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    Nicola Tiozzo a SuperNews: “A Cuneo per risalire in Serie A1. Spero in un graduale ritorno dei tifosi nei palazzetti”

    La redazione di SuperNews ha intervistato Nicola Tiozzo, schiacciatore della Banca Alpi Marittime Acqua S. Bernardo Cuneo, squadra che milita nel campionato di Serie A2. Il pallavolista classe ’93 ha ricordato ai nostri microfoni il periodo delle giovanili giocate nella sua città, Chioggia, l’esperienza nella squadra del Treviso e la vittoria di ben due Coppa Italia: la prima vinta con Civita Castellana nel 2018, la seconda conquistata con l’Olimpia Bergamo quest’anno. Infine, Tiozzo ci ha svelato i suoi prossimi obiettivi sportivi.

    Quando è nato l’amore per la pallavolo?L’amore per la pallavolo è nato a tredici anni, quando ancora giocavo a calcio. Io ero il più alto del gruppo, e mentre facevo una partita di footsoccer in spiaggia arrivò l’allenatore del Chioggia per chiedermi di provare a giocare con la sua squadra. Non mi sono innamorato immediatamente di questo sport, è stato un amore graduale, ed è avvenuto nel momento in cui ho realizzato che la pallavolo è una disciplina sportiva che favorisce una grande coesione di gruppo.
    Che ricordi hai dell’esperienza a Treviso? Hai fin da subito assunto il ruolo di schiacciatore?Ho iniziato nelle giovanili del Sottomarina Chioggia. Poi, a sedici anni, dopo aver disputato il Trofeo delle Regioni, sono stato contattato dalla società del Treviso per diventare un loro giocatore. Così, firmai il contratto di tre anni con la società. Prima di approdare a Treviso, ho cambiato ruolo diverse volte. E’ solo con questa squadra che ho consacrato il ruolo di schiacciatore. Inizialmente ho trascorso un periodo un po’ complicato, dal momento che subii un infortunio appena arrivato. Poi, con il passare del tempo, è andata sempre meglio. Sono stati anni molto belli, ho imparato tanto a Treviso, grazie soprattutto ai professionalissimi allenatori che ho incontrato, che mi hanno aiutato a formarmi come atleta.
    Cosa ti ha spinto ad abbandonare Treviso, per approdare prima a Conselice e dopo a Reggio Emilia?Sono andato via da Treviso perché avevo terminato le giovanili. Avevo finito il campionato Under 19 e dovevo passare in una categoria superiore. Sono uscito dalle giovanili con un gioco ancora non troppo maturo, e non ero neanche troppo conosciuto per salire in Serie B1. Così, decisi di contattare personalmente un procuratore, perché ero convinto di riuscire a far qualcosa di buono nella pallavolo. Ho ottenuto un contratto come prima riserva schiacciatore da Pallavolo Conselice e, dopo le prime partite, sono riuscito a conquistarmi il posto da titolare.
    Nella stagione 2017-2018 vinci la Coppa Italia con Civita Castellana. Ricordi l’emozione di quella vittoria?Abbiamo giocato la finale contro Bergamo. E’ stata una partita emozionantissima, perché è stata la vittoria della mia prima Coppa Italia. Scoppiai a piangere. E’ stata una bella soddisfazione, soprattutto perché ho dimostrato a chi non credeva in me di poter raggiungere traguardi così importanti.
    Una Coppa Italia probabilmente non è stata sufficiente per te, dal momento che con l’Olimpia Bergamo hai replicato il successo. Come definiresti la tua esperienza in questa società?Bergamo è la mia seconda casa. Sono stato lì due anni, due anni di finali e di un tifo fantastico. I bergamaschi hanno dimostrato un affetto straordinario per me e per la squadra. La società è stata solida, professionale, ha sempre rispettato i contratti e i suoi atleti. Sono stati due anni splendidi, coronati dalla conquista dell’ultima Coppa Italia. Per due anni, sono stato torturato a Bergamo per via della vittoria in finale di Coppa Italia quando giocavo nel Civita Castellana. (Ride). Sono però contento di aver raggiunto l’obiettivo che avevo promesso, prima dell’arrivo di questa pandemia.
    Adesso sei un giocatore del Cuneo. Perché hai scelto questa squadra?Ho firmato con Cuneo perché è una società storica, che ha già raggiunto l’A1 e che ha vinto in questo campionato. E’ una società molto ben organizzata, che mi ha presentato un progetto molto valido, grazie al quale in due o tre anni Cuneo risalirebbe in Serie A1. La proposta mi ha convinto e ho firmato il contratto.
    Il tuo prossimo obiettivo?Il prossimo obiettivo è un macro-obiettivo, ovvero la vittoria di un altro trofeo. Vorrei vincere la Coppa Italia, oppure essere promosso dalla Serie A2 alla Serie A1, campionato in cui non ho mai avuto la possibilità di giocare.

