More stories

  • in

    Berrettini: “È fondamentale l’equilibrio tra il voler evolversi ma allo stesso tempo rimanere chi sei”

    Matteo Berrettini

    Il 2021 di Matteo Berrettini è iniziato con grandi prestazioni all’ATP Cup ma anche un brutto infortunio muscolare all’Australian Open, che ha interrotto una corsa che si faceva molto interessante. In attesa di tornare in campo, ha rilasciato una bella intervista a Eurosport UK nella sezione “Players’ voice”, in cui ha parlato soprattutto dell’aspetto mentale del gioco e del peso di aspettative diventate altissime dopo la semifinale a US Open 2019 e l’approdo al Masters a Londra.
    “L’anno scorso è stato complicato per un milione di motivi ed estremamente difficile per così tante persone in tutto il mondo. La pandemia ha causato tanta tristezza e cambiato aspetti della vita che tutti, me compreso, davano per scontato. Personalmente, sul campo da tennis le cose stanno cambiando anche per me. Le aspettative che mi sono state riposte sono aumentate a nuovi livelli, e questo è stato da lato eccitante ma anche una grande sfida allo stesso tempo, come lo sono la maggior parte delle cose nuove”.
    Matteo parla di come siano cambiate le aspettative su di lui, con un esempio concreto: “Nel 2019, quando ho raggiunto il quarto round a Wimbledon affrontando Roger Federer sul campo centrale, fu un risultato enorme per un giocatore come me che a quel tempo non era mai arrivato così lontano in uno Slam. Poi, con questo, la mia classifica ha iniziato a crescere e solo un anno dopo agli US Open del 2020 l’aver raggiunto il quarto turno è stato percepito come “non sufficiente”, per quello che avevo ottenuto l’anno prima. Non per quello che ero diventato”.
    “Non è stato facile abituarmi alle pressioni improvvise dopo aver scalato la classifica così velocemente. A miei occhi stavo andando in punta di piedi, ma all’improvviso mi sono sentito come se tutti stessero aspettando che andassi più veloce. È come se avessi scelto un percorso, ma quel percorso fosse diventato improvvisamente un altro. Immaginatelo in questo modo: stai camminando lungo una strada laterale al tuo ritmo, ma all’improvviso questa si fonde in un’autostrada e tutto viaggia velocissimo; devi adattarti subito o altrimenti verrai superato”.

    “Quando ti avvicini alla vetta, c’è molto di più con cui devi fare i conti, non solo il tennis ma anche cose personali. Prima, la mia vita sembrava molto più semplice: scendo in campo, gioco a tennis, penso alla vittoria. Oggi ci sono tante altre cose a cui pensare: gestire le aspettative, quelle degli altri e anche le mie, ma anche mantenere le mie relazioni. Anche con la mia famiglia e i miei amici, le cose cambiano perché non riesco a vederli così spesso, è difficile abituarsi. Ciò ha portato alla consapevolezza che il tennis può portarti via dalla vita a cui eri abituato. È come se tu fossi trasportato in un’altra dimensione, dove sei tu da solo con i tuoi risultati. Ci vuole tempo per riadattarsi a questo, e abituarsi alla nuova realtà che è diventata la tua vita. Ci sono giocatori che impiegano più tempo per adattarsi, mentre altri hanno bisogno di meno tempo. Per me, la famiglia e gli amici significano davvero tanto ed è forse per questo che ho bisogno di più tempo per arrivare a quel punto”.
    Alla fine, come per i cambiamenti, anche in campo l’aspetto cruciale per Matteo resta la testa. “Più in alto arrivi, più le cose si complicano. Oltre alle preoccupazioni per gli aspetti tecnici e fisici del tuo gioco, che restano fondamentali, devi allenare “il Capo”, come diciamo a Roma, ossia la testa. Un altro esempio: puoi andare in campo ad allenarti e fare il minimo, oppure puoi allenarti facendoti mancare il fiato. È tutto nella testa, è l’approccio che hai la mattina quando ti svegli che fa la differenza. Devi attivare la tua testa per salire di livello”.
    Questo è un passaggio chiave dell’intervista, molto profondo. Berrettini ha voglia di vincere, di crescere, ma per farlo è decisivo sapere chi sei, dove vai, migliorare ma senza perdere la consapevolezza di chi si è. In una parola: Equilibrio. “Spesso mi viene chiesto: “Ti guardi mai indietro?” e io rispondo: “Sì, è bellissimo, ma voglio guardare avanti”. Ci sto lavorando, perché avere solo obiettivi legati alla prestazione a volte può essere pericoloso. Alla fine il vero obiettivo è l’equilibrio, tra dove hai iniziato e dove vuoi andare; tra lo stimolo del lavoro e la gioia di farlo; e soprattutto, senza dimenticare il motivo per cui sei qui. Gioco a tennis perché mi piace. Si tratta di trovare quell’equilibrio tra il voler evolversi ed essere migliore, ma allo stesso tempo rimanere attaccato a chi sei. Non è facile, ma è quello che sto cercando di fare”.
    La conclusione sugli obiettivi, ambiziosi. “I miei sogni rimangono gli stessi: vincere gli Internazionali BNL d’Italia e, ovviamente, un torneo del Grande Slam. Non sono cose facili e non basta solo volerle o impegnarsi per realizzarle, ci sono tanti altri fattori, è percorso difficile. Ma credo di essere sulla strada giusta, non mi sembra di essere lontano anni luce. Nonostante gli ultimi 12 mesi o giù di lì siano stati segnati da alti e bassi per colpa degli infortuni, non è stato niente in confronto a quello che ha passato il mondo intero. Vorrei che il mondo tornasse ad essere un luogo felice in cui vivere, crescere, migliorare e dove tutti possano lasciarsi alle spalle le difficoltà e le sofferenze che questa pandemia ha causato”.

