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    Ora l’esame di maturità, poi la prima squadra di Siena per Pellegrini

    Lo schiacciatore classe 2004 farà parte del team biancoblu in A2: “Felicissimo e orgoglioso di questa chiamata, il lavoro nel settore giovanile mi ha portato qui”

    Ora l’esame di maturità, poi l’esperienza con la prima squadra dell’Emma Villas Volley per l’intera prossima stagione agonistica, nel corso della quale farà parte della prima squadra. Già lo scorso anno in due partite Federico Pellegrini, schiacciatore classe 2004, era andato a referto. E già in numerose occasioni si era allenato al PalaEstra con Nemanja Petric e compagni. Nel frattempo Pellegrini ha ultimato il suo percorso con il settore giovanile biancoblu, culminato con la Junior League disputata alcune settimane fa nelle Marche. Ora il giovane schiacciatore, che a luglio compirà 19 anni, si prepara per la prossima stagione, e per la prima volta farà parte di una prima squadra. E comincerà subito la sua carriera “da grande” in Serie A, in un torneo di A2. Lo farà dopo avere concluso l’esame di maturità, che sta svolgendo in questi giorni. Si realizza quindi una promozione per lui, dopo avere fatto tutta la trafila nel settore giovanile di Emma Villas Volley. Pellegrini è nato a Montepulciano e vive a Sarteano, dove ha iniziato a giocare a pallavolo.
    Federico Pellegrini, nella prossima stagione lei farà parte della prima squadra di Emma Villas: quali sono le sue emozioni?
    “Ne ho provate tantissime quando ho avuto la notizia. Con questa società ho effettuato tutta la trafila del settore giovanile, ora il lavoro fatto è stato ripagato e mi ha portato qui adesso. Ne sono felice. Sono veramente orgoglioso di questa chiamata a far parte della prima squadra”.
    Cosa vuol dire riguardo alla trafila effettuata nel settore giovanile della Emma Villas Volley?
    “Ringrazio tutte le persone che ho incontrato e con le quali ho condiviso tutti questi anni: compagni di squadra, allenatori, dirigenti. Ho imparato tantissime cose, è grazie a tutti loro se adesso posso far parte della prima squadra di Siena. Abbiamo effettuato un grande e lungo percorso, negli anni sono cresciuto e maturato e ci siamo tolti tante soddisfazioni”.
    Portare un ragazzo in prima squadra è una bella soddisfazione per un settore giovanile…
    “Certamente. L’Emma Villas Volley ha lavorato tanto sul settore giovanile e intende farlo con ancora maggiore impegno nei prossimi anni. Lavorare sui giovani è molto importante per una società, anche in un’ottica futura”.
    Cosa vuol dire di Luigi Banella, che da anni guida il settore giovanile di Emma Villas Volley?
    “Mi è stato accanto in tutti questi anni, mi ha permesso di crescere, è una delle persone più importanti per quella che è stata la mia maturazione. È un uomo di volley, conosce bene questo sport e questo mondo. Segue sempre tutti i giocatori con la massima attenzione, mi ha consentito di apprendere tante cose e di fare importanti esperienze”.
    Tra queste esperienze c’è anche la Junior League, che lei ha disputato poche settimane fa nelle Marche.
    “È stato bellissimo esserci, anche se il percorso non è stato semplice. Abbiamo affrontato grandi squadre e grandi giocatori, ma ce la siamo giocata. È stata un’esperienza eccezionale”.
    L’ultima gara contro Verona è stata tanto lottata e lei ha fornito un’ottima prestazione.
    “Abbiamo disputato una buona partita, è stata per molti di noi l’ultima gara di un lungo percorso nel settore giovanile. Siamo arrivati a disputare questo torneo con una squadra nuova, abbiamo dato il massimo. Per quanto riguarda la mia prestazione contro Verona sono soddisfatto, abbiamo giocato tutti un buon match”.