    Che tipo di stagione ti aspetti? Credi che si continuerà a giocare a porte chiuse?Spero che, partendo dal calcio, possano nuovamente e gradualmente popolarsi gli stadi. Se non si inizia dal calcio, che è un gioco all’aperto, gli atleti che giocano nei palazzetti non hanno speranza. Allo stesso tempo, credo sia ora che venga stilato un protocollo con le misure di sicurezza e le linee guida da rispettare per la reintroduzione dei tifosi. Al momento, mi sembra che la situazione sia un po’ abbandonata a se stessa. Noi senza pubblico non siamo niente. Spero che i “Blu Brothers”, tifosi storici del Cuneo, possano tornare presto a sostenerci. LEGGI TUTTO

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    Claudio Mezzadri a SuperNews: “La Coppa Davis? Non esiste più. Il calendario dei prossimi eventi molto affollato, prevedo defezioni e infortuni.”

    SuperNews ha avuto il piacere di intervistare Claudio Mezzadri, ex tennista oggi commentatore televisivo dei grandi eventi tennistici. Mezzadri ci ha raccontato come è nato l’amore per il tennis, quali sono stati i suoi traguardi sportivi più importanti e come ha conosciuto, nel ’98, il giovanissimo Roger Federer. Abbiamo chiesto al nostro intervistato una personale opinione sul futuro del campione svizzero, sul calendario stilato per i prossimi eventi di tennis e sul nuovo format ideato per la Coppa Davis. Infine, l’ex tennista ha commentato le potenzialità di alcuni giovani tennisti italiani.