    Belle parole, sincere, oneste, profonde. Berrettini dimostra di essere un ragazzo con la testa sulle spalle, cresciuto molto in fretta ma senza aver perso la sua dimensione umana. La parola Equilibrio è fondamentale nel nostro sport. Equilibrio nel gioco, nel corpo per produrre grandi colpi in sicurezza; ma anche e soprattutto equilibrio mentale, perché nella competizione ma anche nell’allenamento di ogni giorno serve tantissimo equilibrio per sapere chi sei, dove andare, come farlo, cercando di migliorare per provare a vincere. Avanti tutta Matteo!
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Sinner: “Pensavano fossi irlandese. Tutti si aspettano titoli Slam, ma questo non mi disturba”

    Jannik Sinner

    Jannik Sinner tornerà in campo la prossima settimana nell’ATP 250 di Marsiglia. Il quotidiano transalpino “L’Equipe” lo appena ha intervistato, presentando ai propri lettori uno dei talenti più cristallini del firmamento internazionale. Jannik ha parlato del suo presente e della sua formazione, con alcuni aneddoti curiosi. Riportiamo alcuni estratti dell’intervista.
    “Tutti si aspettano che io vinca titoli Slam, ma questo pensiero non mi disturba. Ho solo 19 anni e sono consapevole che la strada per arrivare è lunga, e che la pressione più grande è quella che io metto su me stesso. Per vincere i grandi tornei è necessario prima imparare e perdere delle grandi partite, è una cosa che al momento fa male ma aiuta crescere, come successo all’Australian Open con la sconfitta contro Shapovalov. Ho parlato tanto con il mio team, vogliamo vincere, ma quando si è giovani è importante la sconfitta e imparare da queste. Non voglio mettermi fretta da solo, sono diventato professionista a 18 anni e vorrei giocare fino a 38!“.
    “Mi considero fortunato ad aver iniziato a giocare nella stessa epoca di campioni come Novak, Rafa e Roger, i più grandi di sempre, perché questo non soltanto perché mi dà la possibilità di giocare contro di loro ma soprattutto di imparare da loro. Il match contro Nadal a Roland Garros è stato importantissimo per me, e quindi aver avuto la possibilutà di allenarmi con Rafael a Melbourne lo è stato ancora più. Credo che sia la cosa migliore che mi potesse capitare a 19 anni, è stata un’esperienza di vita che non scorderò mai”.

    “La mia crescita? È diversa per ogni giocatore, per me il passaggio dalla posizione 500 del ranking alla 50 è stato veloce, così come quello dai Futures ai tornei ATP. Non ho giocato a livello juniores, ho preferito affrontare giocatori adulti nei Futures. Non ho giocato molti tornei Challenger, mi pare solo una decina, prima di affrontare l’ATP Tour. La scalata è stata rapida ma l’obiettivo è molto più avanti.Credo che i prossimi tre anni siano decisivi per la mia crescita. Dovrò allenarmi tanto, perderò delle partite e capire perché ho perso, quindi giocare più match possibili per crescere. Quando avrò fatto 200 partite a livello ATP inizierò a sapere meglio chi sono come tennista. Inoltre non è detto che continui come oggi, potrei rallentare o addirittura peggiorare se avessi un infortunio. Sono consapevole del mio percorso e di quello che ho scelto di essere come persona, il tennis è la cosa più importante per me”.
    “Da piccolo ero molto più sciatore che tennista. A 13 anni ho iniziato a perdere nelle gare di sci perché non ero abbastanza forte sul piano fisico, proprio in quel periodo ho incominciato ad apprezzare di più  il tennis perché è davvero un gioco. Amo lo sci ma come sport è diverso, fai una discesa di un minuto e mezzo e al primo errore è finita. Nel tennis invece puoi sbagliare ma la partita continua, anche altre due ore e mezza. A me piace giocare, avere la possibilità di esplorare soluzioni, accelerare la palla, rallentare, c’è tempo e tattica. Gli sci sono stati importanti per il mio gioco di piedi e per l’equilibrio, due aspetti fondamentali nel tennis. Quando sei rapido e hai equilibrio, non è indispensabile troppa potenza“.
    “Sono italiano al 100% ma sono di una piccola valle nell’estremo nord del paese, la vita è un po’ diversa nel Sud Tirolo rispetto al resto del paese. Ci sentiamo italiani perché si è cresciuti in Italia, ma la mia prima lingua è il tedesco. Tanto che quando a 13 anni sono andato a vivere a Bordighera, ad oltre sei ore di auto da casa mia, per allenarmi alla struttura di Riccardo Piatti, è stato un momento difficile. Davvero capivo ben poco di quello che mi dicevano, posso dire di averlo imparato lì l’italiano. Adesso lo parlo abbastanza bene, ma sento che ancora non è perfetto…”.
    “Non sono affatto freddo, il comportamento è una cosa di di famiglia. Sono uscito di casa molto giovane, ho dovuto crescere imparando a gestire me stesso, con la forza di tirarmi fuori da solo dalle difficoltà. Fino a quando avevo 15-16 anni dopo aver perso una partita chiamavo sempre mia mamma. Non mi mettevo a piangere o lagnarmi ero dispiaciuto e chiamavo per cercare un po’ di conforto, ma mia madre tagliava corto dicendomi che non aveva molto tempo per stare a telefono, dovendo lavorare. Lontano da casa ho dovuto prendermi le mie responsabiltà”.
    “Quando ero ragazzino portavo i capelli lunghi sulle spalle perché non mi piaceva andare dal parrucchiere, tanto che mi chiedevano se per caso fossi irlandese! Rispondevo che ero italiano e restavano stupiti”.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Ivanisevic: “Djokovic è semplicemente più forte di tutti e alla gente costa ammetterlo” (di Marco Mazzoni)

    “Novak is just stronger than everybody else and people have a hard time admitting that”. Parole e musica – riportate letteralmente nel suo inglese un po’ asciutto ma preciso – di Goran Ivanisevic, coach del n.1 Novak Djokovic, rilasciate ieri sera in una lunga e molto interessante intervista al collega Sasa Ozmo su Tennis Majors. […] LEGGI TUTTO

  • in

    Tiley (direttore AO): “Ho allontanato la famiglia, ero preso d’assalto e non volevo sfogarmi con loro”. Grazie degli sforzi Craig (di Marco Mazzoni)

    Oltre a Naomi Osaka e Novak Djokovic, campioni agli Australian Open 2021, chi ha tirato un enorme sospiro di sollievo per la conclusione del torneo è certamente Craig Tiley, direttore e “guru” del tennis australiano. Organizzare questo Slam, con i rigidissimi protocolli del paese e la pandemia tutt’altro che debellata nel mondo, è stata più […] LEGGI TUTTO

  • in

    Schwartzman: “Guardando indietro, ho vissuto momenti difficili. Mio bisnonno si salvò dall’Olocausto”

    Diego Schwartzman

    Resilienza. Il dizionario la definisce come “la capacità di un individuo di affrontare e superare eventi traumatici o periodi di difficoltà”. Questa parola esprime esattamente la forza di Diego Schwartzman, arrivato a fine 2020 tra i migliori 8 al mondo (e qualificato alle Finals di Londra) dopo un percorso che definire ad ostacoli è riduttivo. Un fisico minuto (è il più basso tra i top 100, ed uno dei più piccoli ad esser arrivato così in alto in epoca moderna), una famiglia che l’ha sempre sostenuto ma che dovuto fronteggiare un collasso finanziario proprio mentre lui si affacciava faticosamente al tennis Pro. Rinunce, scelte difficili, sofferenza vera, ma alla fine la sua grande determinazione è stata premiata, regalandogli la possibilità di far fruttare il suo talento.
    In una lunga intervista concessa al magazine britannico Tennishead, Diego ripercorre alcune delle tappe importanti del suo viaggio, partendo addirittura dagli antenati, i suoi nonni, che per primi conobbero e superarono gli orrori del nazismo.  Una storia che merita di esser raccontata proprio oggi, 27 gennaio, nel “Giorno della Memoria”.
    “Ho radici ebree – racconta Diego – il bisnonno dalla parte di mia madre, che viveva in Polonia, fu caricato su un treno diretto verso un campo di concentramento durante l’Olocausto. Il destino ha voluto che il perno che collegava due vagoni del treno in qualche modo si ruppe, così che una parte del comvoglio continuò la sua corsa e l’altra rimase indietro. Ciò ha permesso a tutte le persone intrappolate all’interno, compreso il mio bisnonno, di scappare e salvarsi la vita. Fortunatamente ce la fece senza essere scoperto. Il solo pensiero di quest’episodio fa capire come le vite possono cambiare in un batter d’occhio”.

    “Il mio bisnonno ha portato la sua famiglia via nave in Argentina. Quando sono arrivati, parlavano yiddish e non spagnolo, n0n è stato facile. La famiglia di mio padre era russa, anche loro andarono in Argentina via mare. Non è stato facile per tutti cambiare completamente la loro vita dopo la guerra, ma lo hanno fatto. La mia famiglia aveva un business avviato nel settore dei gioielli, ma quando l’Argentina andò in bancarotta la crisi finanziaria travolse il nostro lavoro. Ci siamo ritrovati soli, io, i miei due fratelli maggiori, mia sorella maggiore e i miei genitori cercando in qualche modo di guadagnarci da vivere, anzi cercando di sopravvivere. Non avevamo soldi, era davvero difficile a giocare a tennis, non potevamo davvero permettercelo. Ma ho giocato più che potevo con enormi sacrifici. A un certo punto vendevamo persino braccialetti di gomma che erano rimasti dall’attività della mia famiglia. Abbiamo fatto tutto il possibile per ottenere i soldi per pagare i viaggi ai tornei e le spese. Guardando indietro, era una situazione davvero difficile. Ma all’epoca l’ho affrontata con lo spirito giusto, pensavo in grande, era un sacrificio necessario, a tratti persino divertente. Ho aiutato mia madre a vendere i braccialetti e così hanno fatto alcuni degli altri giocatori che erano con me. Tra una partita e l’altra andavamo tutti in giro con una borsa di braccialetti per vedere chi poteva vendere di più e mia madre gli dava il 20% delle vendite”.
    Una lotta imporsi nel mondo del tennis Pro con queste difficoltà. Infatti la crescita di Schwartzman è stata lenta, con un lungo percorso in patria. Diego ha giocato tornei in Argentina per la maggior parte della sua attività junior. Ha preso parte solo ad un evento del Grande Slam junior, perdendo al primo turno delle qualificazioni agli US Open, e non è mai stato un junior di successo. Dei primi 96 tornei che ha giocato da senior, 91 sono stati in Sud America, la maggior parte dei quali in Argentina. Gli altri cinque furono durante un breve viaggio in Europa, quando aveva 19 anni. “Venendo dal Sud America, ogni singolo passo che devi fare nel tennis è davvero costoso”, afferma Schwartzman. “Non è facile per le famiglie latino americane quando i figli cercano di intraprendere la strada del tennis Pro. A quel tempo sono stato fortunato perché avevamo molti tornei in Argentina e Sud America, a differenza di oggi. Avevamo forse 20 Futures all’anno in Argentina e alcuni Challenger tra Argentina e altri paesi limitrofi”.
    Nelle prime esperienze di viaggio, Schwartzman era con sua madre. “Non c’era mai una TV, in quasi tutti i tornei a cui andavamo, eravamo costretti a condividere il letto. Questo è ciò che potevamo permetterci”.
    Diego ha raccontato anche un piccolo aneddoto relativo a Maradona. “Conservo tutti i suoi messaggi, per me è stato una leggenda. Una volta mi disse una frase che fu per me di grande ispirazione. Avevo perso una partita contro Djokovic, giocando un buon tennis. Maradona mi fece i complimenti, consigliandomi di studiare i campioni ma stando attendo non imitare nessuno, perché un campione non lo puoi copiare, la copia sarà sempre peggiore dell’originale. Mi consigliava di osservare come hanno giocato contro di me, per capire i miei punti deboli, e allo stesso tempo capire la forza dell’avversario per poterlo affrontare al meglio al volta successiva”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Zverev torna sulle accuse di violenza: “È falso. Coi social oggi puoi accusare chiunque di qualsiasi cosa”