    Quali sensazioni le sono rimaste dopo la Junior League?
    “Abbiamo affrontato le squadre più forti e i migliori giovani giocatori a livello italiano. Ce la siamo comunque giocata. La Junior League mi ha fatto capire che quella del volley può realmente essere una strada per gli anni a venire”.
    Cosa si aspetta a livello personale dalla prossima stagione?
    “Io metterò il mio massimo impegno in ciò che sarò chiamato a fare. Spero di migliorare e di crescere ancora”.
    Coach Gianluca Graziosi può rappresentare una garanzia in questo senso: la sua storia dice che i giovani migliorano tanto con lui.
    “È vero. Con lui ho fatto un allenamento appena è arrivato a Siena, e poi ho avuto la possibilità di parlarci. È un allenatore capace, una persona che lavora duramente e con passione”.
    In questi giorni lei è impegnato in un’altra prova, l’esame di maturità: come sta andando?
    “Frequento il liceo scientifico di Montepulciano. Ho fatto le prove scritte, spero che siano andate bene. Dopo la maturità mi iscriverò alla facoltà di Ingegneria a Siena. Il prossimo anno mi attendono la stagione sportiva e anche lo studio all’università”.
    Cosa pensa della società senese che sta facendo partire un nuovo progetto dopo la retrocessione dalla Superlega?
    “La società senese sta tentando di dare vita a un nuovo corso e a un nuovo progetto, investendo anche sui giovani. Ciò dimostra la voglia di ripartire e di continuare a fare buone cose nel mondo del volley”.
    Qual è il suo sogno a livello sportivo?
    “Non ne ho uno in particolare. Cerco di dare il massimo, non so cosa potrò fare o dove potrò arrivare. Ora darò tutto me stesso nella prossima stagione con la Emma Villas Volley Siena”.

    CLUB DI FEDERICO PELLEGRINI
    2022-2023 Emma Villas Volley Siena                                                      Superlega, C
    2017-2022 Emma Villas Volley Siena                                                      settore giovanile LEGGI TUTTO

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    Motori aspirati in via di estinzione: quale futuro per questi propulsori?

    1988-1989. Un biennio significativo per la storia della Formula 1. È in questo cruciale periodo storico, infatti, che si consuma una epocale transizione tecnica: l’abbandono delle motorizzazioni Turbo, l’abbraccio delle sole unità atmosferiche (o aspirate). Un copione che, con le dovute differenze, si ripete secondo cicli e corsi e ricorsi storici. Dal 1961 al 1965, infatti, […] LEGGI TUTTO

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    Porsche e Honda: la scelta dei motori raffreddati ad aria in Formula 1

    Esistono molteplici soluzioni tecniche che, erroneamente, vengono ritenute obsolete, superate, antiquate o, come si dice oggigiorno, “non tecnologiche”. In realtà, si tratta di soluzioni tanto semplici quanto redditizie, sovente impiegate da numerosi decenni ma poi abbandonate e, pertanto, considerate non più all’altezza della moderna tecnologia.

    I motori raffreddati ad aria rientrano in questa categoria, considerati, appunto, ormai vetusti e non adatti a motori ad alte prestazioni. Eppure, le cose non stanno così. Anzi: i motori raffreddati ad aria da competizione hanno palesato prestazioni e affidabilità all’altezza dei più diffusi propulsori raffreddati a liquido.
    In Formula 1, due grandi Case hanno esplorato il territorio dei motori da competizione raffreddati ad aria: Porsche e Honda.  I motori raffreddati ad aria, in passato, hanno trovato terreno fertile anche e soprattutto nella produzione di serie. Basti pensare, solo per citare tre icone della motorizzazione di massa mondiale, alla Volkswagen Typ 1 (il famoso “Maggiolino”), alla FIAT Nuova 500 (1957-1975) e alle Porsche 911 (compresa la 993 lanciata nel settembre del 1993), vetture che, evidentemente, necessitano di ben poche presentazioni.
    Porsche, in particolare, ha fatto del motore raffreddato ad aria un proprio simbolo, ormai (purtroppo) consegnato alla storia del celebre e rinomato Marchio tedesco. Nelle corse riservate alle vetture a ruote coperte (Prototipi e Gran Turismo), la Casa di Zuffenhausen ha vinto, dominato per anni grazie a vetture spinte da propulsori raffreddati ad aria o misti (aria-acqua).
    Su tutte, ricordiamo le Porsche 917 del periodo 1969-1971 (motore tipo 912: 12 cilindri in V di 180° di 4500cc e 5000cc, eroganti rispettivamente oltre 525 CV e 640 CV a 8000 e 8300 giri/minuto), la Porsche 917/30 Can-Am (motore Tipo 912: 12 cilindri in V di 180°, 5347cc, due Turbo Eberspächer, pressione massima di sovralimentazione pari a 1,5 bar, potenza massima pari ad oltre 1100 CV a 8000 giri/minuto) e le Porsche 956 (1982) e 962 IMSA GTP (1984), modelli che negli Anni ’80 dominano il panorama Endurance grazie ai famigerati Type 935/76 e 962/70. Se la 956 Gruppo C presenta un 6 cilindri boxer (2649cc, 2 Turbo KKK K26, oltre 630 CV a 8200 giri/minuto) i cui cilindri sono raffreddati ad aria e le teste ad acqua, la originaria 962 IMSA GTP del 1984 è equipaggiata con un 6 cilindri boxer di 2869cc, sovralimentato mediante un singolo Turbo KKK K36, interamente raffreddato ad aria (cilindri e teste). Le prestazioni sono ugualmente esuberanti: oltre 680 CV a 8200 giri/minuto. Successivamente, le 962 Gruppo C1 adotteranno, a partire dalla seconda metà degli Anni ’80, 6 cilindri boxer raffreddati a liquido di cilindrata maggiorata.  
    Tutte le auto appena citate sono accomunate dal tipo di raffreddamento, ad aria, e dalla modalità con la quale esso si realizza, ossia ad aria forzata. Nelle 917 (parimenti agli altri Prototipi Porsche più o meno contemporanei della 917 o successivi, come ad esempio sulla 935), il raffreddamento ad aria avviene tramite una generosa ventola in fiberglass (vetroresina o fibra di vetro) posta orizzontalmente rispetto al motore e coricata tra le due bancate. Questa è azionata dagli ingranaggi della distribuzione (situati in posizione centrale) tramite apposite coppie coniche. Nella 956, la ventola di raffreddamento dei cilindri è posta davanti al motore in posizione verticale. Nella originaria 962 IMSA GTP, invece, la ventola è nuovamente coricata orizzontalmente tra le bancate (l’aria necessaria al raffreddamento arriva attraverso una vistosa NACA ricavata sul tetto della vettura).
    Il raffreddamento ad aria caratterizza anche le monoposto Porsche di Formula 1. Cinque i modelli impiegati dalla Casa tedesca tra il GP d’Olanda del 1958 ed il GP d’Olanda del 1964. In entrambe le occasioni, è Karel Pieter Antoni Hubertus (Carel) Godin de Beaufort ad aprire e chiudere l’avventura Porsche in F1: nel 1958 porta in gara la versione a guida centrale e con ruote coperte della RSK, nel 1964 è al volante della fida 718. Iconiche le sue vistose vetture iscritte sotto le insegne della privatissima Ecurie Maarsbergen, scuderia che prende il nome dalla città natale dell’aristocratico gentleman olandese. Il pilota dei Paesi Bassi, ancora al volante della 718, troverà la morte nel corso delle qualifiche del GP di Germania 1964 (Nürburgring).
    I modelli Porsche apparsi in Formula 1 sono i seguenti: la RSK a ruote coperte ed abitacolo centrale (3 GP: GP Olanda 1958 e 1959 con Carel Godin de Beaufort e GP degli Stati Uniti 1959 con Harry Blanchard), la Porsche Behra (realizzazione di Valerio Colotti commissionata dal pilota francese Jean Behra; la vettura appare in occasione dei GP di Monaco 1959, Germania 1959, Argentina e Italia 1960. A condurre la vettura, Maria Teresa De Filippis, Jean Behra, Masteg Gregory e Fred Gamble), la 718 (monoposto impegnata con continuità tra il GP di Monaco 1959 ed il GP di Germania 1964; a condurre la vettura in gara – sotto le insegne del Porsche KG, Porsche System Engineering, Ecurie Maarsbergen, Scuderia SSS Repubblica di Venezia e Scuderia Filipinetti –  Wolfgang von Trips, Edgar Barth, Hans Herrmann, Dan Gurney, Carel Godin de Beaufort, Jo Bonnier, Nino Vaccarella, Heini Walter, Gerhard Mitter), la 787 (vettura apparsa solo in quattro occasioni: GP Monaco, Olanda e Germania 1961 e Olanda 1962. I piloti sono Jo Bonnier, Dan Gurney, Edgar Barth e Ben Pon) e, infine, la 804, splendida e filante monoposto con la quale Porsche disputa 7 GP nel 1962 (Olanda, Monaco, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Stati Uniti).

    Grazie a Dan Gurney, la 804 è in grado di vincere il GP di Francia sul circuito di Rouen-les-Essarts (8 luglio 1962) e di conquistare la pole-position del GP di Germania al Nürburgring (5 agosto 1962), corsa che il superlativo pilota statunitense chiude in 3a posizione.
    Dalla RSK alla 787 (auto progettate da Wilhelm Hild), la Porsche si affida al 4 cilindri boxer 547, nato nel 1954 e, ovviamente, raffreddato interamente ad aria forzata mediante una ventola posta verticalmente. Si tratta di un 1500cc aspirato le cui misure di alesaggio e corsa sono pari a 85 mm x 66 mm. Gli alberi a camme sono azionati da alberelli e coppie coniche. Il motore, piccolo, compatto ed interamente realizzato in alluminio, è un tripudio di alta tecnologia. Nel 1961, questo motore è in grado di erogare oltre 165 CV a 8500/9000 giri/minuto.
    Questo motore verrà rimpiazzato, nel 1962, da un altro boxer aspirato, ma ad 8 cilindri: il 753. La Porsche 804, infatti, è azionata dal nuovo flat 8 in alluminio raffreddato ad aria di 1500cc (dal 1961 al 1965, i regolamenti F1 ammettono esclusivamente motori aspirati di cilindrata minima di 1300cc e massima di 1500cc) e alimentato mediante 4 carburatori doppio corpo. I 4 alberi a camme (2 per ciascuna testa) vengono mossi ancora da alberelli e coppie coniche, l’albero motore presenta 9 cuscinetti di banco a guscio sottile, i cilindri sono singoli e con canne cromate, le bielle (lunghe 126 mm) in titanio, l’angolo tra le valvole (2 per cilindro) è di 72°, le valvole di scarico raffreddate al sodio. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 66 mm x 54,6 mm, il rapporto di compressione è di 10:1, la potenza massima attorno ai 185-190 CV a 9200 giri/minuto. L’8 cilindri 753 consente alla Porsche 804 di conseguire buoni risultati (con picchi di eccellenza nelle mani di Gurney), ma, in generale, il binomio 753-804 – frutto del lavoro di Hans Mezger e Hans Hönick – si rivela ancora globalmente e leggermente inferiore rispetto alla miglior concorrenza.
    Al livello sportivo, la Porsche non ottiene quei successi sperati in partenza (nei medesimi anni, Porsche è impegnata nelle corse riservate alle vetture di F2), pur ben figurando in una categoria – la F1 – inedita per la Casa germanica. 1 punto nel 1960 (frutto del 6° posto di Herrmann al GP d’Italia, Porsche 718), 22 punti (23 senza scarti) nel 1961 (ed ottimo 3° posto nella classifica Costruttori alle spalle di Ferrari – 40, 52 senza scarti – e Lotus-Climax, 32), 18 punti (19 senza scarti) nel 1962 e 5° posto nel campionato Costruttori alle spalle di BRM (42, 56 senza scarti), Lotus-Climax (36, 38 senza scarti), Cooper-Climax (29, 37 senza scarti) e Lola-Climax (19). Il miglior pilota è Dan Gurney, capace di conquistare il 4° posto nel Mondiale Piloti 1961 (21 punti, a pari merito con Stirling Moss, 3°, quell’anno al volante di Lotus 18, 18/21, 21 e Ferguson P99 della scuderia RRC Walker Racing Team) ed il 5° posto nel Mondiale 1962 (15 punti). L’impegno ufficiale di Porsche in Formula 1 si esaurisce all’indomani del GP degli Stati Uniti (Watkins Glen) del 1962. Nel 1963 e 1964, sarà la sola Ecurie Maarsbergen a portare in gara in forma privata, con Carel Godin de Beaufort e Gerhard Mitter, la anziana ma ancora valida Porsche 718. Nel 1963, fioccano altri 5 punti, gli ultimi raccolti da vetture Porsche (telaio e motore) in F1.  
    Nel 1968, ci prova Honda a riportare in auge un motore di Formula 1 raffreddato ad aria. Lo fa realizzando la tanto audace quanto controversa RA302. Yoshio Nakamura e Shoichi Sano progettano una vettura estrema, di una bellezza abbagliante, probabilmente tra le monoposto più accattivanti degli Anni ’60 (e non solo). Alla base del progetto della RA302 vi è un concetto tecnico molto semplice: la leggerezza. Nel 1968, la Honda schiera tre diversi modelli: la RA300 ereditata dal 1967, la RA301 e, infine, la RA302. La RA300 e la RA301 si dimostrano vetture competitive ma incostanti. In particolare, lamentano un’affidabilità sempre precaria e un peso eccessivo, ben superiore al peso minimo regolamentare, pari a 500 kg. La RA300 e la RA301 sono azionate rispettivamente dai motori RA273E e RA301E, entrambi 12 cilindri in V di 90°, aspirati e, come da regolamento, di 3000cc.
    La RA302 si discosta radicalmente dai precedenti modelli. La scocca è realizzata in pannelli di magnesio, metallo che conferisce estrema leggerezza alla struttura (la RA302 si attesta al di sotto del peso minimo regolamentare) ma anche una notevole infiammabilità. Un’altra caratteristica risiede nella disposizione delle masse: la vettura, assai compatta (il passo è di 2360 mm, tra i più contenuti: generalmente le altre auto si attestano su passi dell’ordine dei 2400 mm), presenta un abitacolo molto avanzato, facendo sì che il muso risulti particolarmente corto. Una impostazione concettualmente ineccepibile e all’avanguardia che, anni dopo, verrà enfatizzata con l’introduzione delle wing-car, tutte caratterizzate da musi cortissimi e posti di guida assai avanzati. Annegato nel corto muso, trova posto il compatto radiatore dell’olio.
    Allo scopo di risparmiare ulteriore peso, i tecnici nipponici optano per un motore raffreddato ad aria. Si tratta dell’Honda RA302E, un 8 cilindri aspirato in V di 120° (angolo inedito e singolare per siffatto frazionamento) di 3000cc. L’eliminazione dei radiatori del liquido di raffreddamento e del relativo circuito avrebbe fatto risparmiare peso e limitato gli ingombri a beneficio della aerodinamica. A differenza degli efficienti motori Porsche raffreddati ad aria forzata mediante ventola, i tecnici Honda optano per un più classico raffreddamento ad aria – di cilindri e teste – attraverso una serie di semplici prese d’aria dinamiche poste ai lati dell’abitacolo. I cilindri sono alettati. Come sulle moto raffreddate ad aria, è il movimento del veicolo ad alimentare il flusso d’aria che dovrà raffreddare il motore. L’8 cilindri RA302E si rivela potente, tra i più potenti della stagione 1968: i dati indicano oltre 430 CV a 9500 giri/minuto. Il V12 di 60° Ferrari eroga oltre 410 CV a 10,600 giri/minuto. I V12 Honda raffreddati a liquido di pari epoca si attestano anch’essi sui 400-410 CV a 10,000-11,000 giri/minuto.
    I test, tuttavia, lasciano John Surtees – pilota Honda – perplesso. La vettura è ancora acerba, poco stabile, tremendamente ostica da guidare. Il motore, inoltre, tende a surriscaldare. Ma non è il motore a preoccupare, bensì la scocca. Il campione inglese suggerisce di realizzare una versione con scocca in alluminio, più sicura dell’infiammabile magnesio. Honda, però, è decisa a portare in gara la nuova, rivoluzionaria RA302. Surtees si rifiuta di guidare la nuova monoposto. Ma il dado è tratto. Honda sta per lanciare la 1300 (con motore raffreddato ad aria…) ed il GP di Francia, sul temuto tracciato di Rouen-les-Essarts, è una buona occasione per Honda France per intraprendere una vasta operazione di marketing. Saltato Surtees (che prenderà parte al GP al volante della RA301), la scelta ricade su Jo Schlesser, navigato ed apprezzato pilota francese.
    È il 7 luglio 1968. GP di Francia, circuito di Rouen-les-Essarts. Sono previsti 60 giri per un totale di 392,520 km (il bellissimo circuito francese misura 6,542 km). Schlesser qualifica la sua RA302 col 17° e penultimo tempo, ad oltre 8 secondi dalla pole-position di Jochen Rindt (Brabham BT26-Repco, Brabham Racing Organisation). Surtees piazza la sua RA301 al 7° posto, a poco più di 2 secondi dall’austriaco. Le condizioni meteo non sono ideali: piove. Al secondo giro, Schlesser perde il controllo della nervosa Honda RA302 alla curva “Les Six Frères”. L’auto si ribalta, il serbatoio della benzina si danneggia. L’incendio è inevitabile, ulteriormente alimentato dalla scocca in magnesio. Schlesser, intrappolato, è in preda alle fiamme. La corsa continua mentre Schlesser perisce. Surtees, in questo gioco di luci e ombre in casa Honda, termina il Gran Premio al 2° posto, alle spalle di Jacky Ickx (Ferrari 312/68).  
    Honda non molla. Il progetto viene modificato ed un secondo esemplare della RA302 appare in occasione delle prove libere del GP d’Italia, a Monza (8 settembre 1968), identificata come “T-Car #14”. Il pilota designato è ancora Surtees il quale, però, prenderà parte al GP al volante della RA301. Nuovo radiatore dell’olio, nuove prese d’aria, nuovi scarichi (8 in 4 anziché 8 in 2), alette Canard ai lati del muso, ala alta centrale sorretta da una trama di tralicci in corrispondenza del roll-bar (non presente a Monza). La rinnovata Honda RA302 non prenderà mai la via della pista in un GP. I piloti – ad iniziare da un furibondo e scettico Surtees – si rifiutano di guidare una vettura da tutti giudicata eccessivamente pericolosa. Termina nel peggiore dei modi la breve e negativa carriera della Honda RA302. Oggi, possiamo ammirare l’esemplare modificato e mai impegnato in un Gran Premio presso l’Honda Collection Hall.
    L’insuccesso della Honda RA302 e la morte di Schlesser non sono imputabili, ovviamente, al V8 raffreddato ad aria. Una non perfetta tenuta di strada, una scocca particolarmente critica in caso di incidente e l’immancabile fuoco – autentico demone in grado di mietere vittime sino agli Anni ’70 inoltrati – hanno sancito la prematura fine della avveniristica RA302, vettura dall’innegabile potenziale.
    Porsche e Honda: due Case blasonate, due diverse interpretazioni di motori raffreddati ad aria. Motori dalle prestazioni esuberanti (si pensi al biturbo della dominatrice 917/30 Can-Am) che nulla hanno da invidiare ai più diffusi motori raffreddati a liquido. Questione di scelte, alternative. Oggi sarebbe possibile realizzare motori ad alte potenze specifiche raffreddati ad aria? La risposta è sì. Anzi, probabilmente – con tanti anni di ulteriore evoluzione tecnica in cascina, ad iniziare dai materiali – è possibile realizzare motori da competizione raffreddati ad aria ben più efficienti di quelli risalenti agli Anni ’60, ’70, ’80.
    Di seguito, una galleria fotografica.
    Hans Herrmann al volante della Porsche 718 della Ecurie Maarsbergen, Zandvoort 1961.
    2 luglio 1961, circuito di Reims: Jo Bonnier (Porsche 718 #10, Porsche System Engineering) affianca la Ferrari 156 #50 di Giancarlo Baghetti. Dietro, la Lotus 21-Climax di Clark, quindi l’altra 718 condotta da Gurney. Sul velocissimo tracciato francese, le 718 di Bonnier e Gurney danno filo da torcere alle più potenti Ferrari. Bonnier sfiora il podio nelle ultime fasi della corsa, Gurney giunge 2° in volata dietro Baghetti.
    Il 4 cilindri boxer 547 installato sulla celeste Porsche Behra. Spicca la ventola di raffreddamento collocata verticalmente e avvolta dai condotti che portano aria a cilindri e teste.
    Nel 1962, la Porsche schiera la 804. Qui, la monoposto tedesca si mostra in tutta la sua bellezza. Spicca il motore 8 cilindri boxer raffreddato ad aria forzata mediante ventola orizzontale posta tra le due bancate.
    Dan Gurney e la sua Porsche 804 #30 ritratti in occasione del vittorioso GP di Francia 1962. Si apprezzano le linee pulite e moderne della vettura tedesca e la tipica ventola di raffreddamento azionata dal motore in posizione orizzontale. Questa impostazione rimarrà invariata su tutti i Prototipi Porsche Anni ’60 e ’70.
    La originaria Honda RA302, colei che prenderà parte al tragico GP di Francia 1968. Si notano gli scarichi: ogni bancata di 4 cilindri confluisce in un singolo terminale di scarico.
    Jo Schlesser impegnato sul tracciato di Rouen-les-Essarts al volante della ostica Honda RA302. La vettura, di una bellezza estrema, appare compatta e moderna, anche grazie all’eliminazione del radiatore dell’acqua. Si notano le grandi prese d’aria di raffreddamento del motore che scorrono ai lati dell’abitacolo. Sfortunatamente, la vita di Schlesser si interrompe tra le fiamme della sua Honda RA302.

    La breve e controversa carriera sportiva della Honda RA302 termina in quel di Monza. In foto, la rinnovata RA302 parcheggiata ai box e con Surtees alla guida. Infine, la RA302 modificata esposta all’Honda Collection Hall. Le modifiche più vistose riguardano l’aggiunta di alette Canard ai lati del muso, l’ala alta in posizione centrale, nuovi scarichi, nuovi radiatori, nuove prese d’aria di raffreddamento. Gli scarichi, nella versione modificata, confluiscono in due terminali per bancata (ciascuna coppia di scarichi confluisce in un singolo terminale). LEGGI TUTTO

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