    Come nasce la tua passione per il tennis?E’ stato papà a trasmettermi la passione per lo sport. Negli anni ’50, mio padre ha giocato e allenato in Serie A. In seguito, dopo essersi trasferito in Svizzera, ha continuato la carriera da allenatore di calcio, diventando tecnico di tutte le squadre del Ticino. Allo stesso tempo, però, amava giocare a tennis. Quando diventò maestro di tennis, anche io iniziai a praticarlo.
    Nel 1987, il tuo best ranking: 26esimo in classifica nel singolare e 23esimo nel doppio. Nello stesso anno, hai vinto 3 dei 5 tornei del tuo palmares, uno in singolo e due in doppio. Quale competizione hai più a cuore? E perché?Il torneo più importante che ho vinto è l’ATP di Ginevra, l’unico torneo del circuito maggiore vinto in singolare. Ho un ricordo veramente straordinario di quella competizione, è stato raggiungere il traguardo dopo anni di sacrifici. Il torneo che preferisco, invece, è quello degli Internazionali di Roma, in cui ho sempre giocato benissimo: nel 1985 e nell’1987 sono arrivato ai quarti di finale partendo dalle qualificazioni, mentre nel 1984 ho battuto Cash. A Roma ho sempre raggiunto ottimi risultati.
    Sei uno degli otto giocatori svizzeri che in Coppa Davis possiede un bilancio positivo sia nel singolare (11 vittorie e 4 sconfitte) sia nel doppio (3 vittorie e 2 sconfitte). Che emozioni ti regalava la Davis?La Davis è speciale per il tennis. Anzi, preferisco dire “era” speciale, dal momento che adesso non è più così. Quella attuale non ha nulla a che vedere con quella del passato. Nel tennis, la Coppa Davis rappresentava l’unica occasione di giocare per una propria squadra e per la propria nazione prima che per se stessi. Per questo motivo, c’era una responsabilità differente nei giocatori. Inoltre, il valore del pubblico era completamente diverso, sia per ciò che riguarda le partite giocate in casa sia per quelle giocate in trasferta. Era davvero una competizione affascinante, molto sentita dalla maggior parte dei giocatori.
    Cosa ne pensi del nuovo format ideato per la Coppa Davis? Rimani fedele al format precedente o trovi quello attuale ugualmente interessante?Il format attuale ha annichilito lo spirito della Coppa Davis: non esiste più il fattore campo, che era determinante quanto affascinante, si giocava al meglio dei cinque set, tutte le partite venivano disputate nell’arco di tre giorni, c’erano trasferte importanti, c’era una grande voglia di giocare per la propria bandiera. Adesso, la Davis è un campionato a squadre che dura otto giorni, che si gioca solo in Spagna, scelta che non considero equa, dal momento che l’unico team a giocare in casa è proprio quello spagnolo, con la conseguente presenza del solo pubblico spagnolo e di pochissimi tifosi delle altre nazioni. Inoltre, si gioca tutto nella stessa giornata, non giocano tutti e non si gioca al meglio dei cinque set. E’ un torneo che ad alcune persone piace e ad altre no, quello che però è certo è che questa non è più la Coppa Davis. Si tratta di un evento a cui auguro tutto il successo possibile, ma che non è la Coppa Davis. Il tennis ha perso qualcosa.
    Nel ’99 sei stato capitano del team svizzero. In squadra c’era un diciassettenne, un certo Roger Federer. C’erano già tutti i segni distintivi del fuoriclasse e i presupposti per una carriera straordinaria come la sua?Io non lo conoscevo. Sapevo dell’esistenza di questo ragazzo, che giocava molto bene, e sapevo che ci fossero delle aspettative su di lui, era un tennista conosciuto. Io ho avuto modo di conoscerlo nel ’98, quando mi nominarono capitano del team svizzero. Roger non era ancora in squadra, ma io questo ragazzino che giocava bene dovevo conoscerlo. Andai a vederlo giocare in un torneo. L’ho conosciuto in quell’occasione e l’ho inserito subito in squadra, facendolo debuttare. Era già un ragazzo speciale, con qualità eccezionali, era uno di quei giovani tennisti, come Hewitt, che promettevano molto bene. C’era un gruppo di giocatori dalle ottime capacità e lui ne faceva parte. Oggi, sappiamo tutti come è continuata la storia.
    Federer tornerà in campo a gennaio 2021. Pensi possa essere l’ultima stagione del “King”?Il programma è questo. Ha deciso di prendersi tutto il tempo necessario per risolvere il suo problema al ginocchio. Quello che stupisce positivamente è il suo spirito, rimasto sempre quello di un ragazzino: Roger ha ancora una voglia incredibile di giocare, di girare il mondo, di competere, di sacrificarsi. Tuttavia, lo spirito deve essere sostenuto dal fisico. L’incognita è proprio questa, ovvero se il fisico lo sosterrà. Il prossimo anno Federer compirà 40 anni. Nelle ultime partite che ha giocato, lo svizzero ha dimostrato di esserci ancora. Lui vuole esattamente questo: continuare a giocare e ottenere nuovi risultati. Nel momento in cui si accorgerà di non essere più competitivo, sentirà di non avere più le forze e le energie necessarie, allora smetterà di giocare. Purtroppo, quel momento non è poi così lontano.
    A fine carriera, chi tra Djokovic, Nadal e Federer avrà collezionato più Slam?Se prendiamo in considerazione l’età e ciò che sta succedendo nell’ATP, direi che Djokovic e Nadal siano i due tennisti con più probabilità di superare Federer, Novak in particolare, soprattutto se ci riferiamo soltanto ai risultati degli Slam. E’ difficile immaginare che Federer possa ancora riuscire a vincere altri Slam. In realtà dicevamo così anche nel 2017, ma adesso ci sono tre anni in più a fare la differenza.
    Da commentatore, cosa pensi di questo finale di stagione, denso di appuntamenti e con un calendario stravolto a causa dall’emergenza sanitaria? Gli US Open sono a rischio. Se si giocassero, potrebbero registrare molte assenze a causa dei successivi appuntamenti su terra?Se si giocherà a New York, sicuramente ci saranno delle defezioni. E’ molto probabile che giocatori importanti non partecipino. Il sistema di classifica modificato, poi, permetterebbe a Nadal di rinunciare al torneo, poiché lo spagnolo manterrebbe i punti totalizzati lo scorso anno. Per questo, credo che il programma stravolto in questo modo sia una forzatura, che ha il solo intento di far perdere meno soldi ai tornei. Spostamenti di date, raggruppamento di tornei collocati uno dopo l’altro danno vita ad un programma difficile e affollato. Una cosa è certa: nessun tennista giocherà tutto, poiché significherebbe giocare Cincinnati, Us Open, Madrid, Roma e Parigi uno dietro l’altro. Una cosa pazzesca. Ci saranno tornei, al di là delle defezioni, con tabelloni meno forti, che daranno più spazio a giocatori di seconda fascia, pronti ad approfittare della situazione per conquistare classifica. Inoltre, mi aspetto infortuni, poiché non sarà possibile passare dal giocare sul cemento alla terra di punto in bianco, come se non ci fossero difficoltà. La finale di New York, poi, si giocherebbe nello stesso giorno d’inizio del torneo di Madrid. E’ una follia, un pericolo per molti giocatori. Un calendario più diluito sarebbe stato più auspicabile. Tuttavia, il tennis è un business e gli organizzatori dei tornei premevano tantissimo affinché si disputassero. Anche le ATP Finals si giocheranno, con la nuova regola, ed è quasi già stabilito che ci saranno gli stessi tennisti dello scorso anno, a meno che qualcuno non migliori i suoi stessi risultati superando chi lo precede. La qualificazione al Master avviene in base ai risultati ottenuti da marzo 2019 a oggi. Lo stesso Berrettini avrà la possibilità di giocarsi le ATP Finals, un’occasione fantastica per lui, anche se tutto ciò credo che non sia poi così giusto da un punto di vista sportivo. Ma, come dicevo prima, il tennis è anche business: si vuole il cartello importante alle Finals, quindi è fondamentale per gli sponsor avere i più forti nel torneo.

    C’è un giovane giocatore italiano che promette particolarmente bene?Io seguo molto gli svizzeri, ma credo che di italiani promettenti ce ne siano tanti: Musetti è molto bravo, Sinner promette davvero bene, ha la mentalità giusta, anche Sonego ha un buon carattere, un buon spirito. Sono giocatori in evoluzione, che si stanno definendo. Per ciò che riguarda le nuove promesse della Svizzera, ci sono tre, quattro tennisti classe 2003 molto interessanti. LEGGI TUTTO

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    Alessandro Sorgente a SuperNews: “L’Argos Sora Volley penalizzata dai tanti infortuni, ora penso a far bene al Santa Croce. Cisolla il mio idolo sportivo dal 2005”

    SuperNews ha intervistato Alessandro Sorgente, ex libero dell’Argos Sora Volley e oggi giocatore della Kemas Lamipel Santa Croce, squadra che milita nel campionato di Serie A2. Il pallavolista, classe 1993, ci ha raccontato della sua avventura con la maglia del Sora, che quest’anno è arrivata ultima nella classifica di SuperLega, per poi parlarci delle nuove sfide e ambizioni che lo aspettano in casa Santa Croce, che in questa stagione ha ottenuto la sesta posizione in campionato.

    In che modo la pandemia ha trasformato il mondo del volley e la routine di voi atleti?L’ha modificata in maniera perentoria. Noi giocatori ci siamo dovuti adattare alla situazione, al fatto di dover interrompere bruscamente l’attività. Adesso abbiamo ripreso gli allenamenti individuali, ci alleniamo da 15-20 giorni giocando qualche partita di beach volley e di pallavolo per cercare di tornare in forma e nella routine dei professionisti.
    Come è iniziata la tua avventura nell’Argos Sora Volley?E’ iniziata con la ricezione di una chiamata totalmente inaspettata, dal momento che non credevo di poter essere chiamato da una società che giocava in SuperLega. Inizialmente ho avuto anche un po’ di esitazione, poiché avevo dei dubbi sulle mie capacità in un campionato così importante come quello della SuperLega. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’organizzazione dell’Argos Volley. E’ una società che dà spazio ai giovani per crescere e tempo per potersi adattare al gioco. Tutte le persone, dagli addetti ai lavori alla dirigenza, ci hanno fornito tutti gli strumenti necessari ad adattarci alla nuova realtà. Inoltre, è con il Sora che ho condiviso, per la prima volta, uno spogliatoio “internazionale”, popolato da molti giocatori stranieri, che invece non avevo avuto modo di vivere in Serie A2, in cui gli atleti erano italiani, nella maggior parte dei casi.
    La società è arrivata ultima in classifica nel campionato di SuperLega. Cosa non ha funzionato?Probabilmente, l’aver subìto diversi infortuni. Inoltre, a causa del fatto di aver giocato ogni tre giorni, il tempo per allenarsi è stato poco e non ci ha permesso di creare delle solide basi di gioco. Queste defaiances all’inizio del campionato ci hanno portato a collezionare qualche sconfitta di troppo, a cui non abbiamo saputo reagire.
    Cosa ti aspetti dalla prossima avventura nella Kemas Lamipel Santa Croce? Ha ottenuto il sesto posto in classifica, è una squadra che sembra promettere bene…Sì, è una squadra che promette bene, anche se, sulla carta, ci sono squadre più attrezzate. Noi siamo una squadra giovane, che però può contare su qualche giocatore con alle spalle due o tre anni di esperienza in più. Inizialmente, avremo un ruolo di “mina vagante”, poi, con il tempo, riusciremo a crescere, ritagliandoci un posto da protagonisti, che si ottiene soltanto attraverso il lavoro quotidiano in palestra. Un aiuto fondamentale sarà dato dall’esperienza di un coach come Paolo Montagnani, con cui ho avuto la fortuna di lavorare in passato. So bene quello che lui può dare alla squadra, e sono sicuro che dall’inizio alla fine sarà un continuo crescere, sia a livello collettivo sia a livello individuale.
    Tempo fa abbiamo intervistato Massimo Colaci, che condivide il tuo stesso ruolo. Massimo ci ha detto che la caratteristica che ad un libero non può mancare è la forza mentale. Tu cosa ne pensi?Sono d’accordo con Colaci, poiché, al di là delle potenzialità tecniche di ogni libero, il salto di qualità lo fa fare la testa. Il nostro è un ruolo particolare: si toccano pochi palloni, e quei pochi palloni bisogna toccarli bene. Per questo motivo, non è facile entrare in partita toccando pochi palloni, a differenza del palleggiatore, che partecipa ad ogni singola azione di gioco. Inoltre, il libero è il regista della fase difensiva, quindi deve gestire i propri compagni e organizzare anche la fase break di muro-difesa. Negli anni, il mio è un ruolo che ha acquisito sempre più importanza, e credo che continuerà ad acquisirne sempre di più.
    C’è un pallavolista a cui ti ispiri?Sì, il mio idolo pallavolistico è Alberto Cisolla. Ho iniziato a giocare a pallavolo nel 2005, quando l’Italia vinse gli Europei, a Roma, e quando Cisolla fu premiato “Mister Europa”. E’ stato amore a prima vista. Negli anni, poi, ho avuto la fortuna di allenarmi e aver giocato insieme a lui, di conoscerlo personalmente quando venne a giocare nel 2010 nella M. Roma.

    La Nazionale è un sogno o un obiettivo?E’ un sogno, è il sogno di ogni bambino Reputavo un sogno, che si è realizzato,anche giocare in Serie A. Adesso che sono nella massima serie, la Nazionale si trasforma da sogno in obiettivo. Al momento, però, sono concentrato sull’esperienza al Santa Croce, voglio fare una bella stagione. Spero di riuscire a tornare in SuperLega, così da rendere ancora più concreto il sogno-obiettivo della Nazionale. LEGGI TUTTO

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    Cristina Plevani: “Sono riflessiva di natura. Forse, perché sono solitaria”

    Prosegue il nostro viaggio per scoprire come questa emergenza Covid-19 sta cambiando (e come cambierà) la nostra vita quotidiana. Oggi, ha accettato di rispondere a una serie di domande per un’intervista in esclusiva Cristina Plevani: presentatrice radiofonica, opinionista e inviata tv, istruttrice Fin, fitness e hydro bike. Ciao Cristina, grazie per la tua disponibilità. In […] LEGGI TUTTO

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    Noemi Batki a SN: “Obiettivo qualificazione alle Olimpiadi. Futuro ? Vorrei fare l’allenatrice”

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