    Alexander Zverev ha passato un autunno assai turbolento, soprattutto per le durissime accuse di violenza privata ricevute dalla ex fidanzata Olya Sharypova. Una brutta pagina che ha fatto il giro del mondo, non solo sulla stampa specializzata. Da allora Zverev non aveva praticamente mai parlato della faccenda, escluso un breve comunicato. È tornato farlo sul […] LEGGI TUTTO

  • in

    Medvedev, il tattico: “Ho bisogno di un tennis difensivo, ma non solo, l’importante è saper cambiare” (di Marco Mazzoni)

    Daniil Medvedev, vincitore del Masters 2020

    Daniil Medvedev è uno dei tennisti più attesi del 2021. Il russo ha chiuso il travagliato 2020 col “botto”, vittoria a Bercy e soprattutto alle ATP Finals, dove ha sbaragliato la concorrenza vincendo tutti gli incontri e sconfiggendo nel torneo Djokovic, Nadal e Thiem, i primi tre al mondo. Una dimostrazione di forza che gli è servita moltissimo a ritrovare fiducia dopo una stagione non così buona. Infatti fino agli ultimi due tornei dell’anno (Bercy e Masters) Daniil non era riuscito nemmeno a raggiungere una finale. Agli Australian Open era stato battuto negli ottavi da Wawrinka, quindi pochissima strada negli indoor europei. Nell’estate americana, quella della ripartenza, la semifinale a New York, sconfitto in tre set da Thiem, senza mai dare l’impressione di poter ribaltare l’incontro. Poi due uscite immediate sulla terra in Europa (incluso Roland Garros) e quindi secondo turno a San Pietroburgo, nella sua Russia e in condizioni indoor, dove il suo tennis si esalta.
    Spesso nervoso, poco efficace con la prima, Daniil non dava l’impressione di riuscire ad alzare il livello nei momenti di difficoltà, proprio dove invece aveva impressionato nel 2019. Lo conferma lo stesso giocatore in una intervista rilasciata al sito dell’ATP, in cui ha parlato della svolta a fine 2020. Ne riportiamo alcuni passaggi tra i più interessanti, insieme ad alcune considerazioni.
    “Sicuramente ho avuto dei problemi, specialmente quando non stavo giocando bene”, ha confessato Medvedev. “A volte finisco per perdere la pazienza. Non avevo raggiunto una finale nell’anno… e questo sotto tensione ti viene in mente e non aiuta”.
    “Il tennis non è uno sport facile. È difficile spiegare alcune cose che accadono … Quando sei a terra, devi trovare il modo migliore per alzarti velocemente. C’erano aspettative, io volevo solo dimostrare che sono capace di giocare un buon tennis e battere i ragazzi più bravi”.
    Ricorda con grande soddisfazione la vittoria contro Nadal alle Finals. Un match che aveva praticamente perso, con Rafa a servire per il match nel secondo set. “Quando Rafa stava servendo per la partita, una parte della mia mente stava già pensando …Va bene, tra pochi minuti uscirò da questo campo. È un vero peccato, ero in ottima forma. Mi sentivo come se non stessi giocando peggio di lui. Ho subito un break  nel secondo set, quindi sapevo che quel game era la mia ultima possibilità, ho dovuto dare tutto. Sapevo che avrebbe sentito la pressione come qualsiasi altro giocatore che sta servendo per la partita, e ne ho approfittato riuscendo a trovare delle ottime risposte. Mi sono ritrovato 5 pari, ed ora sì che la pressione era tutta su di lui, perché aveva sprecato la possibilità di chiudere la partita. Da lì in poi ho giocato sempre meglio. Questo è solo un piccolo esempio di cose che ti vengono in mente, che ti fanno concentrare sull’obiettivo e possono girare una partita praticamente persa”.

    Il non festeggiare platealmente dopo una vittoria, anche se importante, è stata una scelta ben precisa: “L’anno scorso ho deciso che sarebbe stato il mio marchio di fabbrica. A molte persone piace, ad altre no, ma è così che preferisco. Quando vinci grandi tornei o anche una bella partita contro grandi avversari e non festeggi, hai effettivamente l’opportunità di guardarti intorno e sentire tutta l’energia che sta circolando. Come artista, come giocatore di tennis, puoi sentire tutto se ci pensi, ed è bellissimo gustarsi tutto questo“.
    L’ultimo focus è relativo al suo tennis. Daniil è un tennista “tattico” nel mero senso del termine: la sua tecnica di gioco – assai personale – è del tutto funzionale al suo piano tattico. Non ci sono molti altri tennisti (anzi, non se ne vedeva da anni!) capaci di “sgonfiare” la palla con ritmi così bassi, comandare lo scambio verso angoli, rotazioni e velocità a lui congeniali e quindi strappare all’improvviso con un’accelerazione fulminante, di diritto o di rovescio, totalmente improvvisa e difficile da leggere. Abbinando quest’abilità difensiva e di contrattacco al suo servizio poderoso e alla qualità notevole anche in risposta, ecco un tennista a dir poco ostico da battere. Per tutti. Uno che non riesci sfondare, che ti fa perdere ritmo (tattica ideale contro la maggior parte degli avversari), che ti fa impazzire perché non capisci che diavolo sta per fare. Un giocatore a suo modo affascinante, perché diverso e capace di regalare grande spettacolo. Eppure alcuni gli rimproverano di essere un difensore… Interessante la sua risposta: “Il mio gioco? Se devo stare sulla difensiva, rimarrò sulla difensiva. Ma di solito contro i primi 10 giocatori restare solo in difesa non funzionerà, quindi devo cambiare tattica. Ovviamente quando mi sento bene, mi piace colpire la palla forte, soprattutto con il diritto. Ma nemmeno tirare solo forte funziona. Alle Finals ho ottenuto più punti vincenti di ogni avversario in tutte le partite che ho giocato, e che ho vinto, il che è fantastico. È la dimostrazione che il mio gioco funziona. Sono felice che le piccole cose su cui abbiamo lavorato con il mio allenatore abbiano funzionato in un contesto così importante”.
    Medvedev è indubbiamente un tennista che divide. Puoi amarne il gioco tattico, vario e bizzarro, oppure odiarne quel gesto scomposto che fa inorridire i “puristi”, come il suo sguardo spesso sprezzante. Di sicuro Daniil non lascia indifferenti. Ogni suo match contro un top player è un bel contrasto di stile perché nessuno gioca come lui. Ricordo il mio primo contatto dal vivo: Milano, NextGen Finals 2017. Mentre tutti erano (giustamente) ammaliati dalla spettacolare irruenza tecnica di Shapovalov, dalla consistenza di Chung e dalla furia di Rublev in accelerazione, personalmente rimasi stupefatto dal potenziale di Medvedev, passato quasi inosservato ai più. Daniil ancora non sapeva stare in campo, caotico in tutti i sensi, ma riusciva a passare con totale nonchalance da palle “spaccate” per violenza pura a scambi lenti, lavorati, “rognosissimi” grazie ad un tocco sopraffino. La palla gli usciva dalle corde in modo spettacolare, non ne leggevi la direzione. Se mette ordine nel suo gioco e nella sua testa, sarà il più forte di tutti questi giovani, pensai. Il campo sta dimostrando proprio questo: Daniil è riuscito a dare un senso al proprio talento costruendosi un gioco unico e vincente.
    Vedremo se agli Australian Open sarà da corsa per il titolo. Nelle sue quattro partecipazioni non ha mai superato gli ottavi.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

  • in

    Kevin Anderson: “Fusione ATP – WTA? Non ne abbiamo ancora parlato. La riduzione dei prize money è necessaria”

    Kevin Anderson, 34 anni

    Il due volte finalista Slam Kevin Anderson è uno dei giocatori più rappresentativi in seno all’ATP, forte di un’esperienza decennale. In primavera dovrebbe essere rieletto come Presidente dei giocatori nel Player Council, in una fase storica molto delicata per lo sport. La pandemia ha non solo bloccato e rallentato l’attività, ma messo in crisi sul lato economico moltissimi tornei, proprio mentre era iniziata – con l’avvento della nuova Presidenza di Andrea Gaudenzi – una complessa trattativa per ridistribuire i compensi in modo più equo per i tennisti.
    Anderson ha rilasciato una lunga e molto interessante intervista al collega Simon Cambers, pubblicata su Tennis Majors. Il sudafricano ha parlato dei temi più importanti del momento, dai prossimi Australian Open alla politica sportiva, incluso il ruolo della tanto discussa PTPA lanciata da Djokovic & c. la scorsa estate. Riportiamo alcuni dei passaggi più interessanti del suo pensiero.

    “Qual è la sfida più grande per il prossimo anno? Navigare con il virus e cercare di inserire più tennis possibile nel calendario. Ad oggi abbiamo solo un calendario fino a Miami. Siamo costretti a navigare a vista, è un grande gioco d’attesa. Alcuni tornei non ce l’hanno fatta, in particolare Indian Wells. Potenzialmente stanno cercando di rimandarlo, ma chissà quando o come. Questa sarà la sfida più grande e poi abbiamo molte altre cose su cui stiamo lavorando. C’è una nuova gestione (ATP), stanno cercando di lavorare su diversi piani verso la loro versione di miglioramenti e modifiche da apportare allo sport”.
    Il 2021 vedrà molto probabilmente una riduzione dei prize money rispetto ad una stagione “normale”, ecco il suo punto di vista in merito. “Capiamo che di base il grande produttore di entrate dei tornei sono i fan, e non solo i fan diretti ma la quantità di sponsorizzazioni sul sito … penso che tutto si riduce per colpa del virus. Quindi dobbiamo tenere una posizione molto ragionevole per lavorare con i tornei. Alcuni di loro stanno soffrendo molto finanziariamente…, alcuni di loro sono anche potenzialmente in perdita o rischio cancellazione. Quindi, se sono disposti a organizzare i tornei, penso che sia una buona negoziazione per i giocatori capirlo e accettare le riduzioni dei premi in denaro. E penso che sia stato messo in moto un buon sistema. Si basa su quale (percentuale) di fan si trovano nell’impianto. Voglio dire, se il torneo si sta svolgendo a pieno regime, avremo il pieno prize money; con riduzione della capienza, si riduce anche il nostro premio. Questa è una sorta di scala progressiva. È qualcosa di cui abbiamo discusso molto in Consiglio. Ovviamente non è una situazione ideale per tutti, ma penso che sia necessario affinché i tornei abbiano luogo “.

    Il piano è di ridistribuire il premio in denaro, con una riduzione maggiore per vincitore, finalista, e quindi a scendere: “Sì, quello era il piano. In molti tornei, il premio in denaro del primo turno è rimasto quasi lo stesso. Molti di quei soldi sono usciti dai round successivi. Abbiamo avuto un piccolo aggiustamento perché sentivamo che la proposta iniziale fosse un po’ troppo drastica (la riduzione inizialmente prevista colpiva molto più nettamente chi avanzava nel torneo, ndr) e pensavamo che dovessimo premiare un po’ di più i tennisti che fanno bene nei tornei. La nuova distribuzione, considerando il montepremi, penso che sia un buon risultato”.
    Nel corso della pandemia, Roger Federer lanciò l’idea forte di una vera fusione tra ATP e WTA tour, in modo da massimizzare gli aspetti positivi di entrambi i circuiti e avere un’unica forte piattaforma per fan, sponsor, ecc. Ecco il parere di Anderson, da membro del Council: “Non ci sono state discussioni reali su questa possibile fusione. Non ho molto da dire su questo perché non è qualcosa che è stato per davvero sul tavolo. A parte una sorta di vaga idea di base, ci sarebbero molti dettagli che tutti dovrebbero elaborare. Ovviamente lo sport è più forte quando tutti lavorano insieme, ma non posso davvero commentare cosa potrebbe accadere in aspetti importanti come quello logistico (sedi, non tutti i tornei M e F si svolgono nelle stesse sedi, ndr) e commerciale. So che parte del nuovo piano della direzione (ATP) è lavorare insieme a queste entità separate e dal punto di vista dell’ATP, ovviamente, il WTA è un partner enorme, quindi è qualcosa che deve essere esaminato con attenzione. Non so se l’idea della fusione fosse qualcosa su cui alcuni giocatori volevano già parlare ma forse la pandemia ha bloccato tutto. Al momento, questa non è una conversazione che abbiamo avuto internamente con ATP né alcuna conversazione con la WTA. Vedremo in futuro”.
    Immancabile la domanda sulla PTPA, il suo ruolo presente e futuro. ATP e PTPA potranno lavorare insieme? L’ATP ha detto pubblicamente che non ritiene questa una ipotesi possibile…. Anderson: “Beh … spero che tutti possano lavorare insieme, anche solo dal punto di vista dello sport in generale, perché è allora che siamo più forti, con unità di visione per il bene dello sport. In termini di logistica e flusso effettivo di informazioni e processo decisionale, non vedo come possiamo lavorare insieme, anche solo puramente dal … modo in cui sono impostate le nostre strutture. Non sono a conoscenza di nessuna delle conversazioni all’interno della PTPA, non so quale sia il tipo di visione della PTPA e come pensano di proseguire il proprio percorso. E quindi, per quanto posso dire, i giocatori sono rappresentati dal Consiglio, dai membri del Tour, e sì, la nostra struttura è di proprietà del 50% dei tornei, del 50% dei giocatori; ma anche se ci fosse un’entità al 100% dei soli giocatori, dovresti comunque andare al tavolo e negoziare con i tornei. Quindi personalmente non vedo davvero quale sia il vantaggio di una PTPA rispetto alla rappresentatività attuale dei giocatori in seno all’ATP“. Aggiungiamo che diventa difficile capire il futuro della PTPA visto che i suoi membri più rappresentativi (Djokovic e Pospisil in particolare) continuano a rilasciare dichiarazioni d’intenti piuttosto generiche senza un piano operativo, senza chiarezza anche su un aspetto molto basico della associazione: quanti tennisti hanno aderito? Continua Anderson: “Non credo che il sistema sia perfetto adesso, e la nuova direzione ha parlato molto sulla volontà di iniziare una revisione completa e cambiare parte della governance. Penso sarebbe davvero importante, cose come limiti di mandato, conflitti di interesse e cose di questa natura, che penso sarebbero davvero importanti. Ma credo ancora che debba essere fatto all’interno della struttura del Tour. Forse 30 anni fa avrebbe potuto essere fatto in modo un po ‘diverso, ma allo stato attuale, stiamo parlando di un’organizzazione che è una società multinazionale, in termini di dipendenti, appaltatori, tante persone diverse coinvolte. Questa non è solo una piccola attività in cui puoi cambiare metodi e persone facilmente, servono processi complessi per rinnovare”.
    “I conflitti di interessi sono un problema enorme, non credo che troverai mai una situazione ideale e penso ce ne saranno sempre un po ‘.  L’importante è iniziare un percorso con la volontà di affrontrare il problema, questo è un ottimo punto di partenza”.
    Questo il succo del pensiero di Anderson. Parole moderate, che danno credito all’ATP con la voglia di perseguire il piano presentato da Gaudenzi e lavorare dal di dentro per migliorare lo status quo, tenendo ben presenti le difficoltà scoppiate con la pandemia, tutt’altro che risolta. Staremo a vedere i prossimi passi dell’ATP, già dalla seconda parte del calendario per la stagione su terra che, al momento, dovrebbe essere confermato con i tornei “classici” in date “classiche”. Pandemia permettendo…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO