del mondo, due volte campione in California? La risposta non è facile, e tendenzialmente si potrebbe così articolare: sì, a patto che Carlos ci metta del suo in negativo, a meno di un Denis in totale trance agonistica da sorprendere tutti. 
    C’è un precedente tra i due, Roland Garros 2023 e non ci fu letteralmente partita tra i due; ma il contesto era totalmente a favore dello spagnolo e il canadese era già in crisi al ginocchio, oltre che di risultati e fiducia, quindi quell’incontro non conta quasi niente. Le partite andate finora in scena a Indian Wells hanno confermato quanto la palla salti alto e sull’importanza della combinazione potenza – topspin. In questo caso, guardando ai due duellanti di stanotte, siamo in parità: entrambi non disdegnano affatto colpire la palla dall’alto, hanno un uso accentuato del topspin (ancor più Denis in scambio) per poi scagliare accelerazioni devastanti, e di potenza ne hanno da vendere. Alcaraz rispetto a Shapovalov gioca di più sull’anticipo, ama entrare duro nella palla quasi in contro balzo, sfruttando la straordinaria velocità di esecuzione e sensibilità che non gli preclude ogni soluzione tecnica. Shapovalov anticipa di meno, tende a saltare sulla palla con slanci importanti e caricare a tutta il suo braccione, trovando tanta di quella esuberanza da spaccare tutto. Spesso fin troppo… Gli errori infatti fioccano e tantissime volte l’hanno portato a disastrose sconfitte.
    Tuttavia da diverse settimane Denis è un tennista assai migliorato. Tornato in eccellente condizione fisica, “Shapo” sta finalmente imparando a capire di più il gioco, in senso dell’attesa per trovare il momento ideale a scatenare il turbo e prendersi il rischio. Coach Tipsarevic è forse – finalmente – riuscito a toccare le corde più profonde e adesso “Shapo” vive di vibrazioni più Jazz che Heavy Metal… Resta un super creativo, uno che tira forte e si prende il punto, ma sbaglia molto di meno e ha ridotto quella fretta che è sempre stata una scomoda compagna di viaggio. Vive meglio la pressione e serve molto, molto bene. In queste settimane di 2025 ha ottenuto la miglior striscia di vittorie in carriera, venendo dal titolo a Belgrado sul finire dell’anno scorso. Un buon momento insomma, e scenderà in campo assolutamente senza niente da perdere. Anzi, lo stadio pieno e l’avversario forte potrebbe portarlo ad esaltarsi e giocare il suo miglior tennis.
    Dove Shapovalov può incidere contro Alcaraz? Intanto dovrà servire come un treno, prendersi diversi punti diretti sarà decisivo. Al contrario, se la prima palla non farà male e sarà la risposta di Carlos a brillare, difficile ipotizzare un match equilibrato. “Shapo” potrà sfruttare bene il suo gancio mancino bloccando Carlos sul rovescio e quindi appena lo spagnolo proverà ad uscire col lungo linea Denis avrà la chance di azionare quella bordata di rovescio cross che diventa imprendibile per tutti. Ultimamente il canadese è assai proiettato a rete: può essere un’arma a doppio taglio se gli approcci non saranno abbastanza ficcanti perché il lob e passante dello spagnolo sono tra i migliori del tour. La partita potrebbe svolgersi su di un attacco frontale, a massima velocità, come su continui cambi di ritmo e variazioni, ed è per questo che potrebbe diventare molto intrigante.
    La sensazione è che Shapovalov possa mettere in difficoltà Alcaraz solo se, servendo bene e sbagliando poco, riuscirà a mettere pressione al rivale. Da tempo il più giovane n.1 dell’era moderna ha mostrato qualche difficoltà a gestire la tensione dei momenti in cui viene messo sotto o quando suoi colpi non riescono portarlo avanti. Nello scenario più positivo per Denis, Carlos potrebbe regalare qualcosa, andare in confusione tattica provando giocate a bassa percentuale e commettere troppi errori. Ma pare difficile che collassi da solo, servirà la “spintarella” di Shapovalov e tutto o quasi dovrà funzionare nel suo tennis per riuscirci, o almeno provarci. Chiaramente se i colpi di inizio gioco di Carlos funzioneranno a dovere e sarà lui il primo entrare in campo con i piedi e condurre, beh, potrebbe arrivare una vittoria netta per lo spagnolo.
    La partita potrebbe riservare sorprese tecniche, ed uno svolgimento irregolare dipendente dal “mood” e tenuta mentale dei due. Probabile che molti saranno i punti vincenti e spettacolari. Probabile che Alcaraz esca vincitore ma, in caso di partita divertente, sarà soloil tennis a vincere.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Sinner a cena con Thiem. Che sia Dominic il compagno di allenamenti di Jannik nelle prossime settimane?

    Jannik Sinner a cena con i fratelli Thiem

    Una foto social accende la fantasia e forse potrebbe essere un indizio sulle prossime settimane di Jannik Sinner. Il n.1 del mondo, attualmente sospeso dall’attività Pro dopo l’accordo con la WADA che ha chiuso il “caso Clostebol”, è stato immortalato in una cena insieme a Dominic Thiem e al fratello dell’austriaco Moritz in quel di Monte Carlo. Una foto scattata ieri sera e condivisa in una storia Instagram da Stefan Herzog, che insieme a Thiem ha investito in una società di energia rinnovabile.
    Non ci sono altre informazioni in merito, ma chissà che Dominic, da poco ritirato, non possa essere un partner ideale per Jannik nelle prossime settimane, visto che l’azzurro dovrà allenarsi con non tesserati fino al 13 aprile. Thiem potrebbe rappresentare uno sparring di qualità, ancor più per preparare il rientro alle competizioni previsto per il Masters 1000 di Roma, su terra battuta. Ripetiamo che, al momento, questa è solo una ipotesi, una suggestione dettata dalla foto. Potrebbe esser stata anche solo una cena tra amici, senza alcun risvolto “tecnico”.

    Jannik Sinner and Dominic Thiem having dinner together in Monte Carlo
    ❤ pic.twitter.com/c71CwvfiXS
    — The Tennis Letter (@TheTennisLetter) March 7, 2025

    Non resta che attendere eventuali comunicazioni da Sinner, che ancora non ha fatto sapere dove passerà le prossime settimane di allenamento in attesa del “disco verde” a metà aprile che gli consentirà di nuovo di frequentare strutture affiliate e altri tennisti Pro.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Addio a Fred Stolle, leggenda del tennis australiano

    Fred Stolle con la coppa di Roland Garros, insieme a Tony Roche (foto ATP site)

    Il tennis australiano e internazionale piange la scomparsa di Fred Stolle, uno dei giocatori che resero il tennis “Green and Gold” leggendario a cavallo tra anni ’60 e ’70 insieme ai connazionali Laver, Rosewall, Newcombe, Roche, Emerson e via dicendo. Aveva 86 anni. In carriera vinse due titoli dello Slam in singolare (Roland Garros e US Open) e ben 17 titoli in doppio, che lo resero forse il più forte in assoluto nella specialità nella sua epoca, nella quale tutti i migliori (o quasi) partecipavano anche in doppio nei tornei dello Slam e maggiori eventi del tour. È entrato nella storia dei giocatori capaci di raggiungere la finale in tutti gli Slam, perdendone ben sei e tre consecutive a Wimbledon (1963 -1965). Grande Davisman, fu decisivo in tre successi per la sua squadra nazionale (1964-1966), per poi passare prima all’allenamento (tra gli altri ha seguito Vitas Gerulaitis) e quindi al microfono, dove per molti anni è stato apprezzata voce di Channel Nine, uno dei più importanti network australiani, e poi anche per CBS e Fox Sports in America. Ricordando sua lunghissima carriera, terminata nei primissimi anni ’80, Stolle teneva soprattutto alle vittorie in Davis, “Giocare e vincere per l’Australia ha significato tutto per me”.
    Crebbe a Hornsby, sulla costa settentrionale di Sydney, e il suo primo assaggio della Coppa Davis avvenne quando fu selezionato come raccattapalle durante la partita del 1951 tra Italia e Stati Uniti a White City. Fu una folgorazione: il tennis divenne il suo scopo di vita, tanto da abbandonare il cricket e il rugby, sport nei quali era parimenti promettente. In quell’epoca il tennis australiano vantava grandi tennisti, così che la sua famiglia riuscì a raccogliere i fondi necessari alla sua formazione e viaggi all’estero per completare la sua crescita tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60. Vista la sua altezza (191 cm), Stolle dominava al servizio, bravissimo ad imprimere ogni tipo di effetto, ed era rapidissimo nello scendere a rete dove sapeva toccare la palla con maestria. Passarlo era faccenda molto complicata, anche per i migliori avversari.
    Nel 1963 raggiunse la finale in singolare e a Wimbledon al termine di uno tornei giocato da campione, ma fu sconfitto dall’americano Chuck McKinley. Arrivò al match per il titolo a Londra anche nei due anni successivi, battuto in entrambe le occasioni da Roy Emerson. La sua serie di sconfitte in finali Slam continuò anche a US Open 1964 e poi Australian Open 1965, tanto che su Stolle aleggiava una scomoda aura da “perdente” nelle partite decisive. Lui stesso dubitò di farcela, ma finalmente l’incantesimo si spezzò a Roland Garros 1965, con il primo titolo Slam battendo il connazionale Tony Roche in finale. Fred vinse il suo secondo Major a US Open nel 1966, superando in finale John Newcombe in quattro set, un successo che lo portò sul trono nel tennis maschile per la prima volta (ancora non c’era una classifica calcolata al computer). A New York nell’anno del suo successo era non nemmeno testa di serie, tanto che il cronista di Sport Illustrated Frank Deford attribuì la sua vittoria alla sua maestria nel “lob e smash”. In effetti Stolle sulla rete era tra i migliori e il suo tennis non difettava di sensibilità.
    Alla fine del 1966 Stolle divenne professionista. Con l’avvento dell’Era Open (1968) Fred raggiunse altri quattro quarti di finali in tornei Slam e continuò a giocare per tutti gli anni ’70 con risultati solo discreti, splendendo invece in doppio. La sua ultima partita ufficiale in singolo fu nel novembre 1982 a Baltimora, quattro anni dopo la sua ultima apparizione in singolo in uno Slam (Wimbledon 1978).
    Grandissimo amico di Roy Emerson, dai connazionali in Davis gli fu affibbiato il soprannome di “Fiery” (ossia infuocato), ma era un nomignolo del tutto ironico per stigmatizzare la sua proverbiale lentezza nell’avviare l’attività al mattino e una certa tranquillità negli allenamenti, a dispetto del furore agonistico di molti suoi colleghi. Stolle non se la prese mai, forte di uno spiccato senso dell’umorismo e voglia di vivere la vita con serenità e allegria. In un commento scrisse che “per alcuni il campo da tennis era come un ring di pugilato, ma non per me, l’ho sempre visto come un palco”.
    Suo figlio Sandon divenne un professionista, con una buona carriera in doppio. I più giovani lo ricordano come commentatore, sempre pronto a chiare analisi del gioco e spesso anche critiche pungenti, ma garbate e mai sopra le righe. Era un uomo di classe, in campo e fuori. Dopo Neale Fraser, scomparso lo scorso dicembre, un altro grande del tennis australiano ci lascia. Rod Laver ha scritto un post in ricordo del connazionale e amico. “Come ho scritto nel mio libro sull’epoca d’oro del tennis australiano, Fred Stolle era un tipo troppo gentile per serbare rancore. Ci voleva il migliore per battere il migliore. Non ci siamo mai stancati di rivivere il passato mentre viaggiavamo per il mondo guardando al futuro con un amore duraturo per lo sport”.

    As I wrote in my book on the Golden Era of Aussie tennis, Fred Stolle was too nice a guy to hold a grudge. He won many Grand Slams and was in the finals of many more. It took the best to beat the best. We never tired of reliving the past as we travelled the world looking into the… pic.twitter.com/yTkdrRvEPZ
    — Rod Laver (@rodlaver) March 6, 2025

    Questo il ricordo di Craig Tiley, CEO di Tennis Australia: “”Quando parliamo dell’epoca d’oro dell’Australia e del passaggio dal dilettantismo al professionismo, il nome di Stolle è lì con i migliori. Membro di spicco della squadra australiana di Coppa Davis, Fred ha dato un contributo significativo allo sport dopo la sua carriera decorata, come allenatore e arguto commentatore. La sua eredità è fatta di eccellenza, dedizione e profondo amore per il tennis. Il suo impatto sullo sport sarà ricordato e amato da tutti coloro che hanno avuto il privilegio di assistere al suo contributo”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Nardi da Indian Wells: “Questo è un posto speciale per me. Ho cambiato il bilanciamento della racchetta, così servo meglio”

    Luca Nardi, al best ranking in classifica (n.67 – Foto ATPsite)

    Quando si torna in un posto dove è successo qualcosa di magico, dove si è stati bene, è impossibile non rivivere nella memoria quei momenti. Così Luca Nardi, tornato a Indian Wells un anno dopo il clamoroso successo sull’allora n.1 del mondo Novak Djokovic, varcando la soglia del Centrale ha rivisto come in film quella partita che l’ha reso celebre in tutto il mondo. Il marchigiano infatti, a dispetto di un talento tecnico straordinario, non era fin lì riuscito a farsi notare al grandissimo pubblico internazionale, un po’ bloccato in una sorta di limbo tra il grande tennis e il Challenger tour, dove ha raccolto buoni risultati ma senza quella continuità necessaria a spiccare il volo. Da allora è passato un anno, non c’è più coach Galimberti nel suo angolo e gli alti e bassi sono continuati. Da qualche settimana però Luca sembra aver trovato nuova spinta, schemi più razionali e solidi a sostenere quella sua straordinaria facilità di impatto che gli consente di fare quel che vuole con la palla. L’azzurro esordirà nella notte italiana al Masters 1000 californiano contro l’ex top 10 Cameron Norrie, match ricco di insidie visto che il britannico, seppur sceso nel ranking, resta un tennista che può darti molto fastidio con il suo poco ritmo, schemi mancini e attacchi ripetuti. Interpellato dal sito ATP, Nardi così ha ricordato quella vittoria su Djokovic e si è soffermato anche su di un importante cambiamento nella sua attrezzatura.
    “Non appena sono arrivato, ho iniziato a provare delle emozioni molto belle” racconta Nardi. “È una sensazione speciale tornare qui. Di solito non sono Luca Nardi. Sono il ragazzo che ha battuto Novak Djokovic. Forse non sanno il nome, ma sono il ragazzo che ha battuto Djokovic”, sorride. Quel successo contro il suo idolo, di cui aveva il post in camera, non lo potrà mai dimenticare, come la sensazione al momento di servire per chiudere la partita… “Sul match point ho pensato che avrei potuto fare un doppio fallo, cosa che faccio di solito”, afferma Luca, accennando un sorriso. “E invece ho tirato un Ace! È stato qualcosa di pazzesco, andare a rete a stringergli la mano, consapevole che avevo vinto io, e lui, il migliore, aveva perso… è stato qualcosa che non avrei mai potuto immaginare. È stato un momento molto bello”.
    Dopo quella vittoria sorprendente e grandissima Nardi vinse al Challenger di Napoli, ma dopo Monte Carlo arrivò un momento nero, senza due vittorie di fila fino a settembre. “In realtà, dopo quella partita il mio gioco non è stato così buono“, racconta Nardi. “Ma alla fine dell’anno e negli ultimi mesi, di sicuro ho giocato meglio. Lo dimostra la mia scalata nella classifica”. Nardi ha vinto il Challenger di Rovereto lo scorso autunno e quindi ha raggiunto la finale qualche settimana fa, sempre a livello Challenger, a Coblenza (Germania), fino alla splendida cavalcata di Dubai dove da lucky loser è arrivato nei quarti di finale, attestandosi al proprio best ranking di n.67.
    Un ottimo momento per il pesarese, figlio anche di un aggiustamento del telaio: “Ho cambiato il set up della mia racchetta nelle ultime due settimane, quindi non molto tempo fa. È la stessa racchetta, ma ho fatto qualche modifica nel bilanciamento e mi sta aiutando molto. Sto servendo un po’ meglio“.
    “Qua è un posto in cui ho giocato un buon tennis, quindi penso di poter ottenere un buon risultato anche quest’anno. Non vedo l’ora di giocare” conclude Luca. In caso di vittoria contro Norrie (il britannico ha vinto l’unico precedente a Roma 2022), Nardi troverà Jiri Lehecka al secondo turno, un rivale molto ostico su questi campi. Ma è sempre meglio andare un passo per volta. Ancor più se ti chiami Luca Nardi, hai un grandissimo talento ma sei ancora a caccia di continuità di gioco e risultati.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Arthur Bouquier minacciato via social da uno scommettitore prima del match odierno: “Ho puntato 2000 euro su di te. Se perdi ti darò la caccia”

    Arthur Bouquier, n.225 ATP

    Arthur Bouquier ha diffuso un gravissimo messaggio di minacce ricevuto via social da uno sconosciuto scommettitore, taggando anche la ITF per dare maggiore visibilità a una problematica che coinvolge molti giocatori, e da molto tempo. Il 24enne di Lons le saunier, attualmente al n.225 ATP (intorno al proprio best ranking) è impegnato questa settimana al Thionville Open, torneo Challenger che si disputa in Francia, con un match in programma per la giornata odierna contro il qualificato tedesco Florian Broska (n.522). Bouquier ha mostrato via social un bruttissimo e minaccioso messaggio ricevuto da un scommettitore, che lo intima a vincere l’incontro – sul quale questo personaggio ha effettuato una puntata “pesante” – pena doversela vedere con lui, o addirittura rischiare la morte.
    Non vale neanche la pena riportare la traduzione dell’intero messaggio, ma come riportato dal cronista de L’Equipe Quentin Moynet, questi i passaggi salienti e più gravi delle parole scritte dallo squilibrato e inviate al tennista: “Scommetto 2.000 euro su di te (…) Se perdi, darò la caccia a te o alla tua famiglia solo per farti del male, anche se questo significa andare in prigione (…) Ti ucciderò”.

    Arthur Bouquier menacé de mort par un parieur avant son match au Challenger de Thionville cet après-midi…
    “J’ai misé 2000 euros sur toi (…) Si tu perds, je te traquerai, toi ou ta famille juste pour te faire du mal, quitte à aller en prison (…) Je te ferai la peau.” pic.twitter.com/XSYeCk021A
    — Quentin Moynet (@QuentinMoynet) March 4, 2025

    Una situazione inaccettabile, che non può essere tollerata. Chissà con quale concentrazione e serenità il povero Arthur scenderà in campo per la sua partita dopo aver visto una porcheria del genere.
    L’ITF ha lanciato nei mesi scorsi “Threat Matrix”, un’azione a tutela dei giocatori contro abusi del genere, e ci auguriamo che questo soggetto possa essere individuato e punito come merita. La speranza è che quest’iniziativa promossa da alcuni dei più importanti soggetti nel mondo del tennis venga condivisa da tutti (al momento la ATP ne è fuori) e possa aiutare ad arginare il pericoloso fenomeno degli abusi via social e anche degli abusi provocati dalle scommesse, piaga sociale e non solo tennistica.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Larry Ellison, il “guru” di Indian Wells

    Larry Ellison con Novak Djokovic

    Come è possibile passare in una manciata di anni dall’orlo della bancarotta e cancellazione dal calendario ATP (o almeno deciso declassamento) a torneo più ricco, meglio organizzato e pluripremiato della stagione tennistica? Beh, un colpo di genio, o di fortuna. O meglio ancora, la combinazione delle due cose. Ogni sogno è diventato realtà in quel di Indian Wells grazie alla visione e “billions” del proprietario del Masters 1000 californiano, Larry Ellison, uno degli uomini più ricchi del mondo e grandissimo appassionato di tennis. Il “guru” dell’informatica, da sempre amante del nostro sport, decise nel 2009 di rilevare il torneo californiano dopo averlo inizialmente sostenuto da lontano in una complessa operazione di salvataggio. Da lì in avanti qualche anno di consolidamento e quindi via a progetti faraonici di ampliamento e miglioramenti continui, fino all’attuale definizione di “Tennis Paradise” che è tanto marketing ma ha anche del vero, vista la straordinaria accoglienza e qualità dei servizi riservati a giocatori e pubblico, migliaia di appassionati che ogni fine inverno arrivano in quest’oasi nel deserto e si lasciano cullare da mille opportunità di svago e tennis di primissima qualità.

    Un po’ di storia
    Il torneo di Indian Wells nacque grazie agli sforzi di due ex Pro, Charlie Pasarell e Raymond Moore. Tra il 1974 e il 1976 non figurava nella stagione tennistica ufficiale, entrando nel Grand Prix Tennis Tour nel 1977. Il primo campione fu Brian Gottfried e il suo albo d’oro vanta quasi tutti i più grandi nella storia del gioco (eccetto Borg e McEnroe, fatto questo assai curioso). Ci furono anche degli spostamenti di sede, fino a stabilirsi nell’area attuale, la Coachella Valley nei pressi di Palm Springs (a 201 km da Los Angeles). Negli anni il torneo crebbe moltissimo come notorietà e valore, restando sempre appena dietro a Key Biscayne (all’epoca considerato il “quinto Slam”) e vivendo alti e bassi e livello economico. Nel 2000 si decise di costruire da zero l’Indian Wells Tennis Garden per rinnovare le strutture, con la visione di diventare un punto di riferimento del tennis nel nuovo millennio, forte anche dei finanziamenti di Mark McCormack. La creazione del primo stadio fu stupefacente, ma negli anni il peso degli investimenti e qualche problema con alcuni sponsor statunitensi dopo il boicottaggio delle sorelle Williams misero il torneo in grande difficoltà. Quella faccenda esplose su tutti i media nazionali e la immagine dell’evento non ne uscì all’epoca benissimo. Le due Williams avrebbero dovuto giocare una contro l’altra la semifinale nel 2001, ma Venus si ritirò a causa di un infortunio non meglio precisato. Uscirono pesanti speculazioni di una scelta di comodo, di papà Richard che avrebbe deciso per mandare avanti Serena; la folla nel corso della finale fischiò ripetutamente Serena, sia durate il gioco che nel corso della premiazione, dopo aver trionfato. Nove giorni dopo, mentre partecipava al torneo di Miami, Richard Williams dichiarò senza mezzi termini di esser stato assalito verbalmente mentre era sugli spalti con Venus ad assistere la finale, “qualcuno mi urlò che mi avrebbero scuoiato vivo”. Il direttore del torneo di Indian Wells Charlie Pasarell affermò molto amareggiato “Mi sono sentito in imbarazzo quando è successo tutto quello che è successo. È stato ingiusto che la folla facesse una cosa del genere”. Serena e Venus disertarono il torneo fino al 2015, quando il nuovo capo Ellison chiamò di persona le due, convincendole a tornare.
    Oltre a questo episodio il torneo visse un momento di gravissima crisi economica tra 2006 e 2007: alcuni importanti sponsor non rinnovarono il proprio contratto tanto che Indian Wells arrivò ad un passo dal perdere la data poiché non era assicurata la copertura finanziaria triennale necessaria al rinnovo con l’ATP. E c’era dell’altro a minacciare fortemente Indian Wells. Dall’altro lato del deserto c’era l’uomo più ricco del mondo all’epoca, il magnate della telefonia messicana Carlos Slim, che spingeva per portare l’allora Master Series nella incantevole baia di Acapulco, all’interno di un faraonico progetto di rilancio dello sport e dell’entertainment messicano insieme ad investimenti notevoli in un nuovo complesso sportivo – alberghiero di lusso. Numeri da capogiro, un progetto molto ben realizzato e la curiosità da parte dell’ATP di esplorare un mercato potenzialmente enorme, mentre il tennis a stelle e strisce iniziava la discesa con la chiusura dell’epopea di Sampras e Agassi. Nell’ambiente finanziario si parlava di accordo già fatto, la firma del passaggio di data come cosa fatta e Indian Wells declassato ad ATP 250 dal 2008. Quando le bottiglie di Champagne negli uffici della Telmex di Slim erano già pronte sul tavolo, Passarell con un colpo di coda ottenne una nuova copertura finanziaria che fece saltare in extremis l’accordo e il torneo restò ad Indian Wells, con grave smacco per i messicani che minacciarono anche le vie legali per vederci chiaro. Chi c’era dietro a questo rilancio?
    Non è mai stato chiarito, ma visto che nel 2009 Larry Ellison divenne ufficialmente il proprietario del torneo, è facile pensare che già all’epoca il suo intervento possa esser stato decisivo. Ma chi è questo signore sorridente che ogni anno non si perde un match di cartello sul centrale del suo torneo, dialogando spesso e volentieri nel suo box in primissima fila con gente come Federer, Agassi, Djokovic e via dicendo? Ellison non è noto al grande pubblico come i magnati della finanza o gli inventori delle nuove aziende hi-tech che oggi dominano il mercato, come Bill Gates e via dicendo, ma è da anni uno dei personaggi più influenti al mondo, grazie alla sua visione e prodotti rivoluzionari. La sua è la classica storia americana, di uno che si è fatto da solo partendo dai bassifondi.

    Ellison, la rivoluzione nella gestione di dati a database
    Nato nel 1944 nel Bronx, per Forbes nel 2024 è il quinto uomo più ricco del mondo con un patrimonio stimato di 141 miliardi di dollari. La sua creatura è Oracle, impresa con oltre 140mila dipendenti in tutto il mondo, meno visibile di Apple, Microsoft, Google, Amazon e tutte le varie big-tech che dominano il mercato, ma se pagate con una carta di credito, prenotate un volo o un hotel, o cercate qualche servizio di vario genere, al 99% anche se non lo sapete state usando un database o sistema creato, affinato e venduto proprio da Ellison. Ne ha fatta davvero tanta di strada questo genio della matematica, figlio di una ragazza madre e adottato da piccolo. E pensare che la sua famiglia lo considerava un sorta di perditempo, tanto da spingerlo a non insistere per lo studio; ma il giovane Larry non abbandonò mai la sua passione e clamorosa intuizione per la matematica ed i sistemi, diventando la sua fortuna.
    Lasciati gli studi universitari dopo un solo semestre, scommette su se stesso recandosi in California, ambiente più stimolante e non basato sull’industria ed economia tradizionale. Ellison non era interessato ad un lavoro tradizionale, una scrivania e una famiglia; lui vedeva avanti e voleva studiare il mondo, capire come poter applicare la sua intuizione e convinzione che con i numeri si potesse costruire un sistema per fare cose strabilianti. Per diversi anni passa da un’azienda all’altra lavorando come tecnico e facendo esperienza, i semi per la nascita di una impresa tutta sua. Rivoluzionaria. “I manager erano burocrati conformisti, riluttanti a prendere decisioni, paralizzati dalla paura di sbagliare. Con mia sorpresa mi resi conto che ero migliore di loro nello scegliere la strada giusta e risolvere problemi” racconta Ellison a Matthew Symonds, autore del libro Softwar. An Intimate Portrait of Larry Ellison and Oracle. La svolta arriva ne, 1977: Larry lavora per una azienda che raccoglie milioni di dati, ma non riesce a trovare un modo per organizzarli in modo efficace. Siamo all’alba dei computer, e qua Ellison prende la palla al balzo, convincendo due colleghi a seguirlo nella sua visione, quella di creare una nuova azienda per fare consulenza sull’archiviazione e gestione dei dati attraverso un software nuovo e mai visto prima.
    Ellison inizialmente aveva pensato ad una gestione dei dati, ma la mole di lavoro era impossibile da sopportare con mezzi tradizionali, quindi da una esigenza nasce la risposta, e la rivoluzione: creare una software che faccia lavorare di meno, e guadagnare di più. “Avevamo un sacco di richieste, ma per soddisfarle stavamo in ufficio 11 ore al giorno, 7 giorni su 7. Così ho deciso di lasciar perdere la consulenza per dedicarmi ai software, molto più vantaggioso perché un programma si crea e poi si continua a vendere” affermò Ellison. Spinse tutte le sue idee e risorse per creare un nuovo sistema per archiviare i dati dei database, più rapido e soprattutto con chiavi di ricerca e gestione più efficaci. A quell’epoca non esisteva un sistema soddisfacente e per questo l’avvento del suo nuovo software cambiò le regole del gioco, un sistema che memorizza i dati sia logicamente, sotto forma di tablespace, sia fisicamente, sotto forma di file (datafile). Era appena nato Oracle. “Il prodotto doveva avere velocità e affidabilità, questi i punti di forza. Puntammo a un mercato non appetibile per IBM (il gigante dell’epoca, ndr) e che fosse rischioso: così avremmo avuto meno competitor” continua Ellison. Rischio alto, ma altissimo il rendimento perché nessuno ha un prodotto così, tanto che tutti si interessano a questo sistema di archiviazione e gestione dati, addirittura la CIA. Quella collaborazione nacque per un colpo di genio e fortuna, visto che uno dei soci di Ellison era conosciuto dal responsabile acquisti dell’Agenzia dell’Intelligence degli USA.

    Dalla CIA al… mondo
    Aver suscitato l’interesse della CIA fu una mossa commerciale straordinaria, in brevissimo tempo il passaparola portò Oracle sulla bocca di tutti, grandi aziende comprese, ma c’era un enorme punto di domanda: lo sviluppo e vendita richiedevano cash, un flusso costante di denaro che… mancava, poiché per vendere il prodotto stesso i pagamenti all’inizio erano stati dilazionati nel tempo, in modo che i clienti potessero provare il sistema e assicurarsi della sua bontà. Casse vuote. La scommessa di Ellison fu lavorare senza guadagnare un dollaro, per diverso tempo, e con lui i migliori collaboratori, con l’impegno di premiarli in modo più che soddisfacente nel breve periodo. Altro scoglio per Oracle era garantire la massima compatibilità con i vari sistemi informatici: nel 1980 non eravamo come oggi adagiati su un paio di sistemi operativi, c’era un mercato in continua evoluzione. Ellison gira come un matto per tutte le case software in modo da studiare i vari prodotti e far sì che il suo gioiello possa funzionare senza intoppi. Alti e bassi, ma alla lunga possiamo affermare che ha vinto lui.
    Dopo l’enorme interesse iniziale, la crescita fu importante ma non così immediata come lo stesso Ellison si aspettava. Importanti aziende informatiche consideravano Lary e i suoi prodotti come “inutili”, forse temendolo… Infatti Oracle rispetto agli USA ebbe un impatto superiore in Europa, dove c’era un approccio al cliente meno basato sul guadagno a breve termine, e si cercava soprattutto un partner tecnologico affidabile nel lungo periodo, per non aver problemi. Quindi oltre alla forza di vendita, necessaria alla crescita, Larry investe molto nell’assistenza e formazione, andando a rastrellare sul mercato i migliori tecnici che, forti della loro competenza, erano in grado di spiegare ai clienti i vantaggi del sistema Oracle rispetto a tutti gli altri. Questo divenne altra sua mossa vincente. Dai 50 dipendenti del 1983, moltissimi puri venditori, nei primi anni ’90 la sua impresa diventa una realtà forte e consolidata in tutto il mondo. Con 131 milioni di dollari di fatturato, Oracle sbarca in borsa nel 1986. Il treno di Ellison, nonostante scontati alti e bassi quando si parla di hi-tech vista la volubilità del mercato, e qualche errore strategico prontamente rimediato con una fede incrollabile nella sua azienda, era partito e non si è più fermato.
    Con i guadagni mostruosi maturati, Ellison si è tolto molti sfizi. Dall’acquisto di una isola alle Hawaii ad alcuni giocattoli “discutibili” (addirittura degli aerei da combattimento ex sovietici, con più di qualche difficoltà per farseli consegnare negli States…), fino all’approdo nel mondo dello sport, prima la vela in American’s Cup dove arrivò secondo nel 2004 poi il tennis, una delle sue grandi passioni. 100 milioni per rilevare il torneo di Indian Wells nel 2009, altrettanti per un primo rilancio e poi moltissimi investimenti per costruire pezzo dopo pezzo il “Tennis Paradise”. Oggi il suo torneo è considerato il migliore al mondo dopo gli Slam. Sogna di arrivare al rango dei Major, ma intanto si gode la sua creatura con un motto che rilancia nelle poche interviste che concede: “Non mi interessa diventare l’uomo ricco del mondo, sarò felice quando con le mie azioni renderò il mondo un posto migliore. Ma non chiamatelo altruismo, il mio è egoismo. Anzi, chiamartelo egoismo illuminato”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO